Milano: momento della verità per la gestione dei quartieri di Mimmo Candito

Milano: momento della verità per la gestione dei quartieri Dispute sul decentramento comunale Milano: momento della verità per la gestione dei quartieri I comitati sono sorti nel 1968: venti zone di quasi centomila abitanti l'una, che avranno piena capacità decisionale su tutti i problemi che riguardano il quartiere II pensiero dell'assessore democristiano Borruso, accusato di "utopie sociologiche" (Dal nostro inviato speciale) Milano, 13 giugno. A Palazzo Marino, quando la Giunta comunale discute sul decentramento, c'è sempre maretta. « Sono le baruffe meneghine » ammette sorridendo il vicesindaco Borruso. Ma son grosse liti politiche. Per Milano, forse 2 milioni d'abitanti, mare d'immigrati, una città che si sfa orgogliosa e s'arrampica su se stessa tentando nuovi spazi, il decentramento ha atto di nascita 1968: 20 zone di quasi centomila abitanti l'una, 400 consiglieri, un discorso faticoso a mezzo tra burocrazia e politica, per ridurre in termini più umani una geografìa urbana e sociale ormai scoppiata. E Andrea Borruso — democristiano, basista dissidente, molto impegno nel movimento « Comunione e libertà » — è l'assessore che c'è dietro al decentramento, fin da quell'anno. Ma «ne è diventato come un padre, ci mette troppa passione», sussurrano di lui con gravità molti compagni di partito, quelli che stanno alla destra. E fanno intendere di voler dire: non ha più il necessario distacco dell'amministratore pubblico, deve mollare. Borruso lo sa. Sa quello che si dice di lui, e quello che significa. E ribatte deciso: «O si fa "questo" decentramento o passo la mano ad un altro». Ma il tono non lascia dubbi. In effetti, quello che si sta avviluppando in Giunta, in Consiglio comunale, nelle segreterie dei partiti di centro sinistra, all'interno degli stessi partiti perfino, non è uno scontro su un uomo o sulle sue possibili debolezze e simpatie, ma è la battaglia decisiva per lo stesso decentramento. Perché a questo punto, dopo cinque anni ormai di «fase sperimentale», non si può più giocare sulle attese e sugli equivoci: e la delibera-quadro «per la realizzazione della seconda fase», proposta in Giunta da Borruso alcuni giorni fa, è tritolo, che non lascia tempi di fuga a chi vuol fare demagogia e non politica. Nessuno, infatti, forse nemmeno i missini, si dicono contrari al decentramento, nelle discussioni che si tirano lunghe in Consiglio comunale. Ma poi, nella realtà, quanti sono disposti ad accettare i risultati politici e la potenziale carica di rottura d'un discorso fatto con la dichiarata ambizione di avviare «un processo pedagogico che costruisca giorno per giorno una cultura alternativa rispetto alla "cultura del silenzio" »? Il discorso nasce dall'analisi delle motivazioni dell'inefficienza dimostrata dai 20 Consigli di Zona: privi di ogni potere decisionale, sono stati considerati «un passaggio burocratico inutile» dagli abitanti dei quartieri, e scavalcati da tutti i comitati di base (comitati di genitori, scolastici, commissioni, assemblee popolari), che preferivano puntare subito sull'assessore competente o sulla Giunta, cioè là dov'era il momento decisionale. In questa «seconda fase», invece, si vuol fare del governo urbano «un sistema politico policentrico, con una ridistribuzione del potere nella città»: i 20 Consigli di Zona avranno totale capacità decisionale (grazie ad una finzione giuridica) su tutti i problemi che riguardano direttamente ed esclusivamente il quartiere. Un mercatino rionale posto in condizione ingombranteuna strada dissestata o poco illuminata, ima zona da destinare a verde pubblico, per i giochi dei nostri bimbi, il traffico da riorganizzare, una scuola da costruire, un prò getto edilizio che diventa tentativo di speculazione: sono i problemi minuti della nostra vita di ogni giorno, diversi nei diversi quartieri, uguali solo perché comuni a tuttiOggi difficilmente risolvibiliperché ingoiati da una macchina burocratica sulla quale minimo o affatto nullo è il nostro potere d'intervento e correzione; ma ben altra realtà, quando il potere di risolverli sarà del Consiglio di Zona, cioè d'un «luogo geografico e politico» a più immediato contatto con la nostra esperienza personale. Questo, il discorso «tecnico » di Borruso. Che, non dimentichiamolo, ha anche un significato «politico», al di là dell'aspetto della razionalizzazione e dell'efficienza: il suo processo pedagogico della partecipazione, una volta avviato, «darà corpo e strumenti al diritto di tutti ad inventare una nuova e assolutamente originale dimensiondell'esistenza, della convivenza urbana ». «Utopie sociologiche», glribattono molti suoi avversari, le cui accuse di «fumositànon riescono però a nascondere le serie preoccupazionche ricavano da un progettche tende a trasferire «poterpolitico» lontano dalle tradizioni centrali. «Ho avversar nel psi come nel pei, ma i più I bduri attacchi me li fanno cun'ala del mio partito e i so- «cialdemocratici soprattutto», Bconfessa Borruso. ] sReplica Orazio Picciotto pCrisafulli, vicesegretario del \ psdi: «Il problema del decen- \ Qtramento è importante, e la ! psua soluzione sta a cuore an- ' lche a noi, come a Borruso. i Ma vogliamo cose chiare. Né j osi può accettare la nascita \ d'un organismo che, invece di, collaborare con l'Amministrazione, finisce per contestarla. L'Amministrazione ha poteri suoi nell'interesse generale, e j deve poterli esercitare». I Diversa è l'opinione di Um-1 berto Dragone, il capo dei socialisti di Palazzo Marino: «L'impegno, la passione di Borruso sul decentramento sono fuori discussione. E' la proposta globale del suo prògetto che non ci convince, Quella carica fideistica che punta a comitati di base che liberamente si organizzano, in un intreccio di russoismo e olìvettismo. Ma non vogliamo essere confusi con chi teme, e contrasta, il trasferimento di poteri alla base: la nostra differenziazione da Borruso sta invece nel fatto che noi vedia- mo il decentramento come uno strumento di mobilitazìo- ne popolare sui grandi temi, Con esso noi riteniamo più facile una presa di coscienza sul problema che la città oggi si pone come uno dei momenti dello sfruttamento capitalistico. Il decentramento è un modo per aprire le contraddizioni della "città gerarchica" e per svelarne i meccanismi dì decurtazione del salario e di disumanizzazione». Come già a Genova, anche a Milano il decentramento sta vivendo il suo momento della verità. Difficile non vederlo come un riflesso del dibattito in cui si confrontano oggi le forze politiche della società italiana. Mimmo Candito n a Bimbi spensierati in un parco giochi alla periferia di Milano (foto Grazia Neri)

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