Tre enti tv regionali per sostituire la Rai
Tre enti tv regionali per sostituire la Rai Un progetto di riforma Tre enti tv regionali per sostituire la Rai Il piano vuole affidare i programmi a organismi locali, lasciando allo Stato la gestione degli impianti Tre reti televisive differenziate, per gruppi di regioni, controllo statale degli impianti, autonomia di produzione dei programmi, vigilanza più stretta sulla spesa, e, soprattutto, netta distinzione fra il messaggio televisivo e il potere politico. Sono le linee su cui si muove il progetto di riforma del servizio radio tv in Italia, che pubblica L'Espresso di questa settimana, nel suo supplemento. Lo hanno elaborato due studiosi, Lio Rubini e Pietro Gennaro, dopo anni di ricerche nei vari paesi europei, per offrire una alternativa più democratica alla attuale struttura della nostra Rai, presentata come «una società pubblica gestita privatamente dall'esecutivo». Il problema si è fatto più stringente, negli ultimi mesi. La concessione del servizio radio-tv alla Rai è stata rinviata per un anno, con un atto amministrativo del governo: ma nel prossimo dicembre il Parlamento la dovrà ridiscutere. Le critiche al monopolio e in particolare alla sua gestione si fanno più serrate, l'esplodere della televisione via cavo ha aperto nuove crepe nll'antico edificio. Nel progetto Rubini e Gennaro della Rai non si parla addirittura più. Secondo gli autori, le origini della orisi vanno addebitate alla centralizzazione del servizio radiotelevisivo, che unisce gli strumenti tecnici e le informazioni da trasmettere nelle stesse mani, senza possibilità di sfuggire all'infeudamento del potere. Il progetto di riforma si propone, anzitutto, di separare le due operazioni: di qua gli impianti, di là notizie e programmi. Con uno slogan criticamente ispirato al celebre aforisma di Mac Luhan, alle radici del problema c'è la necessità di tornare a dividere il mezzo dal messaggio. In luogo di un ente unitario, troppo facilmente condizionabile dall'esecutivo, i due studiosi ne propongono dieci, con varie relazioni fra loro, ma con compiti diversi; oltre alla commissione parlamentare di vigilanza, che in una situazione radicalmente modificata potrebbe finalmente esercitare il proprio controllo. Il sistema può apparire sulle prime macchinoso. I modelli della tv tedesca ed elvetica, ai quali il progetto si ispira, rischiano di suggerire un ottimismo facile per le prospettive di contenimento della pubblica spesa. Ma, nelle sue linee fondamentali, dovrebbe garantire assai meglio una obiettività e libertà della informazione, e un più largo accesso dei cittadini al video. L'antico ente radiotelevisivo di Stato si dovrebbe ridurre a una società (Ert), con capitale statale, incaricata della sola gestione degli impianti, e soggetta a un controllo permanente. Quattro altre società, distinte fra loro, produrranno i programmi e si ripartiranno il «tempo dì antenna» fra tre reti di emissione. Le prime tre a carattere interregionale, suddivise per gruppi di regioni (Nord, Centro-Est, Centro-Sud), con sedi a Milano, Firenze, Roma, e capitale degli enti locali all'80 per cento. La quarta nazionale, determinata dall'unione delle tre regionali, per i programmi del sabato e della domenica. Ognuna delle tre società interregionali concorrerà ai programmi di cultura e divertimento per la terza parte, e trasmetterà un proprio telegiornale, elaborando, a propria discrezione, i servizi in arrivo dalle altre due La caduta del telegiornale unico è la novità forse più vistosa e, in definitiva, l'obiettivo principale del progetto; ma ce n'è un'altra, non meno importante: l'abolizione di quelle «commissioni di controllo» che si traducevano in veri e propri uffici di censura interni, manovrati dai rappresentanti del potere. Le sole censure autorizzate in senso esplicito, nel nuovo progetto, sono di carattere amministrativo, per contenere la spesa, o pubblicitario, per controllare la «correttezza» del messaggio, g. c.
Persone citate: Lio Rubini, Pietro Gennaro
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