"Ho scelto il doppio lavoro,,

"Ho scelto il doppio lavoro,, LA NOSTRA INCHIESTA: COME SI VIVE OGGI A TORINO "Ho scelto il doppio lavoro,, Giuseppe Fuggetta, operaio di seconda categoria qualificato, moglie e tre figli - "Prima o dopo il turno in fabbrica vado a tappezzare i muri degli alloggi, le ore di lavoro diventano così 12 e anche 15 al giorno" - La famiglia vive in un bell'alloggio, ha l'auto, gli elettrodomestici, le ferie al mare o in montagna, la gita del weekend - "Ma a volte mi domando se proprio meriti inseguire questo tanto decantato mito del benessere: meno consumismo e più tempo libero" L'appartamento di Giuseppe Fuggetta, operaio di seconda categoria « qualificato », moglie e tre figli, profuma di fresco e di pulito. E' stridente il contrasto con i nauseabondi miasmi che invadono il quartiere, Barriera Milano, dove abita da un decennio. Fabbriche e industrie spandono in continuazione nell'aria fumi maleodoranti e, quando le condizioni atmosferiche favoriscono il ristagno, incombe su tutta la zona una cappa di piombo che provoca disturbi alle vie respiratorie dei suoi abitanti. « Ma l'ambiente dove lavorano molti operai è peggiore — commenta Fuggetta —. Proprio in questi giorni stiamo tacendo delle indagini per esaminare la noCivita in alcune fabbriche e scoprire in quali condizioni gli operai sono costretti a passare otto ore al giorno ». Il colloquio con i cinque componenti la famiglia Fuggetta avviene nel salottino della loro casa, due camere, cucina e servizi arredata con buno gusto e che denota la costante presenza di una solerte mano femminile. Carta d'identità della famiglia: padre operaio, 41 anni, torinese d'origine, da 24 addetto macchine alla Fiat Ricambi in lungo Stura Lazio; madre casalinga, 33 anni; figli: Maria Pia, 16 anni, prima magistrale; Pierluigi, 12, quinta elementare; Ivana, 5. La nostra carrellata sulla condizione operaia a Torino ha puntato 1 riflettori su una famiglia media che vive con i proventi di un unico componente. Che tipo di lavoro fa Giuseppe Fuggetta? « Lo stesso movimento ripetuto ottanta volte in un'ora, seicento volte al giorno. Non richiede uno spreco di energie, ma è monotono, logora il sistema nervoso. Chi si può affezionare ad un tale lavoro? Il mio, a dire il vero, non è tra t più dequalificanti e massacranti », Sorprende subito, a sentir parlare il nostro amabile interlocutore, l'uso di termini « tecnici » (lavoro dequalificante, alienazione, stress, disaffezione) cari a sociologi e ad analisti di psicologia collettiva. Glielo facciamo notare. Appare lusingato, ma precisa: « Son parole che usano frequentemente anche i sindacalisti e che sento ripetere nelle riunioni del comitato di quartiere di cui faccio parte. Venga ai nostri incontri sindacali, c'è gente preparata, più di quanto non si creda ». Nato e cresciuto a Torino, Fuggetta non ha dovuto superare il trauma dell'integrazione in una società industriale e consumistica, ma ne ha subito il fascino e le contraddizioni. Dice: « Nella mia busta paga non trovo più dì 160 mila lire il mese. Mi bastano appena per la tavola. E le spese dell'affitto (25 mila), del gas (duemila), della luce (cinquemila), del telefono (otto-dieci mila)? Con il solo stipendio che mi dà la fabbrica come potrei far studiare due figli, far fronte alle spese di trasporto? Non ci sono molte scelte: far lavorare la moglie? trovarmi un'altra attività? Ho scelto il doppio lavoro. Così prima o dopo il turno delle otto ore di fabbrica (5 giorni la settimana n. d. r.) vad ) in giro a tappezzare i muri degli alloggi nuovi o da rifare con la carta da parati. Le ore di lavoro in una giornata diventano così dodici o quindici secondo le volte, le ore di sonno diminuiscono in conseguenza. Per un certo perìodo di tempo ho fatto anche l'agente di vendita, il fotografo, il rappresentante di elettrodomestici. Spesso torno a casa sfinito, i bambini mi corrono incontro, fanno feste, vorrebbero rimanere un po' con me. Ma sa quante volte li ho mandati al diavolo? E' questo il mio cruccio assillante: valeva la pina trascurare la famiglia? ». Grazie al doppio lavoro, il signor Fuggetta è riuscito a procurarsi un po' alla volta tutto quello a cui una famiglia media che vive in una grande città aspira più o meno segretamente: l'alloggio ben arredato, l'auto, gli elettrodomestici, le ferie al mare 0 in montagna, il fine settimana nella casetta di campagna presa in affitto. Ma a quale prezzo? « A volte mi domando — confessa l'operaio che fuma una sigaretta dietro l'altra, sessanta in un giorno — se non sìa stupido inseguire questo decantato mito del benessere, se non si possa vivere con meno spreco, meno macchinette, meno consumi, ma con più tempo libero. Siamo veramente schiavi delle comodità e dei comforts? ». Le sue considerazioni, i suoi dubbi « esistenziali », ricalcano le analisi che da tempo gli inquisitori della civiltà dei consumi e della nevrosi di massa lasciano trasparire nel loro saggi. Un cultore di Marcuse? « No, no, per carità », si schermisce. In realtà Giuseppe Fuggetta al dialogo e al dibattito è abituato «fin dall'infanzia » e all'incerta istruzione (s'è fermato alla terza media) cerca di supplire con una costante verifica delle proprie idee sul principali problemi con 1 quali si scontra quotidianamente. Le sue analisi non sfociano nelle facili lamentele inconcludenti, non attingono a rudimentali digest ideologici ma alla vi- ta sindacale, di fabbrica e di gruppo. Continua ad interrogarsi: « Sono troppo esigente io o è il datore di lavoro che mi dà una paga insufficiente rispetto alla prestazione offerta ed al costo della vita? Dopo duecento ore di sciopero, noi metalmeccanici abbiamo ottenuto 16 mila lire di aumento salariale. Ma qual è stato lo sbalzo dei prezzi? Facendo un po' di calcoli, ci accorgiamo che, dopo una lunga lotta, siamo rimasti con un pugno di mosche. Chi sono i responsabili di questo sproporzionato aumento del costo della vita? Produttori, industriali, commercianti, grossisti? Nelle conversazioni familiari l'argomento è all'ordine del giorno, ci sì sfoga, ma le cose non cambiano ». Si rende conto di vivere In una città nuova, carica di tensioni, invasa da migliaia di immigrati, sconvolta da uno sviluppo troppo rapido, avvilita dal calvario dei pendolari e percorsa da tutti 1 traumi caratteristici di una società in trasformazione. Nel suo quartiere, 1 doppi turni nelle scuole durano da anni, vi sono classi con cinquanta alunni, parecchi seminterrati sono stati trasformati In aule. «La città s'è trovata completamente impreparata ad accogliere il massiccio afflusso di immigrati: case, scuole, ospedali, servizi dovevano essere allestiti prima di chiamare a Torino le migliaia di famiglie. Risultato? Il caos edilizio, le speculazioni, il malcontento, il proliferare della delinquen. za. Io sono nato e cresciuto qui, alla città sono affezionato ma, se devo essere sincero, ora non la riconosco più. E' diventata una città di uomini soli, inondata di cemento e di auto, dove la febbre del denaro e del successo soppianta ogni altro valore. Quali rapporti lei ha con i vicini di casa? E' già molto se gli inquilini di uno stesso caseggiato si salutino e non cerchino di evitarsi. Ci sono tante persone che avrebbero bisogno soltanto di un sorriso, di una parola gentile, dì una mano. La gente sembra scordarsene». Interviene la signora Agatlna, siciliana d'origine, ma da trent'anni a Torino. «E' vero — dice interrompendo il marito —, o Torino siamo in tanti, ma anche tanto soli. Le racconto un episodio. Un giorno trilla il campanello, apro la porta e vedo entrare un'anziana donna che conoscevo di vista perché abitava in un alloggio sotto il nostro. Sapevo che era di famiglia decaduta, tutti la rispettavano e lei trattava tutti con aristocratico distacco. Nei suoi confronti avevo anch'io un po' di soggezione. Quando l'ho vista sulla soglia di casa, non ho avuto il tempo per chiederle il motivo della visita. E' entrata, s'è diretta subito in cucina dove sta¬ vamo cenando, ha preso una pagnotta di pane e, senza pronuncia, re una parola, s'è messa a sbocconcellarlo avidamente. Poi se n'è andata senza aprir bocca lasciandoci come allocchi. Il giorno dopo sono andata a trovarla. Viveva sola, al freddo, al buio, la casa era divenuta una topata. L'hanno portata all'ospizio, dove è morta dopo qualche settimana d'inedia e di solitudine. Un caso che dovrebbe far meditare. Io non so se valga la pena di continuare a vivere in una città così anche se, per alcuni aspetti, Torino m'affascina e m'ha consentito una vita dignitosa e onesta ». Commenta il marito: « Mi creda, alla vita caotica della città preferirei la quiete serena della campagna ». Ma continuerà a vi¬ vere cerne prima? Avrà la forza di staccarsi da tutto quello che Torino gli ha dato finora? Glielo chiediamo facendo notare la contraddizione tra la scalta di un certo tipo di vita e il desiderio ncn attuato di mutarla. Il signor Fuggetta ci pensa un po', sorride e allarga le braccia. Guido J. Paglia Nell'accogliente alloggio di barriera di Milano Giuseppe Fuggetta con moglie e figli parla delle sue condizioni di vita

Luoghi citati: Milano, Torino