Biella conferma: meglio la situazione dei tessili di Mario Salvatorelli

Biella conferma: meglio la situazione dei tessili Viaggio nell'industria tra crisi e ripresa Biella conferma: meglio la situazione dei tessili Gl'imprenditori della zona, dopo quelli di Prato, parlano di ripresa, pur sottolineando ancora la complessità dei problemi che le aziende devono risolvere - Le industrie temono però che un eccesso d'ottimismo influisca negativamente sulle trattative in corso per il rinnovo del contratto di lavoro - I sindacati affermano invece che la ripresa avviene su basi troppo fragili e a scapito dell'occupazione, diminuita nel settore (Dal nostro inviato speciale) Biella, maggio. Nel settore tessile c'è ripresa, l'hanno riconosciuto a Prato, me lo confermano a Biella, ma gl'industriali — soprattutto i loro rappresentanti — si sono fatti in genere pregare molto, prima di ricevermi e di ammetterlo. Temono eventuali ripercussioni sulle trattative in corso per il nuovo contratto, non desiderano che i sindacati traggano dalla ripresa stimolo per irrigidirsi su più pesanti richieste. Il curioso è che sono proprio i sindacati ad essere perplessi, non tanto sull'aumento del lavoro nelle fabbriche (sono i primi a constatarlo di persona), quanto sulle cause e sulla validità dell'attuale momento favorevole. Ristrutturazione « Sull'espansione del reddito, sulla ripresa produttiva andrei cauto, non userei toni trionfalistici », dice Lombardi della Cisl-Pilta (Federazione italiana lavoratori tessili e dell'abbigliamento). E spiega: la ristrutturazione nel comprensorio biellese, la « via crucis » dei tagli nell'occupazione, come la chiama, si è iniziata nel settembre 1970, con le crisi della Gallo-Rivetti di Andorno, poi della Bozzalla e Lesmo di Coggiola, e via via di molte altre, ed è terminata solo nel febbraio scorso, con la definitiva chiusura della Gallo di Cossato. « JVoi tessili — continua il sindacalista — abbiamo avuto lo scatto della tersa fase del contratto 1970 (le 40 ore settimanali in cinque giorni) col 1" luglio 1972. Ma da allora pochissime aziende ci sono state dentro e non hanno fatto ricorso al lavoro straordinario. Con l'autunno 1972 lo straordinario è diventato un fatto ordinario, il polmone del sabato un giorno lavorativo come gli altri ». C'è stata, quindi, una crescente ripresa. Ma Lombardi si domanda su quali basi viene giudicata, dal momento che l'occupazione è diminuita. Fa l'esempio della Ermenegildo Zegna, passata da 1050 dipendenti a circa 700, e chiede: « C'è stato un calcolo sbagliato nella ristrutturazione, si è tagliato troppo nella manodopera, per cui anche in presenza di una produzione normale, ordinaria, si deve ricorrere allo straordinario? Oppure è veramente in corso una ripresa eccezionale, di fronte alla quale i grossi investimenti, le nuove macchine si sono dimostrate insufficienti a coprire i vuoti umani? ». Anche il fatto che gl'industriali tessili, nella vertenza per il rinnovo del contratto, come riconosce Lombardi, abbiano mostrato una maggiore apertura, fino a sgombrare subito il campo dalle « famose pregiudiziali » che in altre vertenze fecero perdere mesi, non basta a sciogliere il dilemma. In ogni caso, il sindacalista conclude: « Stiamo arrivando anche noi ad essere un'industria ad alta intensità di capitale e a basso impiego di manodopera. Quindi gli imprenditori dovrebbero accogliere le richieste, per le forze di lavoro rimaste, e portare la categoria ai livelli retributivi di quei settori nei cui confronti i tessili sono sempre stati il fanalino di coda n. Meriti della ripresa Per Giuseppe Botto, presidente dell'Associazione laniera italiana, con stabilimento a Valle Mosso, una di quelle verdi vallate che scendono verso Biella e nelle quali si annidano tutte le fabbriche fondate quando l'industria tessile andava verso l'acqua (oggi è l'acqua ad andare verso l'industria, con sbarramenti e acquedotti), proprio la ristrutturazione ha il primo merito della ripresa. « In una recente conferenza internazionale a Parigi — mi dice — è stato affermato che solo nel 1980, quando il costo della manodopera sul valore del prodotto finito sarà sceso al 15 per cento, potremo dire di non aver più paura della concorrenza del Terzo Mondo ». In questo momento l'incidenza, secondo Botto, è intorno al 22-24 per cento, rispetto al 3033 per cento di qualche anno fa, ma occorre tener conto anche del forte rincaro della lana, che ha aumentato, ovviamente, la quota « materie prime » sul valore del prodotto. Il presidente dell'Associazione laniera nega che il boom della lana sia la causa del udacdtralcntcpdcetsttpmrpstmmtscltddGaboom dei tessili in Italia. « In un primo tempo abbiamo addirittura temuto che questo aumento delle materie prime ci tagliasse l'erba sotto i piedi, proprio quando la ristrutturazione incominciava a dare i suoi frutti; quando, dopo aver acquistato i migliori telai del mondo, ci stavamo accorgendo di poter lavorare nuovamente a costi competitivi, con un certo margine per cominciare a rimborsare i capitali e a pagare gl'interessi dei finanziamenti, agevolati fin che si vuole ma che occorre e vogliamo pagare ». Per fortuna, continua Botto, come sempre è avvenuto in passato, anche questa volta è scattata la regola che vede sempre i rincari delle materie prime vivacizzare i settori interessati. Così la « timida » ripresa, iniziatasi qualche mese prima, ne è uscita rafforzata. « Ma non bastano pochi mesi di buon lavoro per colmare anni di crisi, e soprattutto occorre che tutto il sistema giri ». La pietra di paragone, la controprova della solidità della ripresa economica, nel settore tessile, sarà la reazione del consumatore al rincaro della lana, i cui effetti li ri¬ troveremo nei negozi dal prossimo autunno, afferma Giorgio Frignani, presidente dell'Unione Industriale biellese. « Un aumento del 300 per cento della materia prima — dice — la quale incide per circa il 50 per cento sul valore del prodotto finito, significa per l'abbigliamento di pura lana aumenti del 100-150 per cento. Il consumatore li accetterà? In questo caso la timida ripresa potrebbe ampliarsi, in caso contrario si arresterà ». Torna la lana Una tendenza al ribasso si avverte già sui mercati delle lane, ma, secondo Frignani, non si potrà scendere a breve scadenza su livelli molto inferiori agli attuali, sia perché si nota un ritorno alla lana (dopo « una momentanea vittoria del sintetico, soprattutto all'estero»), sia perché negli anni di crisi, durante quella « vittoria », gli allevatori australiani si erano buttati sui bovini da macello. Ora tornano alla lana, ma le greggi non s'improvvisano. Risultato: maggiore domanda, minore offerta. « D'altra parte è bene che sia così — com¬ menta il presidente dell'Unione Industriale — perché se si avesse una caduta dei prezzi con la velocità con cui si è avuto il rincaro, senza dar tempo alle aziende di smaltire i tessuti prodotti con la lana a quelle quotazioni, sarebbe una rovina ». «Sono ottimista di natura», conclude Frignani. «Ritengo che il periodo più nero sia dietro le spalle, anche se siamo ancora lontani dall'aver raggiunto l'equilibrio strutturale. E' necessario accrescere gli sforzi per industrializzare al massimo quello che, anche per le aziende con migliaia di dipendenti, è ancora un grosso artigianato. Occorrono più alti livelli di produttività. L'uomo vuol lavorare di meno, ed è giusto, ma questo si ottiene solo se le macchine, che non si stancano, lavorano sempre di più. Le nostre 4500-5000 ore di sfruttamento effettivo degli impianti, sempre più costosi, contro le 7000 ore degli Stati Uniti: è ancora questo il nodo più grosso da sciogliere per uscire dalla stretta in cui si dibatte da anni la nostra economia ». Mario Salvatorelli