Fantasia del "giallo,, e realtà del poliziotto di Stefano Reggiani

Fantasia del "giallo,, e realtà del poliziotto IL FESTIVAL DI CATTOLICA Fantasia del "giallo,, e realtà del poliziotto Una proposta per cancellare l'immagine, tutta italiana, dell'agente cattivo - La violenza, motore non scopo della vicenda (Dal nostro inviato speciale) Cattolica, 1 giugno. Come si rabbrividiva bene negli Anni Trenta. Spuntano dalle copertine dei vecchi «gialli» magre giovinette impietrite elegantemente dall'orrore, e dietro le finestre si intravede l'ombra di gentiluomini dall'aria assassina. I titoli sono moraleggianti (Il castigo della spia. La massima di Talleyrand), i prezzi «contenuti». Nacquero in quegli anni slogan gloriosi come «ogni pagina un'emozione», «questi libri non vi lasceranno dormire». Nelle vetrinette della mostra allestita per il «gran Giallo città di Cattolica» i reperti della letteratura poliziesca sono una merce ghiotta ma esposta con troppa parsimonia, e solo per deferenza all'editore italiano Mondadori, che inventò il colore della suspense. Bisognava forse insistere di più sulla fame di brivido che colse gli italiani durante il regime: ne avrebbero guadagnato le tavole rotonde organizzate per la manifestazione, con l'intervento di esperti e di praticanti (magistrati, pedagogisti). In realtà, scavando nella natura del giallo, che è all'origine metafisica, il tema sotterraneo di questi giorni ha avuto il nome e le sembianze del poliziotto. Perché l'investigatore è quasi sempre privato, in lotta con le autorità per conservare la tessera ed il porto d'armi? Perché, se nasce, un tenente in Italia, richiama Sheridan e gesticola come un filodrammatico? Appunto, si dice, per l'astrattezza simbolica ed evasiva del racconto poliziesco, che accetta tutti i peggiori contrattempi e non gli inciampi sociologici. Nella prima tavola rotonda, gli esperti hanno sminuzzato la suspense come un gioco di costruzioni: si leggono i gialli per esorcizzare le proprie antiche paure e per mettergli il bavaglio in un intervento razionale e risolutore. Il male assume aspetti rituali, ma guai se non ci fosse; non sono concepibili, neppure per i pedagogisti, thrìllers edificanti. Ma la violenza? Deve essere il motore della vicenda, non lo scopo, altrimenti il degustatore ne verrà traviato sul piano morale e psicosomatico. Dietro questa ragnatela di analisi occhieggia la figura del poliziotto buono, generalmente senza divisa (gli aiutanti di Maigret sono in maniche di camicia, i compagni di Sheridan hanno sempre l'impermeabile), simpatico anche se manesco, giusto anche se impietoso, come Mickey Spillane, che semina distruzione fisica fra gli avversari e dissolutezze tra le collaboratrici. La seconda tavola rotonda con giuristi e magistrati ha scoperto che in Italia il poliziotto cattivo esiste solo fuori dei gialli, nelle questure e negli scontri di piazza. Questo avviene, ha osservato il relatore Accreman, perché la tradizione italiana vede il poliziotto difensore di una minoranza privilegiata, fin dalla costituzione dello Stato liberale. Il relatore Ciccardini ha incolpato la cultura, che non sa sovrapporsi al senso comune e orientarla alla comprensione verso i doveri della Pubblica Sicurezza Che fare per cancellare l'immagine del poliziotto cattivo? Affidare tutte le indagini al magistrato? Il giudice Scopelliti ha fatto una franca ammissione di sconforto e di disagio: spesso la magistratura è costretta dalle leggi ad assolvere dove la polizia arresta, mandare liberi i colpevoli perché scadono i termini di carcerazione, fa languire innocenti perché i processi si trascinano per anni. Scopelliti ha allargato le braccia, segnalando una dura carenza storica dei poteri dello Stato. In un angolo della sala, non troppo affollata, lo seguiva con corruccio il maresciallo dei carabinieri. Forse Cattolica (fervente di turisti nordici dalla pelle aragosta) non ha apprezzato appieno il privilegio di dedicare alcune giornate al refrigerio del genere giallo e alle sue sottili implicazioni culturali. Gli organizzatori erano giustamente pressati dalla necessità di divulgare le seduzioni adriatiche, così vantaggiose, a scapito della letteratura poliziesca, che in Italia ha già la sua schiera fedele (si dice sette milioni di lettori per duecento libri l'anno). Gli esperti tentano un parallelo tra le storie di delitto e la gastronomia romagnola, inducendo una somiglianza cromatica dal colore delle tagliatelle e un'affinità sostanziale dagli appetiti dei massimi detectives. Maigret è un intenditore di birra e Nero Wolfe è un cuoco ferrato. Anche gli editori presenti alla rassegna del premio (che vuole segnalare ogni anno libri, film e telefilm gialli) si sono convertiti alla buona tavola e organizzano cene notturne, nel convincimento che il brivido funzioni da aperitivo presso i lettori qualificati e imlaeggclanmseSzpeup e i componenti delle giurie. A imitazione del «Campiello», la gara per il miglior giallo edito ha avuto un gruppo di giurati popolari costituiti dagli albergatori di Cattolica. Insomma, anche qui il successo si fabbrica a tavola, e la consegna dei premi, avvenuta oggi, grondava idealmente di sughi e di Lambrusco. Il premio per il romanzo edito è andato agli svedesi Siòwall e Wahlòo per II poliziotto che ride (Garzanti); per l'inedito a II vino, la luna e il gatto, di Gaetano Gadda, un cognome che dà fiducia; per l'originale televisivo a Srd filo della memoria, di Leandro Castellani; per il film, naturalmente, a Frenzy, di Alfred Hitchcock. I delibatori di cinema hanno trovato nella rassegna «Omaggio a Simenon» una squisitezza da cineteca, il primo Maigret dello schermo, diretto nel '32 da Jean Renoir, col titolo La nuit de Carrefour. Alle leziose sottigliezze dell'originale letterario, Renoir aveva aggiunto di suo il seme, tra ironico e patetico, di una forte solidarietà umana con gli umili, sempre coinvolti nei gialli. Stefano Reggiani

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