50 mila anni

50 mila anni LA CITTA' E LA REGIONE 50 mila anni Questa è l'età dell'uomo in Piemonte, come risulta da studi archeologici e antropologici - Il più vecchio insediamento nella zona alpina - Come riportare la vita nelle vallate? -1 risultati di un convegno scientifico possono dare validi suggerimenti L'uomo vive in Piemonte da 50 mila anni. O almeno, a 50 mila anni fa risalgono le sue tracce scoperte sul Monfenera, una singolare piramide tronca di 899 metri allo sbocco della Valsesia, 3 chilometri circa a Sud di Borgosesia. Una campagna di scavi e ricerche iniziata nel 1964 dall'Istituto di antropologia dell'Università di Torino ha accertato la presenza dell'uomo cacciatore di stambecchi, di cervi, dell'orso delle caverne; sono venute alla luce le ossa degli animali, le armi usate per la caccia. L'uomo agricoltore compare in Valsesia 3 mila anni prima della nostra era, cioè circa 5 mila anni fa e i reperti neolitici trovati, sempre sul Monfenera, attestano, come scrive Francesco Fedele che ha diretto queste ricerche, « la penetrazione nell' ambiente montano ai margini della Padania, dei primi colonizzatori dell'Italia settentrionale ». Lo studio del passato ha valore in funzione del presente e proprio per questo motivo l'Istituto ha promosso un convegno internazionale che si apre oggi presso la Fondazione Agnelli per varare un programma di ricerche multidisciplinari sull'adattamento delle popolazioni umane nell'ambiente alpino. Vi partecipano studiosi italiani, francesi, svizzeri, austriaci, saranno presenti esponenti della Organizzazione mondiale della sanità. L'TJnesco e la Fondazione Ford ne sono interessati. Come anticipo del programma sarà presentata l'indagine pilota compiuta in Val Varaita e in Val Magra nel Cuneese dai ricercatori dell'Istituto. Riequilibrio E' giunta per questi studi l'ora di uscire dal chiuso livello specialistico. Il Piemonte attende dalla Regione un nuovo assetto che elimini le sacche di depressione, gli squilibri sociali ed economici: a completare il quadro delle indagini socioeconomiche fin qui condotte può contribuire anche lo studio biologico, preistorico, antropologico delle popolazioni. « L'obiettivo finale delle nostre ricerche — dice il professor Brunetto Chiarelli, direttore dell'Istituto e del rinnovato museo di antropologia recentemente riaperto al pubblico — è la ricostruzione della storia naturale di alcune popolazioni alpine. Esso comporta la valutazione delle interrelazioni ecologiche e della parte avutavi dai fenomeni socio-culturali. Ne possono risultare proposte e suggerimenti atti a valorizzare le popolazioni stesse come entità attuali e funzionali nel contesto della regione ». Perché il riequilibrio non può avvenire solo con una politica di sviluppo industriale, ma anche (e questo la Regione l'ha compreso) mediante la rivalutazione di altre attività tra cui quelle artigianali o attraverso un turismo selezionato che preveda non la costruzione intensiva di case e villette distruggendo l'ambiente, ma il restauro delle antiche abitazioni. In Inghilterra c'è, per questo, una legge apposita. Attività locali. Un esempio tipico l'offre la Lombardia, in Val Varrone (che sbocca nel lago di Como) dove la popolazione è trattenuta dal- l'antica tradizione della lavorazione del ferro. Fabbricano forbici. L'attività è concentrata soprattutto a Der- I vio e Premana, che sono l'uno all'inizio e l'altro al fondo della valle. I primi dati su questa attività risalgono al Mille; nel 1600 vi erano sei botteghe artigiane dove si facevano spade e attrezzi da taglio; gruppi di lavoranti emigrarono in questo periodo verso Venezia e la Spagna, ma la maggior parte, raggiunto un certo benessere, ritornò per impiantare una bottega propria. Nata tra le montagne, questa tipica lavorazione continua ad essere racchiusa in esse, anche se « 228 famiglie di arrotini e gestori di negozi di ferramenta, coltelli e forbici sparse oggi nell'Italia settentrionale e in Toscana sono il frutto di una nuova ondata di emigrazione che si verificò negli Anni Trenta ». Così che, scrivono Annalena Guidi, Melchiorre Masali e Luigi Ravizza, autori dell'indagine sulla località, svolta sempre dall'Istituto torinese, « oggi Premane è un paese di giovani: quelli sotto i vent'anni sono il 45 per cento della popolazione, i bambini sotto i 5 anni il 15. Arrivano dalla Brianza i grossisti con le forbici grezze stampate, che vengono ormai solo più rifinite in Premana. Attualmente la mano d'opera occupata in questa lavorazione è di 583 unità. La finitura delle forbici costituisce l'occupazione predominante, mentre gli articoli di coltelleria sono lasciati alle ditte più vecchie e consistenti, quelle che hanno potuto aggiornarsi con le nuove tecniche e procurarsi i materiali occorrenti ». Un esempio non consente di generalizzare, ma permette per lo meno di dubitare che l'attrazione della città, della grande industria, sia proprio irresistibile per i giovani quando si sappiano mantenere nei loro luoghi di origine adeguate condizioni di lavoro e di vita. Cosa che non si è saputo o potuto fare in molte altre località. E allora avviene la fuga. Nel ramo di Chianale dell'Alta Val Varaita, per esempio, una scuola costruita dieci anni fa per 50 allievi ne ha oggi due. Il paese, come entità umana non esiste più, anche se si sono fatti con la scuola, impianti di risalita per gli sport invernali. C'è il turismo della neve, c'è la villeggiatura estiva, ma la vita locale, con le sue tradizioni, è morta. Permane invece nell'altro ramo della valle, quello di Bellino o Blins dalla sua origine provenzale. Anche qui la scuola è il termine di paragone. Ce ne sono due, vecchie, tutt'altro che confortevoli, ma hanno 70 allievi. Gli scienziati che conducono queste ricerche non esitano; gli aiuti « politici » non sono riusciti a tenere la popolazione nella valle di Chianale; c'è invece riuscito nella zona di Blins un parroco, Don Ruffa, che ha saputo valorizzare, soprattutto, il collegamento umano. La popolazione (circa 300 persone) è rimasta anche senza aiuti politici, vive di agricoltura, una sola famiglia ha ur 'attività commerciale. Le risorse Si pone quindi il problema: come utilizzare le risorse naturali per mantenere nelle valli una popolazione numericamente giusta? Cominciamo dalla pastorizia. La valorizzazione dei formaggi potrebbe costituire un valido incentivo economico per le valli piemontesi che hanno, tutte, una specialità prò pria in questo settore. Ma non riescono a valorizzarla, specie per mancanza di in dirizzo e di coordinamento. Eppure non dovrebbe essere difficile raggiungere risultati, non mancano, nella storia, esempi di laboriosità. Proprio nel Cuneese, nella valle Stura, si è differenziata nei secoli addirittura una razza bovina, la « razza di Demonte ». « Ciò è prova di una statica, lunghissima persistenza dell'impianto umano nella zona, di secoli di capacità di allevamento, di adattamento all'ambiente, di equilibrio di vita alpina che le vicende storiche hanno appena sfiorato ». Per secoli; poi è arrivata la civiltà dei consumi, non sempre identificabile con il progresso. Come portare nelle valli il vero progresso che aiuti a mantenerle in vita e assicuri un'esistenza dignitosi:, agli abitanti? La risposta non è più degli scienziati, ma dei politici.

Persone citate: Brunetto Chiarelli, Chianale, Francesco Fedele, Luigi Ravizza, Melchiorre Masali, Varrone