Azzurri, fatevi vedere di Giovanni Arpino

Azzurri, fatevi vedere Acciacchi, tattiche e "cariocas,, permettendo Azzurri, fatevi vedere i Dal nostro inviato speciale) Roma, 8 giugno. E' arrivato il Brasile campione del mondo come primo ospite d'onore per il giubileo della nostra Federazione calcistica. Seguirà, giovedì prossimo a Torino, l'Inghilterra, tradizionale «madre» del pallone. Il doppio confronto di football s'inquadra in un calendario di gala, tanto legittimo quanto ambizioso. Ci auguriamo che, sul campo, gli azzurri possano e riescano a celebrare l'avvenimento spendendo i «resti» delle loro attuali forze, anche troppo illividite. Si è detto, da parte di molti: la Federazione compie 75 anni, ma non li dimostra. Si è aggiunto, in coro festoso: è un compleanno sportivo che riverbera il suo fascino partendo da un lontano ieri e prolungandolo fino al domani, secondo bilanci e prospettive stimolanti. Forse siamo nel vero, anche se quel pizzico di retorica in più può dar fastidio: non possiamo infatti dimenticare che il famoso «esercito in mutande» di cui spesso s'è parlato con il granduca Artemio Franchi è quasi un popolo entro il popolo. Settecentomila iscritti che aumentano di oltre centomila unità annue: di qui una necessità di «quadri» dirigenziali che stentano, oggi come oggi, e nuove strutture organizzative, nuovi programmi, moderne articolazioni da studiare in sede politica e regionale. Dietro la facciata, bellissima, della tradizione settantacinquenne, ci sono problemi immensi, sfasature economiche, debiti e crediti, necessità di interventi governativi, che le pressioni dal basso rendono urgenti. Strumento di popolo, il football italiano non è mai stato investito, come oggi, da tanti cumuli di speranze e stimolazioni di mercato. E adesso siano benvenuti gli azzurri, massimo gioiello della Federcalcio. L'ultima nazionale, tra caviglie abbottate, tendini guasti, nervi sciatici dolenti, sembra costruita, a quattro mani, per di più chirurgiche. Zio Ferruccio ha dovuto subire interventi esterni, perché que- sta e quella «piazza» non contestassero decisioni tecniche e scelte di uomini. All'Olimpico di Roma e al Comunale di Torino è indispensabile la «gran parata», quasi a prescindere dai gol italiani o brasiliani o inglesi. Ma è possibile autofesteggiarci con una sconfitta? Crediamo proprio di no. Il Brasile di Zagallo ha quasi messo in pensione l'aureo Pelé, e studia nuovi moduli per affrontare degnamente il futuro mondiale '74. Oggi dei suoi supercampioni messicani ne schiera pochissimi, e nemmeno i più forti, tranne Jairzinho. Zagallo si appresta a uno schema elaborato sulla formula d'un 4-1-23, che prevede l'invenzione di un «libero» manovriero schierato avanti oltre i quattro terzini. A Roma sarà Clodoaldo, essendo Gerson acciaccato. Zagallo si accontenterebbe di un pareggio, e l'ha detto a chiare lettere, e quasi ci staremmo anche noi, viste le condizioni di vari azzurri e la confusione tattica che appare in teoria sulla lavagna del nostro carissimo Rosso Antico. Zio Ferruccio assicura che un mediano di ruolo non gli serve, che sono «tutti centrocampisti», e quindi rispolvererà un Rivera che nel Milan quest'anno ha giocato spesso come punta, sposta Mazzola e Capello a destra, inventa un Bellugi testé risanato di ferite, spera che Riva trovi il gol a costo di infiammare la sua sciatica, sogna che Pulici si confermi centravanti di grinta e di razza (vedremo come lo lanceranno, il nostro «Gordon»). Poi c'è Chinaglia, il «jumbo» chiacchierone, che fa calcio parlato come un comiziante ed eccita i suoi tifosi locali pur di poter disputare un tempo della partita. E c'è il ricordo di quella gara a Città del Messico, con i sei minuti riveriani, Pelé imperante, e i «nostri» già appagati dalla vittoria sui te¬ deschi. Le motivazioni tecniche, tattiche e memoriali per questa partita romana non mancano davvero. Si può prevedere un pomeriggio stanco, con i «cariocas» al piccolo trotto, astuti, e con gli azzurri che tessono trame casuali. Ma qualche vampata, e cioè periodi di gioco serio, non dovrebbero mancare. Noblesse oblige, e più ancora obbligherà contro gli inglesi di Ramsey, recentemente disfatti a Katowice dai polacchi, malgrado la comprovata protervia atletica. La Nazionale ospedaliera — com'è stata chiamata — non intendiamo proprio giudicarla prima di averla vista sul campo. Quasi non porta colpe: è nata da un minestrone di congetture geopolitiche e di necessità muscolari. Zio Ferruccio, per una volta, gode della nostra privata amnistia, anche se avrebbe dovuto convocare «Furia» Furino (che avrebbe infastidito assai quel Clodoaldo «libero di regìa») anche se proprio non sa come cavarsela con Mazzola, anche se lascia a Rivera la libertà dei soliti giudizi, sempre più blesi. A dirla franca, speriamo in I Facchetti Magno, in Zoff, in Capello, in Riva, persino in | Benetti se non perde la trebisonda, e in Pulici se potrà usufruire di «lanci» agibili. Su Rivera e Mazzola deciderà il campo, deciderà la vena egoistica che talora li ispira, talora li imbrana fino alla ruggine. Tra pochi sani e tanti «nariocas» giovani, il football d'oggi all'Olimpico è da vedere sopra e sotto le righe, evitando qualche sicuro sbadiglio. Poi verranno gli inglesi, e sarà un'altra grancassa. Chissà se per i suoi 75 anni la Federazione ritrova il vecchio «stellone». Amichevole sì, ma mai troppo, nel football professionistico attuale. Gli azzurri dovrebbero (e usiamo apposta il condizionale) ricordarsi di quanto dissero dei brasiliani tre anni fa: cioè che a livello del mare li avrebbero battuti. Ebbene: qui è il livello giusto, Pelé sta in poltrona, l'obiettivo resta, in ogni caso, Monaco '74. Scherzate pure, ragazzi, ma nell'area altrui. Giovanni Arpino Zagallo, c. t. dei brasiliani, lavora ad una nuova squadra per i mondiali '74. Il « dopo Pelé » sarà un periodo difficile per il football dei campionissimi? (Dis. di F. Bruna)