L'esodo italiano dall'Est

L'esodo italiano dall'Est Il problema di Trieste venticinque anni dopo L'esodo italiano dall'Est Bogdan C. Novak: « Trieste, 1941-1954. La lotta politica, etnica e ideologica », Ed. Mursia, pag. 476, lire 5500. Beniamino Salvi: « Il movimento nazionale e politico degli sloveni e dei croati. Dall'Illuminismo alla creazione dello Stato Jugoslavo (1918)», Edizioni Isdee, pag. 263, lire 3800. Dal tempo delle migrazioni dei popoli, come con termine più comprensivo la storiografìa di lingua tedesca definisce le invasioni barbariche, la Regione Giulia ha costituito un suggestivo miscuglio etnico, un punto di incontro e di scontro, di dialogo e di attrito, tra popoli di stirpe diversa. La seconda guerra mondiale e gli eventi immediatamente successivi hanno profondamente alterato questa millenaria fisionomia della regione, hanno condotto — come ha scritto Ernesto Sestan — all'abbandono « di quasi tutte le posizioni dell'italianità culturale e linguistica sull'altra sponda ». All'arco di tempo che dallo scatenamento della guerra contro il regno jugoslavo da parte delle potenze dell'Asse va sino al Memorandum d'Intesa su Trieste, cioè alla fase centrale e cruciale della storia recente della Venezia Giulia è dedicato il volume di Bogdan C. Novak, uno studioso sloveno che vive e lavora negli Stati Uniti. L'analisi dedicata al periodo tra''41 e '45 evidenzia già l'estrema complessità di un clima dove il momento ideologico e quello nazionale si sovrappongono e contrappongono in un intricatissimo groviglio. Emergono così i forti contrasti politici all'interno delle diverse tendenze della resistenza slovena e croata, nonostante i comuni obiettivi di espansione nazionale; il dramma dei democratici italiani, che temono di essere strumentalizzati ai fini del nazionalismo slavo; l'ambigua operazione dei collaborazionisti italiani che, sottolineando l'elemento anti-slavo piuttosto che quello filo-germanico, vorrebbero recuperare, in un quadro storico mutato, la componente anti-slovena del vecchio irredentismo; il ruolo dei comunisti italiani, che è caratterizzato dalla crescente subordinazione del momento nazionale a quello ideologico. La piccola storia si inserisce nella grande storia, quanto più la fine del conflitto si approssima. Il Cominform appare intenzionato ad espandere il più possibile verso occidente i confini del mondo comunista, ma d'altra parte è timoroso, così facendo, di indebolire la capacità di presa del pei sull'opinione pubblica italiana. Le potenze occiden- tali, dopo incertezze iniziali, mirano ad assicurarsi il controllo militare della Venezia Giulia, per poter rinviare al trattato di pace la definizione delle questioni territoriali. Tito a sua volta elabora e tenta di realizzare un piano di occupazione militare della regione, di porre gli occidentali davanti al fatto compiuto. Dopo aver analizzato le de cisioni della Conferenza della Pace di Parigi, Novak concentra la sua attenzione sulla dinamica degli avvenimenti nel Territorio Libero di Trieste. Lo storico sloveno-americano segue la progressiva italianizzazione economicoamministrativa della zona A, parzialmente interrotta con l'arrivo a Trieste del generale Winterton; e vede, con argomentazione non sempre convincente, nella contemporanea slavizzazione della parte sottoposta ad amministrazione titina soltanto uni replica alla penetrazione italiana nell'altra zona del Territorio Libero. Per quanto riguarda la zona B, Novak suggerisce anche una linea interpretativa che, pur non negando l'evidente coesistenza dei due elementi, accentua il significato della componente comunista rispetto a quella nazionalista, rilevando come certe misure repressive fossero dirette contemporaneamente contro italiani e slavi non comunisti. Novak è attento soprattutto nel sottolineare le ripercussioni nel microcosmo adriatico della situazione internazionale: le conseguenze della rottura di Tito con il Cominform e la rottura nel seno del comunismo triestino, il crescente peso contrattuale jugoslavo nei confronti delle potenze occidentali, l'indebolimento della posizione italiana. Seppure basato su una documentazione piuttosto convenzionale, il libro di Novak costituisce pertanto un importante contributo al ripen¬ samento del problema triestino, visto in tutte le sue molteplici componenti. Esso suggerisce anche alcune riflessioni sull'impostazione che si è data al problema da parte italiana. Colpisce, sin dal '45, un'assenza di misura che andava dall'ottimismo infondato di Croce e di Sforza al cupo pessimismo di Parri. Ed un eccessivo ottimismo, privo di senso della realtà, caratterizzerà tutto il periodo degasperiano, manifestandosi nel '46 con l'illusione di poter salvare larga parte dell'Istria, e molto più tardi, nel '52, con il rifiuto italiano di una proposta americana, non respinta dagli jugoslavi, che prevedeva concessioni all'Italia in zona B, nella speranza infondata di poter pretendere di più in seguito. Oggi si può forse dire che il governo italiano ebbe troppo presente l'aspetto politicoterritoriale, trascurando quello etnico-culturale; da questa premessa derivò il costante e pregiudiziale rifiuto italiano all'attuazione del Territorio Libero, che se avrebbe significato una rinuncia al controllo diretto di Trieste, avrebbe magari consentito la difesa dell'identità culturale della zona B. A questa stessa impostazione di fondo è riconducibile l'incoraggiamento dato dall'autorità italiana all'esodo dall'Istria. Non si può non comprendere il trauma di una popolazione colpita contemporaneamente dall'occupazione militare e dal comunismo di guerra, e neppure il significato, anche e soprattutto ideologico, che as¬ sumeva in quelle circostanze la decisione di restare. Eppure, di fronte alla scomparsa quasi totale dell'italianità culturale e linguistica della costa orientale, non si può prescindere dalla domanda sollevata anni or sono, non a caso, da un grande linguista, Giacomo Devoto: « Perché è stato favorito l'esodo dall'Istria? ». Dalla terra di confine un tempo così aspramente contesa, proviene un libro sulla formazione dell'idea e dello Stato jugoslavo, opera di un giovane studioso sloveno di Trieste, Beniamino Salvi. La pubblicazione ha un grande significato, perché testimonia un primo inserimento delle minoranze nella realtà culturale italiana, così poco sensibile sino ad ora alle espressioni minoritarie esistenti. Ed è importante che la riflessione culturale di Salvi sia dedicata ad un tema che, se è di vitale momento per il gruppo etnico cui Salvi appartiene, riveste un significato primario anche per la storiografia italiana. L'opera di Salvi si segnala per l'amplissima conoscenza e la densa esposizione della letteratura sud-slava, e mira essenzialmente a fornire un quadro d'informazione e di sintesi. Il lettore italiano, già parzialmente informato sugli anni della prima guerra mondiale, vi troverà dati nuovi sul '48-'49 nei paesi jugoslavi, sulla genesi e lo sviluppo dei partiti politici, sul contrasto generazionale tra « vecchi » e « giovani » in Slovenia e Croa- Angelo Ara Tito, di Levine (Copyright N.Y. Rcvicw )f Ho.iL>, Opera Mundi c per l'Italia La Stampa)