Benjamin non è nato narratore di Giorgio Manacorda
Benjamin non è nato narratore Benjamin non è nato narratore Walter Benjamin: « Infanzia berlinese », Ed. Einaudi, pag. 131, lire 1600. A Walter Benjamin si devono alcune delle opere più significative e soprattutto più stimolanti del pensiero estetico e critico di questo secolo, basti pensare a L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, agli stupendi saggi raccolti (in Italia) col titolo di Angelus Novus, per non parlare dell'impervio e irripetibile libro sul Dramma barocco tedesco. Ora l'editore Einaudi, che sembra avviato alla pubblicazione di tutte le opere di Benjamin, ci offre questo Infanzia berlinese, un'opera narrativa simile per molti versi a Immagini di città, libretto apparso qualche mese fa. So che quello che sto per dire suonerà blasfemo nell'attuale, peraltro giustificatissimo, entusiasmo per questo scrittore tedesco, ma non tutti sono nati narratori. La sua piccola ricerca del tempo perduto somiglia stranamente ad uno scavo archeologico: un piccolo montaggio di reperti faticosamente ottenuti visitando luoghi deputati: la giostra, la malattia infantile, la casa della nonna, il giardino zoologico, eccetera. La scrittura di questo inimitabile scrittore di saggi (si pensi al mimetico e metaforico stile del Dramma barocco) cade ad una piana e diligente politezza da racconto di beneducato fanciullo della borghesia cui racconta di appartenere. Questo libro si inizia con una frase: «Non sapersi orientare in una città non vuol dir molto. Ma smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare »: Benjamin non ha saputo smarrirsi nella propria memoria, né, al rovescio, ha saputo operare veramente un recupero di accadimenti, luoghi e costumi. E' rimasto a metà strada tra l'autobiografia e l'archeologia, scrivendo di fatto una sorta di autobiografia oggettiva, cioè scaricata di ogni alone o, per meglio dire, di ogni ambiguità. Dalla pagina non nascono valenze semantiche, profumi, odori, dagherrotipi: la proustiana « madeleinette » non ha suscitato sentieri, caso mai cataloghi personali. L'archeologia privata di Ben. jamin può suscitare curiosità e l'effimero interesse di « ficcare un po' il naso » nelle pieghe della personalità e dell'ambiente di un pensatore di grande rilievo, ma deluderà chi vi andrà a cercare della letteratura o un qualche risultato di scrittura o magari di poesia. E' un libro sordo. Le immagini di questa infanzia berlinese (è vero) non sono né idilliche né contemplative, come si dice nel risvolto di copertina, ma non sono neanche altro. Ci si potrebbe freudianamente divertire (ma con quale legittimità, se non quella del gioco di società?) ad usare questo materiale come un referto psicoanalitico e giocare a rimpiattino con Benjamin, cogliendo così tra le maglie della sua eccessiva compostezza il segno che lo svela: chissà, l'eccessiva presenza materna o il senso d'impotenza e paralisi, scoprire le radici di un sentimento di colpa, del senso dell'attesa, dei giochi solitari. E, soprattutto, capire perché avesse bisogno di sistemare il passato uccidendolo per evocazione. Giorgio Manacorda
Persone citate: Einaudi, Walter Benjamin
Luoghi citati: Italia
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