Verso un disgelo a Praga?

Verso un disgelo a Praga? STORIA SEGRETA DEI SONDAGGI SOVIETICI IN CECOSLOVACCHIA Verso un disgelo a Praga? Ma ogni ipotesi di pacificazione è inattendibile se prima non viene risolto il problema dei prigionieri politici Quasi cinque anni dopo «gli avvenimenti» — la pudica formula cui si ricorre a Praga per evocare l'invasione della Cecoslovacchia — si nota qualche sintomo di disgelo. Sono stati i sovietici a prendere l'iniziativa. Nel dicembre dell'anno scorso, e poi in gennaio, numerose personalità, in gran parte vicine all'Accademia delle scienze dell'Urss o a istituti analoghi, giunsero a Praga per incontrare alcuni dei vecchi responsabili del partito comunista cecoslovacco, che avevano avuto una parte di primo piano nel movimento riformatore del 1968 conosciuto come la « primavera di Praga». Queste personalità visitarono in particolare Josef Smrkovsky, membro del presidium del partito al tempo di Dubcek, Oldrich Cernik, già primo ministro, Cestmir Cisar, ex segretario del comitato centrale, e Jiri Hochman, già redattore del Rude Pravo (il quotidiano del partito), poi redattore capo del settimanale Reporter, soppresso nel 1969. I visitatori arrivati da Mosca desideravano conoscere, cinque anni dopo, che cosa pensassero questi « inesistenti» sui fatti del 1968. Volevano sapere anche l'opinione dei cechi in generale sullo stesso argomento e come giudicassero la direzione attualmente al potere a Praga. Ma soprattutto speravano che gl'interlocutori gli dicessero se essi stessi sarebbero stati disposti, all'occorrenza, a essere « socialmente reintegrati » e ripristinati in posizioni certamente secondarie, ma tuttavia convenienti. Gl'inviati sovietici, dopo aver insistito, a più riprese, sulla natura non ufficiale della loro inchiesta e sul suo scopo di « sondaggio d'opinione », presero numerosi appunti, poi se ne tornarono a Mosca. A Praga il loro andare e venire aveva avuto l'effetto d'una bomba. I dirigenti del partito cecoslovacco erano caduti dalle nuvole quando queste conversazioni erano state loro segnalate dai servizi di sicurezza, che a loro volta non erano stati anticipatamente informati da quelli sovietici. Anche l'amba¬ ' o e i i a ¬ sciata dell'Urss a Praga, di cui a quell'epoca era ancora responsabile Stephan Tchervonenko, pregata con insistenza di fornire una spiega' zione, aveva dovuto chiederla a Mosca per chiarire i fatti. In occasione della visita a Praga, nel febbraio scorso, del segretario generale del parHto comunista sovietico, Breznev, il « sondaggio », nel suo complesso, fu presentato come privo di qualsiasi significato. Mosca riaffermò la sua piena fiducia a Husak. Tuttavia Breznev, invece di rievocare i « controrivoluzionari » e gli « opportunisti borghesi » del 1968, e le loro attività che ancora minacciano la Cecoslovacchia (secondo Praga), dichiarò che si poteva notare in questo Paese l'esistenza di « gruppi » e di « tendenze » che, sotto la saggia guida del partito, dovrebbero partecipare, in futuro, alla costruzione del socialismo. Questi sviluppi vanno senza dubbio collocati nel contesto dei cambiamenti avvenuti di recente in seno alla direzione del pcus e collegati alla caduta di Scelest. Sarebbe stato lui a persuadere i suoi colleghi del presidium a risolvere il problema cecoslovacco nel 1968 con i mezzi militari e non con quelli politici. Egli allora affermò che la situazione in Cecoslovacchia andava pericolosamente verso la controrivoluzione. Traeva questo giudizio dai rapporti che gli aveva inviati l'ambasciatore sovietico, Tchervonenko, e sulle informazioni raccolte da Vasil Bilak (un amico di Scelest, lui pure d'origine ucraina), il quale era membro del presidium cecoslovacco e che oggi è un avversario deciso, sebbene prudente, della via di mezzo scelta da Husak. A prescindere dai retroscena, il fatto è che il richiamo in patria di Tchervonenko, dopo essere stato oggetto di molte indiscrezioni, è divenuto realtà. A Praga si parla molto anche delle conclusioni cui sarebbe giunta una commissione speciale istituita dai sovietici, secondo le quali gli avvenimenti del 1968 in Cecoslovacchia esigevano « una soluzione duratura », ma non necessariamente imposta dai mezzi militari. In certi ambienti dell'opposizione non si dubita che se queste conclusioni fossero approvate ufficialmente, la composizione dell'attuale direzione dovrebbe essere modificata. Nel marzo scorso, durante un incontro con gli attivisti del partito, Husak confidò loro che « cerie formazioni militari so- vietiche » potrebbero ritirarsi dal territorio cecoslovacco entro l'anno. Su questo punto, nessuno a Praga ha dubbi: Mosca spera in una reale « normalizzazione » in Cecoslovacchia, così come in un accordo durevole tra Praga e Bonn. Ma sono due desideri più facili da esprimere che da realizzare. Il caso dei prigionieri politici è particolarmente imbarazzante per la direzione in carica: tranne tre eccezioni, quelle del giornalista Jiri Lederer, dello scrittore Laco Kalina e del generale Vaclav Pchrlik (il quale ha finito di scontare la pena), tutti i condannati dei vergognosi processi dell'estate scorsa sono ancora in carcere. Tutti questi prigionieri sono stati trasferiti in un'ala rimessa a nuovo del peniten¬ ziario di Bory, non lontano da Pilsen. I suoi impianti so11 attrezzati in modo abbastanza confortevole, le celle sono pulite e i detenuti ricevono cibo più abbondante e di migliore qualità di quello dei prigionieri di diritto comune. Ma allo stesso tempo la disciplina è severa e l'isolamento dei reclusi totale. I detenuti politici lavorano per la società nazionalizzata « Khoi-noor » e fabbricano spille di sicurezza e altri articoli del genere. Il professor Milan Hubl, l'uomo che aiutò Husak quand'era in disgrazia, e che ora è ammalato e sta perdendo la vista, è tenuto separato dagli altri, nella prigione di Valtice, vicino a Jicin. Contemporaneamente alti funzionari del partito ripetono a chi vuole ascoltarli che le autorità di Praga non cercano che di riallacciare i rapporti con coloro che sarebbero disposti a fare la metà del cammino per stringere la mano aperta e amichevole che tende loro il partito. Solo qualche settimana fa, lo scrittore slovacco Petr Karvas, un « uomo di destra », ha ricevuto da Viliam Salgovic, comunista duro tra i duri, capo della commissione di controllo del partito comunista slovacco, l'offerta d'essere reintegrato nel partito. Per cominciare, Karvas sarebbe candidato (benché sia stato membro di diritto per circa trent'anni); poi, se tutto va bene, potrebbe di nuovo far pubblicare le sue opere! II nuovo ministro della Cultura, Milan Klusak, genero del presidente Svoboda, ha avviato trattative dello stesso tono con un certo numero di scrittori dei quali si sa che hanno prodotto opere nuove e di grande valore. Questi testi circolano nel Paese sotto forma di dattiloscritti. Ma gli assertori della linea dura, arroccati in seno all'Unione degli scrittori, si sforzano d'ostacolare quest'avvicinamento, nel timore di perdere le loro posizioni. Sono avvenuti altri fatti strani. Qualche mese fa, Evzen Erban, socialdemocratico prima del 1948 e attualmente membro del presidium del¬ l'Assemblea generale (o Parlamento), s'è recato in visita privata in una capitale occidentale, dove ha tentato di mettersi in contatto con numerosi socialdemocratici cechi in esilio: voleva sapere come giudicano l'attuale politica cecoslovacca. Anche questa volta si trattava d'un semplice « sondaggio ». Liberalizzare un regime autoritario non è questione d'intenzioni buone o cattive. L'esperienza ha dimostrato che i tentativi di riforme comportano necessariamente l'esigenza di maggiore libertà, giustizia, diritti per i cittadini. Molto presto le stesse fondamenta sulle quali si basa la piramide del potere si trovano minacciate. E il potere è ridotto a invocare un'ideologia superata e screditata (soprattutto tra i giovani). Esso si mantiene grazie al principio ridicolo dell'infallibilità e del « ruolo dirigente » di coloro che esercitano l'autorità. Ne consegue che, anche se all'interno e all'esterno tutto sembra favorevole alla liberalizzazione, gli avvertimenti di quelli che mantengono la linea dura non possono essere sottovalutati. Gli assertori delle riforme allontanati dal potere — alcuni si sono di recente riuniti per studiare le proposte segrete o semiufficiali che gli sono state fatte — sono tutt'altro che unanimi sulla risposta da dare. Ma tutti i « dubeekiani » pensano ch'è necessario ottenere, per prima cosa, la liberazione di tutti i prigionieri politici e il rigetto, almeno tacito, della versione ufficiale secondo cui il 1968 fu l'anno della « controrivoluzione ». Essi concordano anche sul fatto che alla prossima conferenza dei ministri degli Esteri, a Helsinki, la Cecoslovacchia deve dichiararsi solennemente in favore di scambi e contatti umani più larghi con il resto del mondo e che su questi scambi e contatti sovraintenda un'istituzione internazionale rappresentativa. Un ir-portante gruppo d'intellettuali e artisti cechi sta studiando questo documento. Pavel Tigrid Copyright di « Le Monde » e per l'Italia de « La Stampa » Dubcek, di Levine ICopyright N.Y. Revtew of Uooks. Opera Mundi e per l'Italia La Stampa)