Napoli con rabbia

Napoli con rabbia INCHIESTA SULLE GRANDI CITTÀ Napoli con rabbia Dal progetto di risanamento del 1886 alle imprese di Lauro, è stata una lunga catena di errori e di speculazioni: la città venne devastata senza risolvere nessun problema - Con il voto contrario al piano regolatore del '72, si sono fermati gli sventramenti: ora si tratta di dare al centro storico uno sviluppo razionale (Dal nostro inviato speciale) Napoli, giugno. Il lungo budello che solca la vecchia Napoli da via Roma al rione Forcella, passando per il Gesù Nuovo e Santa Chiara, offre uno spaccato della città. La visita è indispensabile per capire come il problema napoletano, quasi disperato, richieda soluzioni eccezionalmente complesse e costose. Cinquecento miliardi per il solo risanamento delle abitazioni addensate nella galleria di miserie che comprende i quartieri di origine greco-romana, i quartieri aragonesi e quelli spagnoli, fino alle scalinate di Santa Lucia, con un totale di mezzo milione di abitanti. Dentro i vicoli La passeggiata a piedi in via San Biagio dei Librai, la strada dedicata alla memoria di Croce, rivela tutto: la densità (si arriva a punte di 60 mila persone per chilometro quadrato), la mancanza di luce e di aria, l'assenza dì igiene pubblica, l'assoluta povertà di servizi. I bambini e i ragazzi vanno a scuola soltanto 4 giorni su 6, a ore alternate con tripli turni, in aule di fortuna. Ogni anno 30 mila nuovi analfabeti. Nelle case l'affollamento medio sale dall'indice napoletano di 1,32 a 2 abitanti per vano, anche tre. Nei vicoli laterali, bui e tappezzati di immondizie, si aprono squarci improvvisi, case più basse con balconi cadenti, qualche cascata di gerani rossi. I cortili dei palazzi maggiori sembrano grotte forate da finestre e scale. Sul portone l'immancabile cartello: « Compro oro, anche se pignorato », con la freccia che indica il vicino negozio di un piccolo orefice, intento alla partita a tressette. La vendita di un oggetto d'oro, magari già dato in pegno al piccolo usuraio del caseggiato, è l'ultimo atto dell'« economia del vicolo », questo sistema inventato giorno per giorno per sostituire il lavoro fisso in una città che conta 170 mila disoccupati e sottoccupati. Nei vicoli del centro antico soltanto tre napoletani su dieci hanno un lavoro regolarmente retribuito. Fra essi i guantai e i calzolai che hanno organizzato il lavoro a catena per conto di industrie: da un « basso » all'altro passano suole, tacchi, tomaie, con una massiccia produzione a domicilio. Riassumo alcuni fatti noti ripetuti nei quartiei-i spagnoli a monte di via Toledo, per introdurre la domanda oggi divenuta impellente: come risanare questa Napoli che riduce la condizione umana a livelli intollerabili? Come intervenire senza distruggere le misteriose doti che custodisce al suo interno? La solidarietà del vicinato, gli affetti, una cultura minuta e insostituibile (è significativo che la violenza esploda quando gli abitanti dei vecchi rioni si trasferiscono con i loro ragazzi nei quartieri nuovi di periferia, dove i reati contro la persona fisica sono in aumento). Dal progetto di « risanamento» del 1886 alle imprese di Lauro la catena di errori e di speculazioni si è allungata secondo un modulo preciso: leggi speciali (42 in un secolo), sventramenti (il famoso « rettifilo » denunciato ai suoi tempi da Pasquale Villari), espulsione degli abitanti. Nel 1886, pur di sloggiare i residenti nelle case destinate alla demolizione, furono murate porte e finestre, costringendo la povera gente a fuggire da qualche varco. Oggi il sistema è meno scoperto. Si lascia che il processo di degradazione arrivi a uno stadio estremo mentre sorgono attorno a Napoli diverse occasioni di trasferimento. L'abbandono dei vecchi quartieri diventa così spontaneo. Si fa posto a semigrattacieli; negozi e residenze di lusso prendono il posto delle povere abitazioni. C'è il precedente del rione Carità, considerato un esempio spregevole anche dagli amministratori locali. Il piano regolatore adottato dal Consiglio comunale il 12 marzo 1972 apriva i quartieri spagnoli a questo tipo di trasformazione. Il centro più antico, attorno a Santa Chiara, veniva considerato a parte come una cittadella. Le zone di via Roma-via Toledo e di San Ferdinando potevano essere largamente manomesse. E' illuminante quel che mi dice l'assessore all'urbanistica Bruno Milanesi: « Il piano adottato dal Comune prevedeva nuove strade, tutto un sistema di viabilità che avrebbe migliorato il traffico ». Sulla carta osservo i segni rossi delle strade attraverso una parte della vecchia Napoli: in nome del traffico, sventramenti, demolizioni massicce. Il piano avrebbe consentito, nei quartieri spagnoli, radicali trasformazioni d'uso: dai « bassi » di Toledo alla speculazione dei centri commerciali. Questo tipo di ri¬ sposta al problema napoletano non fu approvato dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, chiamato a giudicare il piano regolatore. Il dibattito nazionale ed europeo sui centri storici non era passato senza frutti. A Roma bocciarono il piano adottato dal Comune e lo restituirono nel marzo '72, modificato radicalmente: tutto il centro storico, compresi i quartieri spagnoli da via Roma a Chìaia e S. Lucia, è sottoposto a vincolo di tutela. La struttura viaria è immodificabile. Il Consiglio superiore ha dato una prescrizione precisa: prima di progettare ogni intervento deve essere compiuta l'indagine conoscitiva, accertando la consistenza, le condizioni e gli usi del centro storico, cioè di mezza Napoli. Cesare De Seta mi dice: « E' stato un voto prezioso per capovolgere la tendenza a enucleare qualche porzione del centro storico abbandonando il resto a risanamenti di tipo speculativo. Si apre ora la fase più diffìcile. Si tratta di progettare con coerenza il futuro della vecchia Napoli ». E' in gioco la città intera, che nella parte antica ha il suo cuore. I pareri non sono affatto concordi. C'è una corrente che nega al centro storico di Napoli omogeneità e valori tali da renderlo intoccabile. Sentiamo l'architetto Michele Capobianco: « Io mi domando che cosa ci sia da ripristinare integralmente, a parte isolati monumenti. Le antiche architetture sono state stravolte attraverso i secoli, aggiungendo piani e sovrastrutture a edifìci generalmente bassi, da cui emergevano i monumenti. Non c'è che un termitaio, carico di drammi umani e sociali ». Il presidente della giunta regionale, Alberto Servidio, già assessore all'Urbanistica in Comune, mi dà un parere analogo: « AU'infuori dei monumenti non c'è nulla da conservare. Le norme di conservazione assoluta sono pura follia ». La città vera Eppure quel « termitaio », così ricco di contraddizioni e di conflitti, igienicamente condannato, è Napoli stessa. Un centro storico non è fatto di soli monumenti; questo è un dato che la cultura urbanistica ha acquisito da un pezzo. Non si deve trarre dalla povertà delle architetture e dalla diffusa degradazione degli edifici l'invito a squarciare e demolire, ripetendo gli errori del Rinascimento. « Quel che manca è l'idea nuova, la formula giusta per trattenere gli abitanti nei loro quartieri offrendo loro al tempo stesso condizioni civili e igieniche accettabili », dice De Seta. Impresa enorme. Almeno 250 mila napoletani dovrebbero lasciare temporaneamente le loro case nel corso di radicali lavori. Sono da inventare gli spazi per le scuole, gli asili, le unità sanitarie, i servizi sociali. Non c'è, letteralmente, un centimetro quadrato di verde dalla Stazione Cen¬ trale a piazza Municipio. Soltanto i vasi di fiori ai balconi, qualche ghirlanda di arance e limoni sulle bancarelle di frutta e di acqua fresca. Il fitto intreccio di vicoli che si spinge fino a via Chìaia, alla Nunziatella e alla zona di Castel dell'Ovo è interamente da risanare. Come? Con quali metodi di intervento? Nessuno sa ancora dirlo e c'è da temere che l'amministrazione comunale non faccia grandi sforzi per affrettare il passaggio alle proposte concrete. L'assessore Milanesi è apertamente scettico: « Conservazione, tutela: belle cose, ma richiederebbero un impegno pazzesco. Due o tre miliardi per la sola indagine conoscitiva. Per il restauro occorrono da 500 a 1000 miliardi. Il piano regolatore impone piani particolareggiati per le singole zone, e ci vogliono altri 9 miliardi. Non c'è neanche una lira. Anche se piovesse dal cielo una legge speciale, con finanziamento straordinario, nascerebbero gravi problemi di ordine giuridico e sociale: a chi dare i quattrini, con quali garanzie? ». Una soluzione radicale di tipo svedese, con esproprio generalizzato, non è stata possibile a Bologna. Sono intuibili le resistenze a Napoli. La questione del centro storico non è isolabile. Condiziona l'intera città, anche la parte nuova coperta a tappeto dalle case. Due terzi del territorio comunale sono urbanizzati. Alla fine del 1968 furono rilasciate 54 mila licenze, per 94 mila vani. Dal 1951 al 1967 vennero costruiti 469 mila vani, dimezzando teoricamente l'indice di affollamento (in realtà si moltiplicarono i vanì di lusso e per i ceti medi, stipando il Vomero). La popolazione costretta a lasciare la vecchia Napoli inabitabile è finita nei nuovi quartieri di ultimo rango. Appendici urbane, prive di servizi, sorte a Fuorigrotta, Soccavo, Barra, Ponticelli. Una seconda emigrazione si è rivolta ai Comuni della cintura esterna. « A Casoria i nuovi abitanti vivono in veri e propri ghetti. A Casavatore l'antica struttura contadina è stata dilaniata da una crescita esplosiva », mi dice Mario Catalano. « Fuggono da Napoli verso il miraggio delle nuove industrie, e si trovano disoccupati in ambiente estraneo ». Attorno al miraggio Alfasud si parla di 20 mila nuovi disoccupati: illusi venuti da Napoli, operai e artigiani di piccole ditte invecchiate e costrette a chiudere. « Vogliamo liberare il tessuto urbano di Napoli per riqualificarlo », dice il presidente Servidio. La Regione può mettere ordine in questi moti confusi, con un piano territoriale. Si parla di allontanare le industrie pesanti e inquinanti, ma la stessa parola « riqualificazione » fa intravedere rischi notevoli. Se ITtalsider se ne andrà da Bagnoli (molti ne dubitano) l'arco costiero fino a Miseno diventerà una cittadella di lusso per turisti, con nuova espulsione di abitanti? E' una prospettiva che gli abitanti rifiutano, come rifiutano lo svuotamento del centro storico. La vecchia Napoli impara a riconoscersi e a difendersi, fuori dei miti grossolani del napoletanismo. . . .ri Mario Fazio Napoli. Piccolo contrabbando di sigarette: anche per i giovanissimi vale l'arte antica d'arrangiarsi (Foto Team)