Libertà di carta

Libertà di carta La lettera del sabato Libertà di carta Che le libertà democratiche, anche se proclamate e sancite, restino spesso puramente formali essendo il loro godimento condizionato dal sistema in atto dei rapporti civili, etico-sociali, economici e politici, è verità non più contestata salvo che dai fedelissimi del credo liberale. Dapprima discopcr:n dai teorici del movimento operaio (e divenuta anzi in seno a quest'ultimo causa di profondi dissensi in tema di strategia fra chi ne traeva la conseguenza che, dunque, fosse del tutto inutile combattere per conquistarle queste libertà e chi riteneva che, semmai, si sarebbe poi dovuto ancora combattere, conquistate che fossero, per riuscire ad esercitarle nella loro pienezza) essa, al pari di altri momenti della concezione dialettico-materialistica della storia, come quello della lotta di classe, è venuta sempre più compenetrando il comune modo di pensare a mano a mano che, nel processo evolutivo del sistema, i fatti vennero dandone incontestabile riprova. E a tal punto da ottenere addirittura collocazione, magari indiretta, in testi meditati e di ufficiale impronta quale è la nostra Costituzione là dove, col suo citatissimo articolo 5, essa impegna la Repubblica « a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese ». Ora di tutto ciò gli italiani ricevono in questi giorni una prova clamorosa dal caso, non certo inopinato per chi della nostra democrazia non si faccia soltanto sciacquio di belle parole, apertosi con la rapida operazione di rapina condotta in campo giornalistico, e in debita forma legale, contro alcune delle maggiori testate nazionali e regionali da parte di un potentissimo gruppo industriale e finanziario. Non certo stimolata da una improvvisa irresistibile passione personale dei suoi promotori ed esecutori per la pubblicistica, e tanto meno da un loro spirito di mecenatismo, questa operazione non si giustifica nemmeno, come qualcuno tenta di fare, col giuoco naturale delle leggi di sviluppo dell'economia capitalistica, la quale, nel perseguire la maggiore redditività coll'impiego di ogni più nuova e perfezionata organizzazione tecnica e con la redistribuzione delle spese generali su una maggiore massa di produzione, è portata a concentrare sotto specie monopolistica molte imprese di una stessa branca produttiva. Nell'industria tipografica si potrebbe con ciò tutt'al più spiegare un processo di concentrazione delle case editrici librarie, sebbene anche qui sulla scelta della merce da produrre, e cioè delle opere da pubblicare, possono influire largamente criteri d'ordine ideologico e politico. Ma la foia accaparratrice scatenatasi in campo giornalistico ha ben altre mire del perseguimento di profitti contabilizzabili, come appare chiaro dalla personalità degli operatori nonché dai messaggi che, insediatisi nei comperati posti di comando, essi hanno indirizzato ai dipendenti corpi redazionali, di amministrazione e tipografici. Non per nulla, giornalisti, impiegati e operai, sensibilizzati dall'esperienza, si sono rifiutati di figurare nei perfezionati atti di compra-vendita alla stregua delle anime morte di gogoliana memoria; e, insorgendo in nome della loro dignità professionale offesa, impostano e pongono al Paese, ai pubblici poteri il problema della libertà di stampa in nuova e concreta versione. Una libertà che non si risolve nel diritto di tutti di avvalersi, salvo a disporre dei mezzi, di questo particolare modo di espressione e diffusione del pensiero; ma che ha da essere tutelata contro chi per denaro la prostituisce ai fini negatori di libertà. Tanto il problema è maturo nelle coscienze che il movimento di denuncia e rivendicazione si è allargato con impressionante rapidità a tutto il mondo giornalistico, raccogliendo adesioni e solidarietà di innumeri assemblee elettive locali, in tutti i sindacati e presso le più varie istituzioni culturali. Ma come avviarlo a soluzione? Non ci si possono nascondere le difficoltà che in proposito nascono dal riconoscimento che la Costituzione dà alla pro¬ pcttduqprvatdtqvctctaqzlptfgvdlvUc prietà e all'iniziativa economica privata tuttavia condizionate all'utilità sociale e al rispetto della libertà altrui e della dignità umana, il che apre già un vasto e fecondo campo a quell'iniziativa legislativa che pare si voglia invece per ora restringere ad una serie di agcvolaz.oni d'ordine economico alle aziende giornalistiche, certamente necessarie e giuste, ma del tutto marginali relativamente alla questione di fondo. Sta di fatto che, come tutto quanto attiene il progresso civile di una società democratica nella quale il riconoscimento dei diritti non costituisce che la legittimazione delle lotte poi necessarie per renderli agibili, la libertà di stampa, in quanto aspetto dell'emancipazione dei lavoratori dei giornali dalla burbanza avvilente del padrone — si chiami egli Monti o non so come — deve affermarsi innanzitutto nel luogo nel quale la stampa è lavoro, il che richiede un tipo di organizzazione interna delle aziende che permetta di farvi democraticamente valere un loro potere decisionale. Ed è sperabile che in questo senso si sviluppi la lotta in corso; e non soltanto nei giornali oggi maggiormente in rottura con i principi di democrazia. Umberto Terracini

Persone citate: Umberto Terracini