Burrascosa udienza al processo sul bando firmato da Almirante di Fabrizio Carbone

Burrascosa udienza al processo sul bando firmato da Almirante Il dibattimento si trascina da oltre due anni Burrascosa udienza al processo sul bando firmato da Almirante Il segretario del msi ha sempre affermato che si tratta di un falso - La difesa de "l'Unità" e "Il Manifesto", querelati per diffamazione, esibisce documenti per provarne l'autenticità -1 giudici torneranno a riunirsi il 3 luglio prossimo (Nostro servizio particolare) Roma, 12 giugno. Si chiama processo per direttissima, perché il reato è «diffamazione a mezzo stampa»: va avanti, tra un rinvio e un altro, da due anni e mezzo. Oggi, dopo una mattinata burrascosa, il tribunale ha fissato la prossima udienza al 3 luglio. Da una parte c'è Giorgio Aimirante, che si ritiene diffamato; sul banco degli accusati ci sono i giornalisti Carlo Richini e Luciana Castellina, responsabili de l'Unità e de Il Manifesto. All'origine del processo è il famoso «bando repubblichino» del 17 maggio 1944, firmato da Almirante quando era capo di gabinetto del Minculpop (ministero della Cultura popolare). Il bando era stato affisso in molte città e paesi della Maremma toscana e fu conservato negli archivi del comune di Massa Marittima. Nel testo, che riprendeva un decreto fascista dell'epoca, si minacciava la fucilazione dei disertori e dei partigiani, chiamati «bande armate». Quando, all'inizio del '71, i giornali pubblicarono il testo del bando, con fotografia e commento, e molti Comuni lo riprodussero affiggendolo sui muri il segretario missino querelò tutti; affermò che si trattava di un falso e che lui, al tempo della Repubblica di Salò, era un «oscuro burocrate» di secondo piano, che lavorava al servizio del ministro Mezzasoma. Si iniziarono i processi per direttissima. A tutt'oggi se ne sono conclusi quattro: a Reggio Emilia, Trapani e Modena i «diffamatori» sono stati as- solti perché il fatto non sussiste; a Isernia c'è stata, invece, una sentenza assolutoria «per insufficienza di prove sul dolo ». I processi continuano, ma a rilento: i patroni di Alminiute, che non si presenta in aula, vogliono perdere tempo perché le controparti presentano ogni volta prove e testimoni, che inchiodano il leader del msi alle sue responsabilità. Ed è questo il motivo per cui il processo di Roma non ha neppure superato la fase d'istruzione della causa. «Una sentenza di assoluzione dei querelati a Roma — hanno detto oggi i difensori dei due giornalisti — è troppo grave per Almirante, che, tramite i suoi legali di partito, tenta tutte le carte per il rinvio». Nella prima parte dell'udienza aveva parlato a lungo l'avvocato Nencioni, cercando in tutti i modi di scindere le responsabilità dell'ignoto funzionario Almirante da quelle dei fascisti che dirigevano la Repubblica di Salò. Nencioni ha sostenuto che il Minculpop non poteva dare alle stampe un tale manifesto perché non di sua competenza; che era incredibile che un bando del genere fosse firmato da un capo di gabinetto; che lo stesso manifesto è falso e, quindi, prima di ogni dibattito in aula se ne dovrebbe provare, con perizia chimica e merceologica, l'autenticità. A tutte queste argomentazioni hanno risposto i difensori di Richini e Castellina, avvocati Tarsitano e Malagugini. «Ci vogliono fare credere — ha detto Tarsitano — che in quella fase tragica della nostra storia esistevano una burocrazia e limiti di competenze e un capo di gabinetto era, in sostanza, un impiegato. Si dimentica, invece, che in quel momento, mentre i partigiani combattevano su un vasto fronte, i repubblichini tentavano di reprimere la resistenza. A riprova di tutto questo esibiamo alcuni documenti che, più di ogni altra cosa, smontano le tesi difensive di Almirante». Tarsitano ha mostrato al presidente del tribunale il decreto — del 5 maggio 1944 — in cui Almirante viene nominato capo di gabinetto di Mezzasoma, smentendo così la tesi di Nencioni, il quale aveva riferito che il giornale II Telegrafo ne annunciò la nomina il giorno 12 dello stesso mese. Con un altro documento — del 13 maggio '44 — della prefettura di Vicenza, Tarsitano ha dimostrato che non solo il Minculpop era responsabile della diffusione dei manifesti, ma che, proprio in quei giorni, aveva «predisposto» l'affissione di n 4000 manifesti e la diffusione di 10 mila volantini. Sull'autenticità del bando, l'avvocato ha esibito un documento dell'archivio centrale dello Stato, nel quale si afferma che la diffusione del documento — in realtà un decreto del 18 aprile '44 firmato da Mussolini e controfirmato da Graziani e Pisenti — fu organizzata con disposizioni emanate a tutte le province dell'Italia centro-settentrionale, sia da parte del capo della polizia sia del Minculpop, che «curò anche il testo di un manifesto, inviato con telegramma n. 12282 a tutte le prefetture». Per ultimo è stato mostrato il testo di una nota inviata ai capi delle province, firmata Almirante, sulkasione e organizzazione della propaganda». E' stata, questa, una mazzata per i difensori missini, che avevano tentato di dipingere l'Almirante di allora come un «imboscato». Alla breve replica di Nencioni ha ribattuto Malagugini affermando che è assurdo sentire nell'aula di un tribunale di oggi una lezione sulle regole di correttezza amministrativa dai repubbli-1 chini. «Allora erano il terrore e la morte a governare», ha detto. A questo punto Nencioni ha interrotto più volte Malagugini, asserendo che le afferma¬ zioni dell'avvocato erano false. E' nato un battibecco e Malagugini ha urlato: «Ora basta. Non accetto accuse da questa parte politica. Sei un pagliaccio! Sei un pagliaccio!». Il tribunale si è, quindi, ritirato per decidere. Alle 14,30 il presidente ha dato lettura del verbale: si ammettono i documenti esibiti dalla difesa dei giornalisti querelati e ci si riserva sull'incidente di falso, chiesto dai legali missini. Fabrizio Carbone Giorgio Almirante