Lo zio con la svastica

Lo zio con la svastica IL FILM SULLA VITA PRIVATA DI HITLER Lo zio con la svastica Philippe Mora, utilizzando filmetti girati da Eva Braun e documenti ignoti, ha ricostruito l'immagine autentica del dittatore in famiglia, tra gli amici - E' il ritratto d'un personaggio scialbo e sgradevole, non di un demone - Il lavoro è interessante, e rientra nell'attuale "revival" hitleriano come intrattenimento, ricordo, moda; ma non si libera d'una certa ambiguità (Dal nostro inviato speciale) Cannes, maggio. Hitler rivelato per le. prima volta sullo schermo nella vita privata, per la prima volta frugato da un film nell'abbandono dell'intimità. Fa merenda circondato di bambini nel pomeriggio di Natale, sotto l'albero luccicante di doni e di svastiche luminose; si infila i guanti che portava anche durante le passeggiate in montagna; scherza con gli amici Goebbels e Streicher, chiacchiera con il suo medico Theodor Morell, riceve uno sceicco e Galeazzo Ciano; gioca con i cani lupo Blondie o Negus e con Stasi, il fox terrier della sua amica Eva Braun; ammira da un poggiolo le cime bavaresi; china la faccia gonfia sul neonato figlio di Goering avvolto nell'abito di battesimo, gli carezza cautamente una guancia con la mano tremula per le anfetamine, lo vezzeggia. « Assassino! », esplode una voce nella sala buia del Palazzo del cinema; ma il pubblico ride. « Se Hitler è uno psicopa- tico, un caso della storia, una caricatura del demonio, accettare la catastrofe nazista diventa facile », dice Philippe Mora, il regista di Svastica. « Se invece è un essere umano... sinora i cineasti, nello sforzo di esprimere il proprio disgusto verso Hitler, ne hanno isolato soltanto ie immagini ispirate all'epica del male: così' ne hanno fatto un mito. Il mio film dà di Hitler una visione del tutto nuova: un uomo rauco, piccolo borghese, molto sgradevole, banale e singolarmente brutto ». Svastica è un film documentario, forse il più interessante presentato al Festival di Cannes, e un esempio eccezionale del revival hitleriano che caratterizza questa primavera. Quasi trent'anni dopo la morte di Hitler e di Eva Braun nel Bunker di Berlino, l'interesse per il nazismo e il suo Fuehrer non accenna a diminuire, diventa anzi intrattenimento, ricordo, moda. Un film sugli Ultimi giorni di Hitler interpretato da Alee Guinness è appena uscito a Londra, altri quattro sono in lavorazione; sull'argomento sono stati pubblicati in inglese nove libri negli ultimi sei mesi; Hitler è al centro di diversi spettacoli satirici nei cabaret tedeschi; gli oggetti del Kitsch totalitario, i souvenirs dittatoriali, le vecchie divise della Lutwaffe si vendono benissimo nei negozi dell'antiquariato povero, mentre l'antiquariato ricco commercia le trousses di platino di Emmy Goering o i servizi da manicure d'oro e avorio di Baldur von Schirach; i critici d'arte sofisticati riscoprono Arno Breker, lo scultore allievo di Maillol autore delle colossali statue virili, parodia gigantista e glaciale di Michelangelo o Bernini, che adornavano le grandi architetture naziste di Albert Speer. Una voga ambigua: ma attribuirla a nostalgia politica è magari sproporzionato e anche falso. Più probabilmente nasce da un capriccio paradossale di gusto omosessuale, da un desiderio di demistificare ed esorcizzare la tragedia con la riduttività, da una curiosità che sa di voyeurismo. « A me sembra un interesse naturale », azzarda Philippe Mora, « di Hitler e del nazismo la gente nata dopo la guerra non sapeva niente: comincia adesso a parlarne, a cercar di sapere. E lo fa con il distacco, con la fred¬ dezza di chi non c'entra, di chi è senza peccato e senza passioni ». Ha ventitré anni; un ragazzo bianco, piccolo, magro, con i capelli neri, gli occhi neri iniettati di sangue e una giacca dì camoscio trapunta di grandi stelle beige. Il suo personale distacco è meno completo di quello dell'ultima generazione: suo padre, ebreo, studente comunista a Lipsia, fuggì dalla Germania nel 1933, si rifugiò a Parigi dove il giovane regista è nato, combatté nella resistenza francese durante la guerra, emigrò poi a gestire un ristorante francese di Melbourne, è ancora in Australia e adesso fa il mercante d'arte. Verso questo padre dall'esperienza esemplare il figlio, che vive a Londra, ha sentimenti freddini: « Non lo odio. Lo rispetto ». Del nazismo il padre gli parlava « raramente, e solo se interrogato»; l'influenza paterna ha contribuito a indirizzare i suoi interessi, ma non in modo determinante: «L'emotività, non ha senso. Volevo capire il problema politico, storico, il nodo estremo che la Germania nazista rappresenta nel nostro secolo ». Ha avuto la fortuna di scoprire e di presentare per la prima volta nel cinema la vita privata di Hitler, fissata nei film familiari che Eva Braun girava al Berghof, la casa bavarese vicino Berchtesgaden, con la macchina da presa in 16 millimetri: adoperando le prime pellicole sperimentali a colori della Agfacolor, così come era stata lei a guidare la prima Volkswagen o a possedere la prima cinepresa rapida Siemens. « L'effetto del colore è straordinario », sostiene il regista, « Quando uno pensa a Hitler e alla Germania nazista, li pensa in bianco e nero. Hitler è sempre stato in bianco e nero, una figura remota, un'ombra dagli archivi: con il colore, gran parte del mito si perde ». I filmetti familiari di Hitler, degli anni 1936-'40, erano stati sequestrati dal servizio segreto della Marina Americana, rinchiusi in casse e dimenticati: « Siamo venuti a conoscerne l'esistenza per caso: Lutz Becker, il trentenne studioso del cinema tedesco che ha fatto le ricerche per Svastica, ne ha sentito parlare da un ex ufficiale incontrato a una festa di gente del cinema a Phoenix, in Arizona. Ci sono voluti due anni per recuperarli, ma ne valeva la pena». Rappresentano infatti l'elemento eccezionale e centrale di Svastica. Uniti a materiale documentario in gran parte inedito, ritrovato nel Bundesarchiv di Coblenza o estratto da film nazisti di propaganda («I tedeschi erano molto sospettosi, ma hanno collaborato; l'unica pellicola che ci hanno negato è quella che documenta la sterilizzazione per vasectomia eseguita dai nazisti nel 1935 su circa tremila ebrei, comunisti, omosessuali»), danno un risultato che, ammette Philippe Mora, « non riesce a spiegare la normalità di Hitler». In compenso, vorrebbe far sì « che lo spettatore si senta per un attimo nazista, che capisca meglio come sarebbe stato facile anche per lui essere nazista, addirittura come sarebbe facile ancora oggi coinvolgerlo in un'avventura totalitaria e sanguinosa ». Non era diavolo « Se Hitler era il diavolo, ogni futuro Hitler potrebbe non venire identificato perché è un essere umano», suona infatti l'epigrafe posta all'inizio del film, per il resto anodinamente privo di qualsiasi commento. Le immagini ilustrano dapprima una Germania quale i nazisti avrebbero voluto che fosse. 1933-1939: quiete giornate operose a Berlino; ragazze con le trecce che marciano lungo un lago cantando, SS che vanno cantando al lavoro salutati dalla famigliola, donne naziste in divisa che raccolgono fiori, amazzoni hitleriane che spronano cavalli focosi, ragazzi della Hitlerjugend avvinti in maschii a corpo a corpo, contadini nazisti alla fatica nell'incanto della natura, operai gioiosi al varo di piroscafi. Saghe della trionfale coreografia del potere nazista: alte colonne neoclassiche illuminate dall'interno, fuochi artificiali che bruciano scintillando il ritratto di Hitler e la svastica fatale, sterminate folle plaudenti, fiaccolate, tripodi fiammeggianti, manovre militari con morti provvisoriamente finti, stormi di aerei disposti in cielo a forma di svastica, reclute perfettamente inquadrate che giurano fedeltà, battaglioni perfettamente marcianti che evocano con voci di metallo i camerati morti eppur replicanti « presente », rurali che invocano l'antico motto « Blud und Boden », sangue e terra. Fasti della cultura nazista: Furtwangler dirige la Nona tra svastiche volteggianti, Hitler inaugura le Olimpiadi e mostre d'arte i cui quadri rappresentano solo lui, le architetture di Speer giganteggiano, uomini-formica rifiniscono le immense statue di eroi muscolari di Breker, 10 Zeppelin « Hindenburg » si consuma in un rogo spettacolare dopo il raid illustrato dai radiocronisti come un viaggio sulla luna. Bonarietà dei gerarchi nazisti: Goering va a caccia di cervi nel medievale costume da Jagd, preceduto dai battitori e accompagnato dal suono di corni; Goebbels distribuisce trombette natalizie ai bambini, accenna pure scherzosamente qualche nota sull'armonica. Gli spettatori cominciano a sentirsi a disagio: la retorica e l'enfasi nazista erano troppo perfette per non suscitare un'ammirazione almeno tecnica, quasi la tentazione di una paradossale adesione. Il gioco di Svastica diventa rischioso, ma subito 11 film passa a mostrare gli eccezionali documenti della vita privata e familiare del Fuehrer. Rideva perfino Hitler appare sulla terrazza facendo solecchio, si ravvia la ciocca di liscissimi capelli neri, prende il tè con le segretarie, passeggia, esamina documenti attraverso una grossa lente, prende in giro una bimbetta, va a teatro, carezza bruttissime orfane, si fa quattro risate con Barman e Himmler: è gonfio, gli tremano le guance grasse e le mani, porta cappello bastone e guanti, tiene le braccia conserte, sorride impacciato con la goffaggine di ogni protagonista di filmetti familiari, ha il passo svelto e inquieto, le spalle spesso curve, frequenti lampi di segreta debolezza nello sguardo. Accanto a lui, Eva Braun interpreta in Agfacolor la versione bavarese della vita dell'odalisca da harem: bionda potelée sempre insidiata dal grasso, fa esercizi ginnici anche molto sapienti. alla sbarra e sulla spiaggia di Kònigsee; in costume tirolese coglie ireos, dà bacetti ai conigli, cerca more nel bosco; in costume da bagno bianco va in gita sul lago insieme a sua sorella Greti e a Rudolf Hess, un vero burlone; in gonnellino pattina sul ghiaccio. Una coppia antipatica, ma qualunque: il rischio del gioco cinematografico si approfondisce. Il regista sa però quando è il momento di smetterla: alla fine Svastica mostra in una serie di terribili sequenze l'atrocità nazista, la persecuzione degli ebrei. E la rimozione, con l'escavatrice dell'esercito inglese, dei mucchi di cadaveri ammassati nei campi di concentramento. « Abbiamo mostrato il film ad Arno Breker », informa sogghignando nel buio il regista Philippe Mora, « ha cominciato a strepitare: "E' falso, è falso. Credetemi signori, sono scultore, conosco l'anatomia, posso assicurarvi che questi non sono corpi umani ma manichini di cera. Posso assicurarvi che i nazisti non hanno eliminato sei milioni di ebrei, ma soltanto 900 mila" ». Nella sala del palazzo del cinema la luce si riaccende, attaccano i fischi, le grida di « salaud »: magari non a torto, il pubblico ritiene Svastica troppo indulgente, troppo ambiguo. « Vogliono continuare a pensare a Hitler come a un mostro », si irrita il regista, « hanno paura di sentirsi contaminati in quanto esseri umani, hanno bisogno dell'alibi rappresentato dalla semplificazione, dall'evoluzione del demonio. Vorrebbero la solita denuncia declamatoria del nazismo, mentre questo film è una denuncia assai più profonda ». Di cosa? « Dell'umanità: il seme di Hitler è in ogni uomo ». Sarà. I distributori cinematografici ebrei inglesi e americani, secondo i quali questa denuncia dell'umanità sminuisce le colpe naziste e vede Hitler con il filtro reazionario dell'ironia, hanno rifiutato di distribuire Svastica nei loro cinema. Lietta Torr.abuoni Hitler chez soi » nella caricatura di Levine Hitler « chez soi », nella caricatura di Levine (Copyright N. Y. Rcview of Books, Opera Mundi e per l'Italia La Stampa)