I laureati onnipotenti di Michele Tito

I laureati onnipotenti COMINCIA "L'ERA SELVAGGIA,, DEL GIAPPONE I laureati onnipotenti Il primo ministro Tanaka, con un gesto audace, ha infranto la tradizione che assegnava agli ex allievi dell'Università di Tokio tutti i poteri nella burocrazia, negli affari, nella politica - La sua vittoria non è affatto completa: ha dovuto accettare, come "controllore", un capo di gabinetto scelto dalle grandi famiglie - Ma, dicono i pessimisti, un sistema di governo è entrato in crisi (Dal nostro inviato speciale) Tokio, giugno. Questo è l'anno in cui una donna ha sconfitto la «macchina di governo più intelligente del mondo ». Domenica 17 giugno la signora Takeko Kutsunugi, 53 anni, insegnante, candidata comunista alle elezioni parziali per un seggio di senatore ad Osaka, ha tolto voti ai socialisti e umiliato il candidato governativo del partito liberaldemocratico. Ha preso ciò che, durante la campagna elettorale, gli stessi comunisti dicevano che «non si può avere»: perché donna, perché candidata ad Osaka, seconda città del Giappone, e perché « propagandista di disordine ». Le cose che la signora Kutsunugi diceva agli elettori sono le cose che non si dicono: violando le consegne del partito, non parlava di politica estera e non proponeva un nuovo modo di vita, diceva soltanto: « La macchina s'è inceppata », e ha vinto sullo sgomento. I tetti d'Osaka II partito che governa il Giappone da vent'anni vede nell'imprevista vittoria della signora Kutsunugi il « segno più grave » di un rapido cedimento della propria influenza negli agglomerati urbani, e la crisi diventa seria. Per esser forte, il partito al potere ha bisogno del prestigio della « macchina di governo », è invece la macchina inceppata che porta alla sconfitta: « Dai tetti blu di Osaka si grida vergogna a Tanaka ». Tanaka è l'uomo diventato primo ministro senza appartenere alla macchina, non viene dall'Università di To¬ kio, né dagli alti burocrati, né dalle grandi famiglie degli affari. Invece di difendere gli « habatsu » tradizionali, i gruppi, le frazioni solidali che « fanno tutto senza leaders e senza parlare », ha lanciato proclami, ha fatto grandi promesse e si è presentato come un capo: ancora dice che vuol passare alla storia come il primo capo di governo che abbia usato la ricchezza del Giappone per «rendere felici» i giapponesi. Ha violato le regole e ignorato le convenienze, ha reso ormai difficile a tutti, in alto e in basso, convìvere nel regime antico del « linguaggio del silenzio », il patto civile che regge i rapporti tra giapponesi: chi comanda, in politica e nelle aziende, nei sindacati e nelle associazioni, deve capire cosa vogliono i suoi seguaci e non costringerli a prender posizione ad alta voce, non deve farsi discutere. La macchina s'è sbagliata l sui tempi. Quel che pensava I di dover fare domani, per i gradi, « con il consenso di | tutti e la virtù del conformii smo », deve essere fatto ogi gì. Essa aveva, attraverso i grandi finanzieri e i grandi industriali, alimentato la campagna contro l'inquinamento: fu la Mitsubishi a lanciare i primi allarmi, incoraggiando, in nome dell'«etica collettiva», le prime denunce contro se stessa. Ora l'ansia per la qualità della vita è divenuta un incubo; i tempi lunghi devon esser brevi, e i tempi brevi non consentono le mutazioni « inavvertite ». I grandi hanno dato fiato e spazio ai « liberi speculatori » delle aree, pensavano di piegarli, dopo essersene serviti, con leggi accorte. graduate nel tempo. Li vedono adesso uniti in gruppi potenti, che sostengono la denuncia e la protesta contro la « macchina, che non funziona », e sembrano dire, con la loro sola presenza: « Noi, del capitalismo selvaggio, siamo il simbolo della crisi ». Contro lo «scandalo» della loro presenza, i giapponesi votano come loro dicono: ci sono loro, non le idee comuniste, dietro la signora Takeko Kutsunugi. « Non soltanto sono voraci, sono rapidi come uccelli rapaci », e la macchina di governo è lenta. Salto nel buio Temevano il « buio raggelante » della transizione, partivano dalla convinzione assoluta che i mutamenti in Giappone sono sempre dolorosi ed esplosivi, si preparavano a una lunga fatica di adattamento, avevano organizzato gigantesche équipes di studio in ogni grande complesso, e pagano e onorano, come fa la Banca Fuji, filosofi, scienziati, economisti « perché pensino, riflettano, immaginino e preparino i mutamenti senza traumi ». Credevano d'aver tempo per stabilire che tipo di economia nuova avere, studiavano l'alternativa del « concerto mondiale », da portare avanti con il consenso di tutti; esplodono invece le crisi, emergono dubbi che non danno respiro: così la macchina rivela la propria inefficienza e il banchiere Kyonosuka Ibè, direttore della Sumimoto, dice agli azionisti: « Le banche stimano che sarebbero capaci di creare una istituzione per controllare il flusso del credito al consumo, ma poi, con questa macchina di governo? ». La «macchina di governo» è fatta di prerogative indiscusse e di convenzioni inviolabili. E' passato il tempo, non molto lontano, in cui ogni partito era rigidamente guidato e organizzato da esponenti governativi e da grandi burocrati, e si scioglieva spontaneamente, se occorreva, nell'interesse del Paese. Ancora, però, i partiti più grandi sono formati soltanto da professionisti della politica: il più grande, il liberaldemocratico, ha trentamila iscritti, tutti funzionari o responsabili politici, e raccoglie milioni di voti. La «macchina di governo» di cui si discute significa un sistema in cui le cooperative agricole e le associazioni di categoria, le società musicali e i sindacati minori, le camere di commercio e il gruppo dei « liberi insegnanti » che vogliono una scuola diversa sono finanziati pubblicamente dagli organi di governo, che distribuiscono i fondi attraverso i leaders del partito al potere, pubblicamente, in nome della « responsabilità collettiva ». E' un sistema in cui le grandi imprese hanno preteso la separazione dalle piccole e medie aziende, ed ora ne finanziano l'associazione attraverso il partito al governo, pagando i leaders che criticano « l'oppressione ingorda dei monopoli ». Il signor Wulema, presidente della Keindaren, il grande padronato, spiega queste cose e dice: «Noi dobbiamo mantenere il dualismo, dobbiamo far vivere le critiche contro di noi ». Il cuore è l'Università di Tokio, « dove si entra isolati e si esce in gruppo»; mentre prima della guerra Cambridge e Oxford, in Inghilterra, davano insieme il 40 per cento dei grandi burocrati, ancora adesso il 79 per cento dei dirigenti dell'amministrazione del Giappone vengo.io dall'Università di Tokio. E i grandi burocrati si scelgono i dirigenti dei partiti e i ministri, i presidenti delle banche e « coloro che dirigono » le grandi industrie, quasi mai i proprietari. Grandi burocrati, provenienti dall'Università di Tokio, erano tutti i predecessori di Tanaka; dall'Università di Tokio vengono il 90 per cento degli alti funzionari del ministero delle Finanze, il cinquanta per cento dei professori delle facoltà di Legge in altre Università; tutti quanti, compreso il rettore, i titolari di cattedra della celebre Università San Paolo. Come in passato, anche adesso si diventa ministro per « delega » degli « uomini simili » usciti dall'Università di Tokio. Un sistema rigido che assicura privilegi e continuità, che si difende vantando virtù etiche e la propria, intimidatrice, solidarietà. Quando, l'anno scorso, Tanaka dava la scalata alla presidenza del Consiglio spendendo fortune e mostrando di sapere meglio degli altri compiere il « dovere del denaro », cioè raccogliere e ridistribuire fondi, il primo ministro in carica rassicurò gli amici timorosi: « Ho fatto dire a Tanaka — raccontò — che è impossibile per uno che non ha fatto la nostra Università diventare capo del governo ». Latore del messaggio a Tanaka era Takeo Kimura, laureato a Tokio, che esitava a comunicare a Tanaka, suo amico, la sentenza irrevocabile. Un uomo sconvolto e sgomento tornò dai vecchi riuniti intorno a Sato per portare la risposta di Tanaka: « Non si è ritirato, ha detto che può fare egualmente il primo ministro ». Fu questa « capacità di scandalo » che vinse tutti; e dicono adesso che da allora la macchina s'è inceppata. Inutilmente gli uomini dell'Università di Tokio reagirono: se costrinsero Tanaka a fare un governo con esponenti del loro gruppo, rifiutarono le innovazioni e rinunciarono alle promozioni e agli incarichi di prestigio che il nuovo presidente del Consiglio offriva loro. Yosaburo Naito, capo sezione al ministero dell'Istruzione, spiegò per tutti le ragioni del rifiuto: « Mi propongono di assumere altissime responsabilità adducendo motivi di merito, ma io, come gli altri, non scavalco uomini dell'Università di Tokio ». Le complicità La forza dei laureati dell'Università di Tokio, la forza di tutta la classe dirigente giapponese, sta nella certezza che ad essi, e ad essi soli, spetta il potere e che così deve essere per il meglio del Giappone: « Università-burocrazia-affari-politica», dicono di sé. Ciò che sarebbe altrove il segno di una discriminazione diventa motivo di orgoglio e di forza. Fanno l'elenco dei grandi degli affari che vengono dalla loro Università, da Shigeo Nagano, della Nippon Steel Corporation, a Yoshisane Iwasa, l'uomo che «guida davvero» la Banca Fuji. E' una lunga lista: «Sono gli uomini che contano davvero ovunque si trovino, in qualsiasi posizione ». Le aziende sanno che un dirigente laureato a Tokio ha solidarietà « doverose » in politica e nei ministeri, e lo portano avanti; e i politici e i ministeri si servono degli uomini della Tokio Uni¬ versity per i contatti con il mondo degli affari e della produzione: « In questo modo — dice Ichiro Sato, vice ministro delle Finanze — la solidarietà diventa impegno comune, e non c'è bisogno di opposizioni e di fiscalismi nei controlli: si lavora insieme e c'è fiducia reciproca ». Accettavano, per l'« onore del gruppo », servitù gravi: i laureati dell'Università di Tokio devono sposare donne ricche, perché devono unire il prestigio al potere: e la lista dei matrimoni dell'ultimo anno è rivelatrice: le figlie degli uomini più importanti hanno sposato i giovani dirigenti venuti dall'Università di Tokio. Ed è importante avere i genitori, i fratelli, i parenti che escano dall'Università di Tokio: è segno di preminenza intellettuale della famiglia, perché all'Università dei capi si accede per merito, e molti vengono dal niente. La famiglia « più alta del Giappone » è la famiglia Hatoyana, quattro generazioni di allievi che hanno tutti meritato l'essere ammessi all'Università di Tokio. E' la famiglia che, dall'alto del proprio prestigio, ha tentato di « rimediare allo scandalo Tanaka », e ha incaricato il proprio membro più giovane, Kunio, di 23 anni, appena laureato, di « sorvegliare l'estraneo ». Si riunirono i vecchi e gli anziani della famiglia e dissero a Kunio: « C'è un solo mezzo, fatti ricevere da Tanaka e fa vedere che da solo non può farcela. Seducilo: poi dovrà essere come uno non estraneo ». Kunio scrisse una lettera a Tanaka e lanciò la sfida, Tanaka accettò e ricevette il giovane ascoltandolo ironico: Kunio parlò un'ora e mezzo, si era nel settembre; da ottobre il giovane Hatoyana è capo di gabinetto di Tanaka. Taro Kawamoto racconta queste storie, le storie della « macchina perfetta » che ha fatto le fortune del Giappone, e dice: «E' una macchina assoluta, o tutto o niente. Ha ceduto un momento, il resto si comincia a vedere ». Michele Tito Tokio. Studenti universitari a una partita di baseball: il tifo per il gioco americano convive con le tradizioni (Foto Team)