"Colonie,, in Europa di Carlo Casalegno

"Colonie,, in Europa Gallesi, baschi, sardi, eccetera "Colonie,, in Europa Sergio Salvi: « Le nazioni proibit i », Ed. Vallecchi, pag. 623, lire 10.000. In questo libro sorprendente e paradossale, il poeta e filologo toscano Sergio Salvi muove da un dato di fatto indiscutibile: il risveglio dei movimenti regionali nell'Europa postbellica. Proprio mentre gli Stati nazionali constatano di doversi unire in società più vaste e multinazionali, risorgono antichi particolarismi e s'afferma il bisogno di rafforzare le autonomie locali. E' una necessità politica e psicologica di equilibrio; e se il centralismo ottocentesco rivela le sue insufficienze, l'autogoverno ha bisogno di reggersi su un profondo attaccamento alla « piccola patria ». Dove esistono motivi gravi di protesta per la depressione economica, l'isolamento psicologico o il disinteresse d'un soffocante potere centrale, le spinte all'autonomia possono diventare volontà d'indipendenza: lo abbiamo visto in Sicilia. Dove un potere dittatoriale non tollera l'autonomia, la risposta viene trovata nella guerriglia: come nei Paesi baschi. Ma atti isolati di terrorismo non accadono soltanto nei regimi dispotici: dalla Scozia ai Grigioni i fanatici del regionalismo adoperano le bombe. Su questa realtà, Sergio Salvi costruisce una tesi attraente ma paradossale, e la sostiene con una passione da crociato. In Europa, egli afferma, non esistono soltanto regioni che rivendicano l'autonomia; esistono « nazioni private del diritto di esistere », tenute in condizioni coloniali, sottoposte a un intollerabile processo di sfruttamento economico, di alienazione culturale, di rifiuto di identità. Esse sono almeno dicci: Alba (la Scozia), Breizh (la Bretagna), la Catalunya, il Cymru (il Galles), l'Euzkadi (il Paese basco), il Friul, il Fryslàn (le terre frisone), il Kernow (la Cornovaglia), la Sardigna, l'Occitania (l'antico Paese dei trovatori e della lingua d'oc). Insieme formano « il Terzo Mondo del nostro Continente »; e sono ì :ù oppresse della Cecoslovacchia, perché gli occupanti sovietici non negano a cechi e slovacchi l'identità nazionale. In seicento lunghe e dotte pagine, l'autore si sforza di fornire una triplice dimostrazione. Questi dieci gruppi etnici sono nazioni, perché «comunità caratterizzate da unità di territorio, di vita economica, di cultura, di vicen¬ de storiche ». Sono nazioni proibite, perché gli Stati cui appartengono non ne riconoscono l'identità. Sono irredente, perché stanno combattendo una battaglia più o meno estesa, più o meno dura, per salvare la propria anima ed i propri interessi, con rivendicazioni che vanno dall'autonomia all'indipendenza, dalla richiesta d'una maggiore giustizia alla revisione degli attuali confini. L'elenco di Sergio Salvi può destare qualche sorpresa. Chiunque legga i giornali, sa che baschi e catalani si battono contro il centralismo autoritario di Madrid per ottenere un'autonomia perduta da tempo e il diritto d'essere spagnoli « diversi ». Sa che gallesi e scozzesi rivendicano, in nome d'una fedeltà mai smentita al loro passato, un maggior distacco dall'Inghilterra. Non ignora il malcontento dei bretoni, le proteste contro Parigi. Ma forse non aveva mai pensato che friulani e sardi, dopo l'autonomia regionale, possano sentirsi « nazioni proibite » e soprattutto si chiederà che cosa sia l'Occitania, la più vasta e importante di queste nazioni irredente, con 12 milioni d'abitanti: è il Sud della Francia, più una fettina del Piemonte dove si sono rinvigoriti da qualche anno il sentimento di un grande passato comune, l'amore delle tradizioni, la difesa della lingua. Proprio l'inserimento dell'Occitania tra le « nazioni proibite » conferma il carattere paradossale, o la fragilità, della tesi sostenuta di Sergio Salvi e la gran confusione tra problemi diversi. In che modo sono « oppressi » quei dieci popoli privati dell'identità? Le loro difficoltà economiche sono del tutto indipendenti dallo statuto nazionale: la Calabria è povera quanto la Sardegna, la Bretagna vive la stessa crisi del Massif Central, tutti i Paesi nordici hanno il loro Mezzogiorno nelle province settentrionali. La richiesta di autonomia anche linguistica non s'accompagna affatto, nella enorme maggioranza dei casi, all'irredentismo: sardi o friulani, bretoni o occitani, si sentono anzitutto buoni italiani e buoni francesi; neppure i catalani pensano a un distacco dalla Spagna. E la « coscienza nazionale » è assai meno forte e diffusa di quanto l'autore lasci credere: mentre l'80 per cento dei catalani parla il catalano, solo un terzo dei bretoni parla il bretone, lo scozzese è praticamente una lingua morta, l'occitano è la lìngua-dialetto di una minoranza. Sbagliato nelle conclusioni, questo libro è tuttavia utile: come difesa di validi patrimoni culturali, come attacco al mito « bonapartista » della omogeneità forzata e accentrata degli Stati nazionali, come contributo alla battaglia per le autonomie. Nella libertà e nel rispetto dell'uomo si risolvono senza tragedie anche i problemi veri delle « nazioni proibite ». Carlo Casalegno Nevenoe, primo re di Bretagna, in una stampa moderna

Persone citate: Gallesi, Sergio Salvi