I prigionieri di Thieu di Igor Man

I prigionieri di Thieu Un drammatico rapporto canadese I prigionieri di Thieu Nessuno sa quanti sono, i Vietcong parlano di 200 mila, l'ambasciatore Usa ammette 20 mila "politici" - Anche il senatore Kennedy denuncia torture e massacri, sprezzante risposta di Saigon a Paolo VI - In una guerra atroce come quella del Vietnam vi sono state crudeltà da ambo le parti; è dovere del mondo farle cessare In forza dell'accordo firmato a Parigi da Kissinger e Le Due Tho, a partire dalle 5 del mattino del 15 giugno nel Sudvietnam è entrato in vigore il cessate il fuoco. Secondo il documento sottoscritto la settimana scorsa, in quel disgraziato paese dal confronto delle armi si dovrebbe, ora, passare al confronto delle idee. Entro 45 giorni dovrebbe essere costituito il consiglio nazionale di riconciliazione e di concordia. I prigionieri n litici dovrebbero essere liberati entro lo stesso periodo dj^empo mentre le libertà denrocratiche dovrebbero entranr in vigore «immediatamente.^ Sennonché il governo di Thieu ha affermato che tutte le restrizioni in atto verranno mantenute «finché i nordvietnamiti e i vietcong faranno gravare sul Sud una minaccia reale». A Parigi un giornalista ha domandato al capo aggiunto della delegazione sudvietnamita che ne sarebbe stato dei prigionieri politici; Nguyen Xuan Phong ha risposto con violenza: «Lei pone un falso problema, pertanto sta a lei risolverlo, non a mei». Le condanne Non si tratta di un «falso problema». Ci sono testimonianze che confermano come nel Sudvietnam «l'orrore faccia tuttora parte della vita quotidiana». Cominciamo con un «rapporto ineccepibile» pervenuto alla sezione italiana del Comitato internazionale per la liberazione dei DjigionierLjPoliticJ del y\e^ nam meridionale; è quello della missione d'inchiesta della sezione canadese del Comitato, redatto dopo un'indagine durata circa due settimane. Il rapporto, firmato dal vescovo Valleyfield, Guy Belangers e dal professor Georges A. Lebel, avvocato, docente di diritto a Quebec, afferma: «Abbiamo riportato dal Sudvietnam le prove dell'esistenza di prigionieri politici attualmente detenuti dal governo di Thieu; dei maltrattamenti e delle torture inflitti a questi prigionieri; della continuazione degli arresti e delle incarcerazioni a sfondo politico. Tutti i prigionieri detenuti a causa di condanne pronunciate dal tribunale militare lo sono illegalmente, in contrasto con la Costituzione sudvietnamita; essi sono prigionieri politici, riconosciuti del resto come tali dalla stessa amministrazione penitenziaria». La missione d'inchiesta ha potuto inoltre constatare l'esistenza di «una moltitudine di prigionieri in detenzione preventiva» arrestati da una delle undici organizzazioni poliziesche imperversanti nel Sudvietnam. I prigionieri sono esponenti religiosi, buddisti e cattolici, giovani pacifisti, studenti, poeti, avvocati, intellettuali, attivisti politici; sono vecchi resistenti al tempo dell'occupazione francese, quadri politici del Fin, sono familiari (madri, padri, fratelli, mogli e anche bambini) di chiunque sia sospetto di nutrir simpatie per l'Fln o per le posizioni neutraliste, o anche semplicemente chi contesti i metodi terroristici della polizia di Thieu. Tutti costoro sono stati imprigionati per eliminare ogni possibile opposizione al regime. Non si deve credere, prosegue il rapporto, che la firma degli accorda di Parigi abbia posto terarfne alla repressione, agli ar!sti, alla tortura. «Noi siamo in possesso di testimonianze che confermano come l'orrore faccia tuttora parte della vita quotidiana sotto l'autorità di Thieu. E' il caso, per citare un esempio, della quattordicenne Nguyen Thi Phuong Thao, arrestata la notte del 26 febbraio 1973 perché trovata con un libro di poesie appartenente a suo fratello, egli stesso deportato circa un anno fa a Poulo Condor» (il più terribile «campo» del Sudvietnam, 9857 detenuti). «Sul piano più vasto noi siamo entrati in possesso della copia d'un telegramma ufficiale inviato e firmato dal segretario vietnamita dell'Operazione Phoenix. Questa operazione, conosciuta anche sotto il nome di programma F 6 e di Operazione alba, sarebbe stata organizzala dai consiglieri americani avendo come obiettivo dichiarato la liquidazione fisica dei quadri e dei simpatizzanti del governo rivoluzionario provvisorio del Sudvietnam. Il telegramma, in data 5 aprile 1973, fornirebbe la prova che questa operazione prosegue tuttora». Un primo resoconto sulla «operazione» venne pubblicato nel febbraio 1970 da Robert Kaiser, corrispondente della Washington Post. Di fronte alle pressioni dell'opinione pubblica internazionale, il governo di Thieu, seguita il ratunsfincsecsendpavdCfpc«dzlgtrqrdmczdtgfpdpgdp\~gnpsse , i o , i r i i i i . e i o n e rapporto canadese, «procede attualmente a una riclassificazione dei prigionieri politici, trasformando il loro stato giuridico in quello di prigionieri di diritto comune». Tribunali lavoi'; senza posa per emettej^-rapide condanne senza j^a imputati, senza i d\{ensQfìrf«Nella settimana del 15 offrile, circa diecimila donne s^ho state trasferite dalla pria^bne di Thu Due a quella di mi Hiep per essere sottomesse agli stessi procedimenti sbrigativi. Verso il 15 febbraio, tutti i dossiers dei detenuti a Poulo Condor sono stati portati via al fine di trasformare i prigionieri politici in prigionieri di diritto comune». Conclude il rapporto: «Senza un energico intervento dell'opinione pubblica internazionale e una mobilitazione delle forze democratiche, molti prigionieri seguiranno la sorte di tanti altri, moriranno». Di rincalzo e a conferma del rapporto canadese viene ora quello presentato al Senato americano dal senatore Ted Kennedy, presidente della sottocommissione per le questioni concernenti i profughi e le popolazioni civili in Indocina. Si tratta di un documento — inedito — tipicamente americano: coraggioso e drammatico. Ci viene fornito dal Comitato italiano per la liberazione dei prigionieri del Vietnam del Sud. «Per troppi anni — scrive il senatore Kennedy — la questione dei prigionieri politici è stata oggetto di falsificazioni e di inganni da parte di Washington e di Sai\~góiff Per troppi anni la Questióne è stata nascosta sotto il tappeto dal nostro governo, come se non fossimo coinvolti o come se il problema non fosse mai esistito. Il protrarsi di questo atteggiamento è motivo di sgomento per me come per altri membri del Congresso e per milioni di americani. Quel che mi spinge oggi a intervenire non è soltanto la triste questione dei prigionieri, ma il più recente tentativo dell'amministrazione di "mascherare e ingannare" mediante la sua richiesta di ulteriori fondi per i programmi di assistenza e di ricostruzione dell'Indocina». Ted Kennedy afferma infatti che certe «voci» innocue degli aiuti nascondono il finanziamento della polizia sudvietnamita al fine di proseguire « il programma Phoenix ». tnelmncmsnnmnndsdChe accade? E' sempre difficile ottenere cifre sui prigionieri politici in regimi autoritari, continua il rapporto Kennedy, e ciò è vero per il Sudvietnam come per la Grecia, per il Brasile o per l'Urss; non occorre ricordare come in una guerra atroce come quella vietnamita vi siano state crudeltà da ambo le parti. Per quanto riguarda il Sudvietnam, Saigon, comunque, sostiene di non detenere affatto prigionieri politici. Ai primi di aprile, durante la sua visita in Vaticano, e in seguilo all'eloquente appello di papa Paolo VI in favore dei prigionieri nel Vietnam, il presidente Thieu ha detto: «Non esistono prigionieri politici nel Sudvietnam». Egli ha proseguito affermando che esistono, invece, soltanto due tipi di prigionieri: di «diritto comune», circa 21.000, e «criminali comunisti», circa 6000: il governo Thieu può usare qualsiasi termine che gli aggrada per definire i civili detenuti per motivi politici. Secondo il criterio internazionale, tuttavia, esistono nel Sudviet-1nam, oggi, prigionieri politici. ìA suffragio della sua -lemuri eia, il senatore-ifennedy cita tra l^altrjìr^arnpiamente, un documento dell'ambasciata americana di Saigon, dal quale risulta come, nonostante gli esercizi semantici del governo di Thieu, ci siano «molte migliaia di prigionieri politici nel Sudvietnam, non soltanto civili detenuti come "criminali comunisti", ma numerosi altri di varia astrazione politica». Mentre Thieu parla di circa 6000 «criminali comunisti», l'ambasciata Usa a Saigon, districandosi in una giungla di statistiche, parla di ventimila prigionieri politici di cui parecchi «dissidenti non comunisti». Diverse altre fonti, tuttavia, compreso il Grp, valutano la cifra in duecentomila. Anche Ted Kennedy, sulla scorta di documentazioni di fonte ufficiale americana, conferma come il governo di Saigon stia «sistematicamente riclassificando» i prigionieri politici per spacciarli come prigionieri di diritto comune. «Che cosa accade — si chiede Kennedy — ai cosiddetti "dissidenti non comunisti", per- sone come la signora Ngo Ba jTJìarihi'ì dirigenti studenteschi, i giornalisti, e tutti gli altri il cui unico crimine può essere stato di aver esercitato la libertà di parola? ». Il regime di Saigon non risponde a questo angoscioso interrogativo perché non ammette l'esistenza di prigionieri politici. Scrive ancora Ted Kennedy: «Funzionari americani, rispondendo alle domande, ammettono, invece, l'esistenza dei prigionieri politici, ma sostengono che non è un affare che ci riguardi. Essi dicono che quella dei prigionieri politici è una questione interna del Sudvietnam. Questa presa di posizione americana è veramente incredibile. Dopo anni di pesante coinvolgimento degli S.U. in ogni aspetto della vita vietnamita, dopo anni di programma Phoenix e di programmi di sicurezza pubblica, dopo anni di costruzione di prigioni e di finanziamento della polizia che arresta e imprigiona i civili, non possiamo ora pretendere che i prigionieri politici siano un affare interno del Sudvietnam ». Igor Man