Vulcano uccise volontariamente non perché era in stato d'ipnosi

Vulcano uccise volontariamente non perché era in stato d'ipnosi La Cassazione ha confermato la condanna Vulcano uccise volontariamente non perché era in stato d'ipnosi Nel '64 sparò alla donna con la quale viveva - Ha sempre sostenuto di aver agito sotto l'influsso di una dose eccessiva di sonniferi, ma secondo i giudici era perfettamente in grado di intendere e volere - Tornerà libero nel 1980 (Nostro servizio particolare) Roma, 7 giugno. La condanna di Marino Vulcano a 14 anni di reclusione è diventata definitiva. La Cassazione ha confermato oggi quello che avevano detto prima la corte d'assise e poi la corte d'assise d'appeilo: che, cioè, ha ucciso volontariamente la donna con la quale viveva da tempo e che, seppure stordito da una dose eccessiva di sonniferi, era perfettamente capace di intendere e volere quando, la notte del 27 dicembre 1964, sparò due colpi di pistola contro Carla Torti. Anche per la Cassazione quello di Vulcano non è un delitto compiuto in stato di ipnosi; non è una disgrazia, né un omicidio colposo come ha sostenuto la difesa: l'uomo è soltanto un comune assassino al quale, comunque, sono state concesse le attenuanti generiche. Se non interviene la grazia eventuale del capo dello Stato ad abbreviare i tempi della scarcerazione, Marino Vulcano tornerà in libertà soltanto all'inizio del 1980. Marino Vulcano ha 40 anni, è figlio di un avvocato e nipote dello scultore, Mario Cervenati, la cui opera più nota è la fontana in Piazza dell'Esedra a Roma. Colto almeno in apparenza, intelligente (gli psichiatri lo hanno definito un «genialoide»), è stato sempre sostanzialmente un irrequieto. Ha iniziato ed interrotto più volte gli studi universitari cambiando sempre disciplina. Giovanissimo si sposò con una donna molto bella e molto ricca dalla quale si separò dopo un paio di mesi per vivere con una studentessa in Scienze politiche, Carla Torti dalla quale ebbe un figlio. Compiuto il delitto, fu arrestato, ma liberato perchè il giudice istruttore lo ritenne irresponsabile sotto il profilo giuridico. Si trasferì a Torino, dove si unì con una ragazza dalla quale ebbe due figli. Poi, venne nuovamente arrestato: la sezione istruttoria, infatti, revocò la sentenza di assoluzione e lo rinviò a giudizio. Fu condannato dalla corte d'assise a 14 anni. Qualche mese prima di essere giudicato dalla corte d'assise d'appello, che avrebbe poi confermato la sentenza, si fidanzò in carcere con la vicedirettrice di Rebibbia, Giuliana Megrossi, che preferì rinunciare alla sua attività piuttosto che troncare la relazione. Subito dopo il secondo processo, Marino Vulcano ottenne il divorzio dalla prima moglie e sposò la ex vicedirettrice. La speranza dei due era tutta nella Cassazione, perché annullasse la sentenza e disponesse un nuovo processo. I giudici hanno respinto il ricorso sostenendo che la condanna di Vulcano non meritava alcuna censura. Il delitto risale alla notte del 27 dicembre 1964. Sul far del giorno. Vulcano avvertì il portiere che nel suo appartamento era avvenuta una disgrazia: Carla Torti era stata uccisa con due colpi di pistola. Che cosa accadde quella notte nessuno ha avuto la possibilità di ricostruirlo con esattezza. Esiste soltanto la versione di lui, abbastanza frammentaria. Marino Vulcano ha raccontato che, costretto per il superlavoro (vendeva libri) ad un ménage faticoso, aveva cominciato a fare uso di sonniferi. La notte del 27 dicembre 1964 prese 20 pasticche di Oblioser che lo fecero agire in stato di ipnosi. Ricorda soltanto che voleva uccidersi e che prese la pistola. I giudici non hanno mai dato credito a questa versione- g. g. Marino Vulcano

Persone citate: Carla Torti, Marino Vulcano, Mario Cervenati

Luoghi citati: Roma, Torino