Campanile: "Sono guidato da lampi d'imbecillità,, di Lietta Tornabuoni

Campanile: "Sono guidato da lampi d'imbecillità,, INCONTRO CON IL VINCITORE DEL "VIAREGGIO,, Campanile: "Sono guidato da lampi d'imbecillità,, Così l'umorista definisce "gli estri che lo guidano a scrivere" - La vittoria? "Una gentilezza, una prova di stima" Vive nei Castelli romani, in una fattoria da cui ha eliminato vigne e polli - Con la barba fluente, sembra Tolstoi (Nostro servizio particolare) Roma, 23 giugno. Achille Campanile commenta la propria vittoria al Premio Viareggio senza emozione, con educato distacco: «E' una gentilezza, una prova di stima. Non me l'aspettavo. Di premi non mi occupo, voti non ne caldeggio, elenchi di giurati e "rose" di candidati mi spaventano: esistono così tanti scrittori? Inutile, 10 sono troppo timido per le baraonde della vita letteraria». Lo scrittore «paradossale, astratto, funambolico» è uno di quei romani ingannevolmente dolci c bonari, come Rossellini: affabile, pacato, ironico. Ha scttantatré anni, una lunga barba bianca «da Carlo Marx o da Leonardo da Vinci» che lo fa, invece, somigliare a un Tolstoi dei Castelli romani. Come Tolstoi vive in campagna, vicino a Velletri, in una gran casa piena di donne, di cani e di ragazzi (la giovane moglie Nuccia, la cognata, il figlio diciassettenne Gaetano, i nipoti e le nipoti orfani), al centro di una tenuta agricola le cui vigne sono state estirpate {«Ricavarne vino era più costoso che pasteggiare a champagne») e i cui animali da cortile sono stati banditi («7 polli erano diventati giganteschi, non avevamo mai coraggio di ammazzarli»). Stile surreale Un premio Viareggio l'aveva già vinto nel 1933, ricorda, per 11 romanzo Cantilena all'angolo della strada: «Anche allora non me l'aspettavo. Mi mandarono un telegramma, arrivai a Viareggio la mattina presto: dormivano tutti, in giro c'era soltanto il chitarrista che doveva esibirsi la sera, invelenito perchè il suo nome era scritto troppo piccolo sui manifesti. "Io me ne vado", strepitava, "io non suono". "Bravo", attizzavo io, "ha ragione, qua è tutta una camorra"». Da allora, per quarantanni, «no» fui più ritenuto degno dì altri premi». Adesso viene riscoperto come maestro dell'assurdo quotidiano, come inventore di contravvenzioni alla realtà che mettono in dubbio la credibilità del mondo apparente, come creatore di incrinature e minime rivoluzioni di linguaggio che capovolgono il luogo comune. Un classico, insomma. Che impressione gli fa? «Piacevole: specialmente al pensiero delle maledizioni di eventuali studenti costretti all'analisi logica dei miei scritti». Adesso si citano le sue commedie lunatiche, le sue tragedie in due battute (ne ha scritte più di cinquecento), nutrite di gag folgoranti o umori beffardi e popolate di personaggi stralunati, come testi che hanno anticipato il teatro dell'assurdo: «Io con queste cose non c'entro, Ionesco non lo conosco proprio...». E non gliene importa nulla, si direbbe. Al successo è abituato sin dagli Anni Venti, da quando era un bellissimo giovanotto con il monocolo («Ora che sto in campagna non lo inetto più, porto occhiali con una sola lente»), figlio di un giornalista e sceneggiatore pioniere del cinema muto («Mio padre mi fece conoscere Pirandello, Fausto Maria Martini, Rastignac, Lucio D'Ambra»). I suoi articoli brillanti uscivano sui giornali più prestigiosi. Le sue commedie venivano recitate, nel teatro d'avanguardia di Anton Giulio Bragaglia, da Vittorio De Sica, Giuditta Rissone, Umberto Melnati, Antonio Pierfederici. I suoi romanzi dai titoli stravaganti e graziosi, Ma che cos'è questo amore, Se la luna mi porla fortuna, Agosto moglie mia non ti conosco (scritto in una settimana) erano popolarissimi, creavano uno stile surreale, svagato e senza tempo imitato anche oggi dai comici televisivi. Autore serio A lui, sostiene orgoglioso e piccoso Campanile, non è mai toccato, però, il destino amaro dell'umorista, considerato da noi «un sottoscrittore, anzi neppure uno scrittore, un buffone» e disprezzato dalla società letteraria. Lui è un autore serio: «I miei libri erano magari estrosi e bizzarri ma non comici, non rivelavano affatto l'intenzione di far divertire il pubblico. Si figuri che "Benigno", pubblicato a puntale sulla "Nuova Antologia", venne recensito da "Civiltà cattolica" con molti riferimenti a Sant'Agostino, tanto che Federzoni mi disse: "Vedo che vi hanno canonizzato in vita". Io sono sempre stato valutato come uno scrittore piuttosto che come un mattacchione». Molti brani raccolti in Manuale di conversazione, il libro premiato a Viareggio, sono straordinariamente divertenti, francamente comici. «Sarà», ammette rancoroso, «qui, l'unico chlanstspcatozscdc{«ctibdinddDpvsstmcstr«mttamiamgdLcfnclvcnmpvac che non si diverte sono io». Ha lavorato e lavora troppo, con generosa creatività, a volte con stizza:«Scn'vere per i giornali», spiega, «è una cosa drammatica». Nei giornali è stato correttore di bozze, segretario di redazione («Perdevo le lettere, nascondevo i documenti d'archivio dietro i mobili, confondevo i corrispondenti, un disastro»). Estensore di piccola cronaca {«liti di pianerottolo, risse tra cocchieri, scenette divertenti»), titolare di rubriche, scrittore di brevi racconti («sulla "Stampa" diretta allora da Malaparte»), inviato speciale della «Gazzetta del Popolo» ai Giri di Francia e d'Italia, ai festival di Venezia. Da quindici anni ha sullVEi/ropeo» una rubrica di critica televisiva: «Vedo qualche trasmissione ogni tanto». Non ha mai scritto di politica («Sarei del tutto inadatto, non ci capisco, non m'interessa; a votare debbono costringermi con il terrore, e spesso non riescono»). Il reportage che evoca con intensa fierezza è quello durante il quale «catturai finalmente il famoso mostro di Lodi Ness, lo trasportai a Londra, lo immisi nella vita urbana facendogli incontrare anche molte celebrità, lo vidi morire di nostalgia». Lo «scrivere letterario» gli dà invece piacere. Scrive di giorno, a penna. Rapidamente, «perché maturo tutto prima nella testa», guidato da quegli estri che lui definisce «lampi di imbecillita». Lavora a diversi romanzi e racconti contemporaneamente, con fecondità e passione immutate negli anni: «Continuo a scrivere cose nuove, un romanzo imitolato"Notte d'estate", e altro. Invece dovrei rivedere scritti vecchi, gli editori chiedono, insistono, pretendono...». Nei prossimi mesi usciranno due libri suoi per Einaudi, uno per Rizzoli. Un vero revival: «Insomma, ho sempre faticato troppo per riuscire a divertirmi». Ha amato molto Neppure nella vita privata, dice, s'è divertito: «Le donne m'hanno tenuto prigioniero». Non soltanto la prima moglie: «Tre anni di inferno matrimoniale: un mese dopo le nozze sognavo di essere vedovo, due me¬ si dopo sognavo che vedova diventasse lei, volevo morire». Confida con un brivido di vanita: «Sempre sono stalo sequestrato da donne gelosissime, protagonista di vicende drammatiche, eroe di amori tempestosissi¬ mi. Sapesse quante botte, quanti calci, quanti pugni». Dati o ricevuti? «Le donne ini menavano, e io le menavo. Ho amato una signora che aveva un bambino piccolo: quando cominciavamo a picchiarci era tutto contento, credeva che fosse un gioco, una gara sportiva. Si divertiva moltissimo, pure lui». Mentre, sospira Campanile tentato dai bilanci «io, ecco, posso dire di non aver vissuto». Lietta Tornabuoni