Rubinstein, gioia di vivere e di suonare di Liliana Madeo

Rubinstein, gioia di vivere e di suonare Incontro a Roma col celebre pianista, in tournée a ottantasei anni Rubinstein, gioia di vivere e di suonare "Non ho mai rinunciato a nulla che mi attraesse: l'amore, l'amicizia, i viaggi" - Ma non dimentica l'impegno con il pubblico, e interrompe l'intervista quando lo chiamano sul palcoscenico per il concerto: "Devo andare a lavorare" (Nostro servizio particolare) Roma, 31 maggio. Nello stretto andito fra l'accesso ai camerini e il palcoscenico dell'auditorio di via della Conciliazione, la moglie di Arthur Rubinstein sbarra il passo, con teutonica fermezza, agli estranei che vorrebbero arrivare fino al cospetto del marito. «Il maestro è nervoso, come sempre prima di un concerto — dice — e si sta esercitando al pianoforte. E' stanco, e non vuole vedere nessuno». La voce è inflessibile. Gli occhi chiari mandano lampi d'acciaio. Tutta la figuretta sottile e il viso di porcellana, che in gioventù deve essere stato bellissimo, esprimono intransigenza. Continuando a calzare i guanti di seta neri, aggiunge con condiscendenza: «Siamo arrivati nel pomeriggio e già ci prepariamo a ripartire: in un anno abbiamo in programma almeno cento concerti. Siamo sposati da quarant'anni e abbiamo due case, una a Parigi e una a Ginevra, ma per lo più viviamo fra aeroporti, stazioni, alberghi. Eppure la nostra è stata una famiglia vera. Né la carriera, né il successo di mio marito ci hanno troppo condizionato. Certo, il mio ruolo non è stato sempre facile. Avevo vera- Vanni quando ci siamo conosciuti, e io volevo diventare ballerina. Gli ho dato quattro figli. Gli faccio da cameriera, segretaria, cuoca, confidente, guardiana per evitargli di abusare troppo di se stesso. Qualcuno, magari una femminista, potrebbe commiserarmi per aver accettato di vivere nell'orbita di un uomo. Ma sarebbe una valutazione ingiusta: ogni gioia merita un sacrificio, e io penso che è valsa la pena di dedicarmi a un artista come è Arthur Rubinstein». Quando la celebrazione del maestro è giunta all'apice, come per un magistrale tocco di regia si apre una porta e il pianista in persona appare. E' eretto sulla figura e inappuntabile nell'abito nero con la piccola rosa della Legion d'onore all'occhiello. Si inchina con gesti cerimoniosi e galanti. Si muove con la disinvolta civetteria dell'uomo di mondo abituato a corteggiare belle donne e a essere corteggiato. Esordisce d'impeto: «I momenti che precedono un concerto, ogni volta, sono un'emozione. Vorrei salire sul palcoscenico e rimandare gli spettatori indietro. Poi, quando sono davanti alla tastiera, dimentico la stanchezza, il panico, la tristezza, i malesseri fisici. Da alcuni mesi non sto bene, ho un disturbo dì origine nervosa che mi provoca dolori a un occhio e ai denti. Ma so già che, fra poco, tutto passerà. Incomincio a suonare ed è un'avventura, con i suoi rischi e imprevisti. Voglio rimanere sorpreso da ciò che esce dal pianoforte e voglio divertirmi più degli spettatori. La musica non cessa mai di affascinarmi, come la vita che ogni giorno rifiorisce». Sul viso roseo, sotto i capelli candidi, passano sorrisi e ammiccamenti. Dalla sala giunge il clamore del pubblico, strabocchevole, che affluisce. Il teatro è tutto esaurito, come a Torino, Milano, Vicenza, che sono le altre tappe della sua tournée italiana. Da più di cinquant'anni il pubblico lo adora e accorre ai suoi concerti. Apprezza il suo virtuosismo e la passionalità che spiega nelle sue interpretazioni. Osserva con trepidazione il prodigio dei suoi 86 anni. Compra, a ritmo di record, i suoi dischi: cinque milioni. Legge avidamente la sua autobiografia, pubblicata in francese e inglese. Conosce, fin nei particolari, la sua vita: gli esordi da «enfant prodige», il movimentato celibato fino ai 43 anni, l'amicizia con Gertrude Stein e Joseph Conrad, Picasso e Cocteau, Hemingway e Henry James, il debole per la buona cucina e la conversazione, gli snobismi che gli fanno comprare le cravatte a Londra, le camicie a Parigi, i vestiti a Roma. Nonostante tutto questo, Artur Rubinstein non ha mai assunto gli atteggiamenti del divo. «La gente — spiega — corre ad ascoltare la musica che io suono, perché sta ridiventando romantica. E' una reazione, una reazione allo squallore che ci circonda: la pittura underground, la scultura col fìl di ferro, la musica dei computers». Né cede alla tentazione di mitizzare la sua arte. «Alcuni miei colleghi — osserva — amano presentarsi come asceti, che alla propria vocazione hanno sacrificato se stessi. Soffrono per gli spostamenti e le tournées. Rinunciano a una serata interessante per essere in forma il giorno dopo. Io, francamente, non ho mai rinunciato a niente che mi attraesse. La vita, l'amore, le amicizie, ì viaggi occupano il primo posto nella mia vita. Oggi sono qui e il mio rammarico è di non essere negli innumerevoli altri posti dove si vive e ci si diverte. La gioia di vivere è il segreto della mia gioia di suonare». Un campanello sibila discreto e avverte che il concerto sta per cominciare. Premuroso, come se la risposta fosse per lui di capitale importanza, chiede: «Ma lei si ferma, vero?». Rassicurato, aggiunge frettoloso: «./inora si sbrighi a prendere posto. Io raggiungo il mio: vado a lavorare». Liliana Madeo

Persone citate: Arthur Rubinstein, Artur Rubinstein, Cocteau, Gertrude Stein, Hemingway, Henry James, Joseph Conrad, Picasso, Rubinstein

Luoghi citati: Ginevra, Londra, Milano, Parigi, Roma, Torino, Vicenza