Ventun storie per una

Ventun storie per una Descrivere il caos con un teorema Ventun storie per una Francesco Burdin: « Il viaggio a Varsavia », Ed. Marsilio, pag. 203, lire 1800. Si potrebbe obiettare subito a Francesco Burdin di essersi preoccupato di costruire il suo Viaggio a Varsavia con la lucidità e lo scrupolo c n cui un matematico formula e svolge un teorema. Se qualcosa disturba (e dispiace) in questo romanzo è il suo eccesso di perfezione strutturale: la sua circolarità, che risulta alla fine artificiosa; il suo giuoco allusivo di rispondenze e assonanze interne, che si congegna come un complicato ingranaggio meccanico. Burdin narra su due piani un'unica vicenda. La storia r*' un Francesco B. che è colpito da un infarto e si risvegli.: in una corsia d'ospedale, costretto all'immobilità e ossessionato dalla perdita della propria identità. Nonostante i suoi sforzi nessuno lo vuole identificare per Francesco B., il quale a detta di tutti si trova invece in viaggio per Varsavia. E' un caso di sdoppiamento o di simulazione? E' una congiura tramata ai suoi danni da parenti ed amici, oppure è un delirio di allucinazione? La spiegazione è fornita da una serie di ventuno storie che si alternano a quella principale: e sono storie in cui lo stesso protagonista, in due vesti che ricorrono alternandosi, vive una catena di avventure paradossali. Tutte ripropongono questo stesso problema ossessivo dell'identità e tutte scaturiscono in un placamento: nell'accettazione rassegnata del proprio straniamento e della impossibilità della propria identificazione non solo, ma dello straniamento anche e dell'impossibilità d'identificazione di tutte le cose nel mondo. « Forse la vita stessa esiste in una sua forma esclusivamente immaginaria, non è vera ma verosimile e ci affanniamo a concederle credibilità, a trasfigurarcela in mille modi, per illuderci, con una quotidiana opzione per l'inganno, di una realtà inesistente ». Ebbene, se per Burdin l'universo è gravido di « immagini capziose » e il mondo non impone che « interrogativi insulsi »: se tutto insomma è caos informe, il calcolo perfetto del teorema narrativo, il gioco sottile dei richiami e delle rispondenze, propone un ordine di struttura che stona. E sarà meglio allora proporre per questo Viaggio a Varsavia una prospettiva di lettura più sbrigliata, magari più episodica, anche più casuale: perché esiste per il lettore sempre la possibilità di non stare al giuoco predisposto dall'intelligenza dello scrittore. In una simile prospettiva il romanzo di Burdin non solo convince, ma coinvolge, stimola e arricchisce. Dalle pagine di questo libro omerge la sensazione continua di un deserto, quasi di una « necropoli inanimata », in cui l'uomo si muove desolatamente solo («Tutti qui sir-mo soli»). Un senso di morte sovrasta le cose: una coloritura funebre ricopre il mondo. I casi che si narrano di improvvise scomparse, di imprevisti riconoscimenti, di sospetti e di « tranelli », di suicidi e di omicidi tentati o riusciti, non sono altro che immagini di ossessioni. Nel deserto del mondo non esistono che i « mostri i: e i ii mostri » ossessivi schiacciano l'uomo o l'avviliscono a una meschina difesa di sé. Ma l'ottica di Burdin non si ferma sterilmente al « terrore dei mostri ». « In tutti cresce con gli anni l'anelito a una tregua, e non ci risolviamo alla fuga, impediti come siamo dai legami sempre rinnovati che ci trattengono ». Venuta a mancare l'alternativa (comoda) della fuga, diviene possibile l'alternativa del recupero. Nel silenzio funebre della notte si può « percepire nel buio un flusso segreto e inorganico che si spri¬ giona nell'aria » e del quale soltanto la limitatezza dell'uomo « impedisce di raggiungere la conoscenza ». E' la scoperta della « parallela » sofferenza degli « altri ». L'itinerario dell'uomo diviene così itinerario di riscoperta, di recupero di questi « altri ». Sotto l'« epidermide di un uomo », incontrato in ospedale il protagonista del romanzo intravede « una vita simile alla sua », l'esistenza di « una fonte di pensieri e di sensazioni dallo svolgimento parallelo a quello delle sue sensazioni e dei suoi pensieri ». Ed è proprio questa scoperta del « mistero » che appartiene agli « altri », e questo ritrovato rispetto del « diverso » da sé, che danno alla pagina di Burdin anche una validità morale. Giorgio De Rienzo

Persone citate: Burdin, Francesco Burdin, Giorgio De Rienzo

Luoghi citati: Varsavia