Conferma per Gabriella Ferri (ma la rivista è un po' calata)

Conferma per Gabriella Ferri (ma la rivista è un po' calata) LA CRONACA DEGLI SPETTACOLI TELEVISIVI Conferma per Gabriella Ferri (ma la rivista è un po' calata) Il felice colpo non s'è ripetuto. Dopo un ottimo avvio, lo spettacolo-cabaret Dove sta Zazà ha accusato un calo. Tuttavia, anche in minore, la trasmissione è servita a confermare le doti di Gabriella Ferri. La puntata d'esordio aveva avuto uno splendido pezzo forte, il balletto con lo spogliarello collettivo dei gendarmi e delle ragazze, cui s'era aggiunto l'altro balletto, quel¬ lo del tango nel salone floreale. Stavolta pezzi di questo genere — dove il regista Antonelli Falqui ha modo di profondere passione, gusto e abilità — non c'erano, ed era una mancanza che si faceva sentire... Sì, abbiamo assistito al quadro della caricatura dei «telefoni bianchi»: grazioso, corretto, ma senza guizzi particolari, una normale amministrazione ben condotta... Sin dall'inizio s'è capito che la musica non era più la stessa di sabato scorso: un inizio piuttosto floscio che ha accennato a sollevarsi (ma soprattutto per i romani che queste cose le intendono e le amano) solo con le stornellate di Claudio Villa: anche se poi le stornellate erano di tipo televisivo, ossia molto piene di prudenza e di educazione. Più avanti ricordiamo un piccolo intermezzo di notevole effetto: la Ferri, piantata solidamente sul palcoscenico, con un abbigliamento da donna mussoliniana, intonava l'inno imperial-fascista «L'ora delle aquile sonò...» mentre Pippo Franco, dimesso e balbettante ai suoi piedi, cantarellava «Vorrei avere - mille lire al mese...». Diremmo che questa è stata la migliore parodia dell'epoca tra il '30 e il '40: persino acuta e amara nel suo piglio buffonesco... Ma il resto non è andato più in là di un epidermico solletico... La «balilla», il Trio Lescano, qualche spezzone cinematografico con De Sica, Melnati, Alida Valli, l'autarchia, l'astragalo, le facezie — un po' insistentemente da avanspettacolo — dei «mormoratori» Montesano e Caruso al caffè... e infine il monologo di Caruso, abbastanza faticoso, sul tizio cui è stato imposto il nome di Benito... Il periodo si prestava come vistoso, facile bersaglio. Ma Dove sta Zazà non ha scoccato che poche e spuntate freccette, ribadendo il difetto che già nel pur positivo debutto ci era parso sin troppo evidente: la scarsa aggressività, la parsimonia di pepe, l'assenza di una vera satira; il che se è grave per una rivista di stampo tradizionale, è imperdonabile e assurdo in uno spettacolo che aspira alla classificazione di cabaret. La realtà è che Dove sta Zazà non è affatto un cabaret, ma uno show che qua e là ricalca alcune formule esteriori del cabaret senza averne mai la sostanza e la grinta. D'altra parte c'era da aspettarselo, in tv. La censura ha concesso la libertà di coscia, ma non la libertà di umorismo. E così Dove sta Zazà si riduce ad un recupero di vecchie canzonette con il contorno di alcune innocue freddure: si deve dire grazie all'estro di Falqui se tale recupero non è, comunque, sotto il segno della banalità e se anzi, sul piano dello spettacolo, offre momenti di elegante brio. Proprio sul finale Falqui ha avuto una trovata che s'è staccata di netto dal tran-tran dignitoso: la canzone «Se mi volessi bene veramente» cantata dalla Ferri (che ne spreme tutta la latente crudeltà) è ambientata tra cumuli di rottami e di rifiuti. Ecco uno dei rari lampi della trasmissione. Ma a questo punto parliamo di Gabriella Ferri. Lo show è andato in calo, lei no. Forte, con spalle quadrate, vestita da clown o con la par| ruccona bionda dalla franget¬ ta sugli occhi, e il naso energico, e una dentatura da spaccare le noci come ridere, la nuova cantante — nuova per la tv — ha tenuto banco con forza e disinvoltura, ed è stata impetuosa e languida, sguaiata e tenera, urlante e sussurrante... Non si cura di apparire massiccia, non le importa che Villa abbracciandola le dica «Sembri un armadio»... Ha una personalità, sa di averla e la sfrutta con astuzia e intelligenza, e non ha minimamente cercato (e il merito, ovviamente, è anche da attribuire a Falqui) di ammorbidirla per far piacere alia tv. Accanto a lei, benché poco aiutato dal testo, citiamo l'aguzzo e sbeffeggiante Pippo Franco che sembra essere scappato fuori da una pasquinata. * * Con mossa accorta e dettata dal buon senso — una volta tanto! — i programmisti hanno spostato Come ridevano gli italiani perché non coincidesse stolidamente con Dove sta Zazà. Era un numero di notevole importanza, dedicato al grande Petrolini (e tra l'altro finiva col trattare, più o meno, lo stesso periodo dello show). L'antologia, presentata da Proietti, comprendeva tutti i brani classici, a cominciare dal celebre, e allusivo, discorso di Nerone. u. bz.