Progettisti scientifici e designers industriali

Progettisti scientifici e designers industriali Rassegna di pubblicazioni tecniche Progettisti scientifici e designers industriali La bellezza, un fattore che praticamente coincide con la funzionalità (d'una turbina, d'una ruota idraulica, d'un'elica) - Il fenomeno dell'obsolescenza nei macchinari e nei prodotti d'uso - Etica e pubblicità Anzitutto, per evitare equivoci, bisogna distinguere il disegno o progetto di costruzione (per ima macchina, per la struttura di un edificio) dal cosiddetto industriai design che l'autore di questo polemico lihro accusa di tendere troppo sovente a persuadere la gente ad acquistare cose di cui non ha bisogno, di dar forma alle dissennatezze proposte dai persuasori occulti del marketing, della pubblicità. Ciò non toglie che agli occhi di qualcuno l'oggetto che nasce da un onesto disegno di costruzione sia anche bello; come una ruota idraulica o l'elica di una grande nave: oggetti destinati ad una funzione, non fatti per essere guardati; generalmente questo tipo di bellezza (non pretendiamo di imbastire teorie estetiche) fa tutt'uno con la funzionalità. Ci invita a queste considerazioni la lettura di un volume di V. Papanek, Progettare per il mondo reale (A. Mondadori Editore, Milano 1973, trad. di G. Morbelli, L. 3200), il quale studioso propone per il designer un'etica che non sia quella di fare ricco sé o l'imprenditore per cui egli lavora, e di far corbellato il compratore; ma invece di venire incontro alle necessità di un mondo denso di bisogni insoddisfatti quanto reali. Ci sono due modi per intendere l'industriai design, nell'opinione dell'autore, di cui l'uno è suppergiù un trucco per vendere. Esso blandisce il pubblico perché accetti qualunque cosa nuova o diversa, ed ha per alleato l'obsolescenza, e cioè il fatto che un prodotto in uso sia giudicato, a torto o a ragione, invecchiato. L'obsolescenza ha favorito la cosiddetta civiltà dei consumi, che è poi l'abitudine allo spreco: di esso sono manifestazioni bubboniche i cumuli di rifiuti solidi buttati via e inadoperabili. Ci sono vari tipi di obsolescenza (quando si scopre un modo migliore o più elegante per fare una cosa; quando la materia dell'oggetto si è logorata; o quella per cui, nel giudizio più o meno manipolato del pubblico, un certo prodotto è giudicato finito). Quanto più alto è il livello economico di una comunità tanto più si abbreviano i tempi dell'obsolescenza. Una bicicletta, la cui vita utile è giudicata sui venticinque anni, viene adoperata per due anni negli Stati Uniti, per tre quarti di secolo in un paese sottosvi- luppato. Un'automobile che negli Stati Uniti dura in media tre anni, è fatta durare quaranta in un paese sottosviluppato. L'inventario delle obsolescenze potrebbe continuare e fornire un'indice numerico fra i valori che danno alle cose gli abbienti e i non-abbienti. L'eccesso di obsolescenza sporca l'ambiente o almeno contribuisce con altri fattori a sporcarlo. Ci dev'essere stato un tempo (milioni di anni fa), dice l'autore, in cui un cavernicolo uccise un coniglio e ne lasciò le ossa per terra; e probabilmente la sua compagna lo pregò di buttar le ossa fuori della caverna, per tenerla pulita. Oggi siamo tutti insieme (tre miliardi e mezzo e più: verso i quattro miliardi di uomini) nella stessa caverna, se così può essere chiamata la Terra con una metafora geometricamente inappropriata, e non v'è alcun luogo per buttar via i rifiuti. Per tutte le ragioni summenzionate, e anche per quest'ultima, nell'auspicata etica del designer v'è un bivio: o badare a far soldi (e infischiarsi del bene pubblico), oppure dare un senso serio alle cose che egli fa. E, aggiunge l'autore, che evidentemente è portato alla passione in questo soggetto: « Quando si persuadono le persone, con la pubblicità e la propaganda, a buttar via le loro automobili ogni tre anni, gli abiti ogni sei mesi, le case ogni cinque anni» (qui bisogna porre mente alla mobilità della famiglia americana), si può pensare che anche i rapporti personali, gli affetti abbiano a subire lo stesso trattamento. Le cose che costano di più, perché lustrate, polite, impacchettate in costosi involucri o carrozzerie sono sovente quelle che in gergo recente sono dette «bidoni». Le cose più utili sovente costano poco. In qualche paese sottosviluppato si fabbricano fornelli troncoconici svasati, assiemando vecchie targhe d'auto: prezzo di costo cinquanta lire circa. Tra gli esempi di creazione sociale, l'autore riferisce di una radioricevente a transistor, che non usa né batterie né corrente elettrica e che è stata pensata proprio per luoghi sperduti dove l'elettricità non arriva. Si prende una lattina usata, svuotata del succo di frutta o della salsa di pomodoro, la si riempie di cera e si munisce con un lucignolo. Il calore di questa candela è convertito, grazie a una coppia termoelettrica, in energia sufficiente a un altoparlante da infilare in un orecchio. Questa radio non è selettiva, ma ciò non importa; perché nei paesi dove l'apparecchio è destinato viene trasmesso un solo programma. Ci sono villaggi isolati dal mondo dove la gente non sa neanche di quale Stato essi siano cittadini (chissà se poi questo è un male). Se quella radio viene usata per cinque minuti ogni giorno, per avere notizia di quel che avviene nel mondo, la carica può durare per un anno; poi può essere sostituita da qualche altro combustibile di uso locale. L'intera unità può essere preparata con un costo di cinquanta lire. Questo è un esempio di design significativo. Portato in Indonesia esso fu subito perfezionato: la lattina fu ricoperta con ritagli di feltro, conchiglie, fino a farne un oggetto anche bello. Per molte altre idee (una miniera d'idee) dobbiamo rimandare il lettore al volume, che ne è ricco. Didimo

Persone citate: Morbelli

Luoghi citati: Indonesia, Milano, Stati Uniti