L'ing. Gadda di Lorenzo Mondo

L'ing. Gadda LO SCRITTORE SCOMPARSO L'ing. Gadda Carlo Emilio Gadda si è spento, ormai stanco e immemore, a cento anni dalla morte del suo Manzoni, non ha potuto ripetere la sua ammirazione per l'autore che lo aveva confortato a discoprire, sotto i panneggi della storia aulica e ufficiale, « la contaminazione grottesca », il « garbuglio » del « nostro imprevedibile vivere ». E' una coincidenza di quelle che egli amava segnalare con esatta ed estrosa pedanteria quasi a perfezionare con un tocco in più la sua natura di lombardo. Lo era fino in fondo alle midolla, sensibile alle ramificate parentele e alle lontane ascendenze etniche; lombardo anche per le attitudini « politecniche » della famiglia: il padre ebbe importanti mansioni in una azienda tessile e fu seticultore in proprio; e lui diventò ingegnere elettrotecnico, affascinato dalla logica matematica, da Leibniz a Einstein a De Broglie. E poi l'avvicinamento precoce alla psicoanalisi, la assidua frequentazione di storici e memorialisti, seguendo una vocazione enciclopedica e interdisciplinare che lo ricollega, oltre gli scapigliati, oltre lo stesso Porta, all'illuminismo lombardo. Sappiamo delle ferite che colpirono nell'infanzia e nell'adolescenza la sua sensibilità abnorme. Il padre lo lascia orfano dopo essersi impoverito con fantasiose speculazioni, emblematizzate nella casa che si fece costruire in Brianza, un pozzo senza fine, bersaglio privilegiato delle deliranti invettive di Gadda. La madre, perduta dietro i lustrini del decoro borghese, scoraggia la sua vocazione letteraria. La scuola appare alla sua timidezza « il duro carcere di un educatorio borromeianotridentino ». Ma poco di tutto questo sembra trasparire nel ragazzone biondo e di colorito acceso che nel 1915,- a ventidue anni, viene richiamato alle armi tra gli alpini. Quel che meraviglia in lui, attraverso il Diario di guerra e di prigionia, è il perbenismo, il fare gentile e costuma to, una mitezza esteriore di stampo ottocentesco. Presta « rispettosa attenzione » alle istruzioni dei superiori per i quali nutre una fiducia illimitata. La prima volta che comanda un plotone, registra con compiacenza d'essere stato lodato « per voce chiara, forte ». Un po' sfasato, fuori posto rispetto alla realtà della situazione, dà un'estrema importanza, con teutonica disciplina, a quanto gli accade intorno, al congegno della vita militare che immagina perfetto. Crede con ferma retorica alla guerra liberatrice, ci vede una scuola di ascetismo; anche lui porta, nello zaino, il suo D'Annunzio. E' il piccolo-borghese che, tormentato dalla povertà, da penose vicissitudini familiari, dall'incertezza della propria vocazione bipartita tra scienze esatte e letteratura, scarica nel grande cataclisma storico le proprie individuali nevrosi. Ma presto davanti ai suoi occhi increduli si palesa l'incapacità e l'imprevidenza degli alti comandi: cannoni italiani che sparano sugli alpini, un colonnello che si autopunisce con una morte « eroica » in combattimento, i soldati che, invece di scagliarsi impazienti contro l'aquila bicipite, al primo fuoco s'intanano nelle trincee, denunciano artriti, coliche e altri malanni per scendere nelle retrovie. L'ingegner Gadda, allora, esplode senza ritegno, l'invettiva gli balena plebea, apocalittica. D'ora in poi l'inefficienza e il disordine diventano per lui il segno di una malattia morale che negli italiani sembrava ormai superata con l'uscita dalle lotte risorgimentali. La guerra e la cronaca minuta che le gira intorno diventano la spia di un caos universale, quasi metafisico. Basta che tardi la sua nomina a sottotenente perché il furore antiburocratico si estenda all'intero paese: « Che porca rabbia, che parchi italiani. Quand'è che i miei luridi compatrioti di tutte le classi, di tutti i ceti, impareranno a tener ordinato il proprio tavolino da lavoro? A non ammonticchiarvi le carte d'ufficio insieme alle lettere della mantenuta, insieme al cestino della merenda, insieme al ritratto della propria nipotina, insieme al giornale, insieme all'ultimo romanzo, all'orario delle ferrovìe... Quando, quando? ». E se egli si inserisce nel gran coro delle voci demistificanti, dei testimoni a carico delle classi dirigenti del paese che si preparano, con una guerra disastrosa, alle sconfitte contro la dittatura, dall'altra è lo scrittore che nasce, con il suo stile già visionario. S'aggiunga, a completare la serie dei suoi traumi, la prigionia in Germania dopo Caporetto e la morte del gio vpedlasccdst1dpltdNczrGlfls vane fratello aviatore, che lo percuoterà di un dolore atroce e ossessivo. Nasce il solipsista de ha cognizione del dolore, l'uomo rigettato in se stesso, a dipanare i suoi mali e le sue tetraggini, dalla mortificante esperienza comunitaria. ha cognizione del dolore, che è uno dei risultati più alti di Gadda, è anche uno dei suoi libri più illuminanti. Scritto e pubblicato su rivista nel 1936, dopo la morte della madre, dovrà aspettare trent'anni per trovare un pubblico: umiliato prima dalle assettate fortune della prosa d'arte, poi dalle istanze del neorealismo. Nel nodo di odio e di amore che lega il protagonista Gonzalo alla vecchia madre, ricorrono tutti i tic e le manie di Gadda: c'è la famigerata villa, la propensione della donna a farsi ingannare dal prossimo, la sua fedeltà ai miti borghesi, l'affetto forse troppo esclusivo per il figlio morto. Egli rimprovera empiamente alla madre di averlo messo al mondo, di averlo cresciuto così solo e diverso, prigioniero di una immedicabile ferita. Certo, attraverso di lei, egli si oppone all'ottusità dei contadini che zoccolano per casa, ai borghesi che infestano di ville i colli della Brianza. Non c'è l'agio e il supporto di una trama: il romanzo è incompiuto, deliberatamente non finito, come tutti i romanzi di Gadda. Sapremo appena che la vecchia signora sarà uccisa, forse dagli stessi uomini del servizio di vigilanza ai quali si è incautamente affidata; prima di morire la sfiorerà l'atroce sospetto che il figlio sia complice del delitto. Ora, è straordinario che la misantropia di Gonzalo attinga al sublime, che in virtù del suo stile iperbolico e avvolgente, ma insieme preciso e limpido, Gadda riesca a destare tanta profondità di risonanze. Non è soltanto l'assedio che un potere tenebroso e fraudolento porta alla casa di Gonzalo: oltre la allusione alle « tragiche, livide luci » della dittatura fascista, c'è una sofferenza diversa, di tipo biologico, che tocca le ragioni stesse dell'esistere: « una cagione malvagia operante nel¬ la assurdità della notte ». Nella semplice, essenziale contrapposizione fra Gonzalo e la madri inerme, fra Gonzalo e gli altri, in quella sua disperazione, c'è tutta la persuasione della tragedia. Si badi, per legittimare la « crudeltà » del protagonista, ai personaggi che gli vengono contrapposti nel banchetto all'Odéons: quei piccolo-borghesi e parvenus, deformati espressionisticamente, colti nel miserabile orpello di orologi, portasigarette, anelli e colaticcio di vivande. Se il banchetto degli aristocratici nella Recherche proustiana, con la folla che preme curiosa e avida alle vetrate, ha una sua malinconica nobiltà, quest'altro convito non suscita che scherno e furore. Diversamente accadeva nelle diapositive e nei ritratti di famiglia dell'Adalgisa, e anche, almeno parzialmente, nelle Novelle dal ducato in fiamme, altri capidopera di Gadda: dove la rappresentazione della Milano positivista prima della grande guerra, ottenuta attraverso una sbalorditiva mescolanza di linguaggi e il ricorso al dialetto, teneva ancora del riso franco e liberatore, della malinconica evocazione di paesaggi e figure. Nella Cognizione del dolore, a prender aria, bisogna uscire di casa: un frinire sterminato di cicale, la luce del sole inebriante, segno forse di una diversa e privilegiata condizione di essere. Soltanto la Natura, soltanto le cose ubbidiscono, in Gadda, al « suggerimento cristallografico di Dio ». E non c'è maggiore speranza, anche se più effusa pietà, nell'altro grande libro di Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana che, pubblicato in volume nel 1957, diede finalmente notorietà, anche europea allo scrittore. Un delitto per rapina nell'ambiente della borghesia romana offriva pretesto, sotto mentite spoglie di «giallo », all'affondo nel tessuto di una società irrimediabilmente corrotta. La meschinità e il ridicolo di gentuccia colta nei tic individuali e di classe, si dilatavano fino a includere i guasti di un regime, fino a sfiorare il sacro mistero del male: con una sintassi mai prima d'ora così sontuosa e rameggiarne, con una stupefacente padronanza dei dialetti (dal romanesco, al molisano, al veneziano) usati in violenta funzione espressionistica. L'ultimo importante libro di Gadda, Eros e Priapo, apparve nel 1967, anche questa volta dopo lunga elaborazione e sedimentazione. La parabola del fascismo, il piegamento delle masse dinanzi ad un capo dai vergognosi carismi, trova la sua nemesi già nel linguaggio, il fiorentino del Cinquecento, solenne e plebeo, con cui si espressero trattatisti e satirici che resero onorato il nome italiano. Un discorso su Gadda non si può esaurire in poco piombo nell'emozione della sua scomparsa; non si può stabilire quanto siano legittime le molte appropriazioni che sono state fatte della sua opera. Certo è difficile trovare nel Novecento italiano una prosa che dia questo suono di nobile metallo: ed è per noi significativo e confortante che abbia anche saputo animarsi di civile risentimento. Lorenzo Mondo m

Luoghi citati: Caporetto, Germania, L'aquila, Milano