La corsa all'Amazzonia di Francesco Rosso

La corsa all'Amazzonia IL BOOM BRASILIANO TRA REALISMO E UTOPIA La corsa all'Amazzonia Nei prossimi decenni il mondo dovrà fare i conti con il Brasile: è un colosso che si lancia alla conquista del suo retroterra seguendo il tracciato di una strada lunga 5000 km - Nelle foreste ci sono ricchezze inestimabili, c'è anche il dramma dei centomila indios superstiti - Ma dietro i pionieri premono 30 milioni di sottoccupati, un milione di bocche nuove ogni anno (Dal nostro inviato speciale) Rio de Janeiro, maggio. Il primo incontro sorprendente è all'insegna del Sol Levante: giapponesi che passeggiano dal Corcovado (con vista sulla più favolosa baia del mondo) a Copacabana, a Rio Branco; giapponesi e giapponesi che camminano infaticabili, mascherati da turisti per via delle cineprese e degli apparecchi fotografici, e sono lì attratti dall'odore di dollari che possono ricavare dai commerci col Brasile; acquisto d'olio di soia, pesca industriale, impianti e tante altre attività che sarebbe lungo elencare. Un altro West «Se ci sono tanti giapponesi, mi dicono gli esperti di economia, significa che il Brasile va davvero forte ». Mi procurano statistiche, valanghe dì cifre, per dimostrarmi che negli Anni Ottanta l'America Latina e il mondo dovranno fare i conti con questo colosso che si sta svegliando dal letargo tropicale e si lancia alla conquista del suo ignorato entroterra con uno slancio che soltanto gli illusi, o gli entusiasti, possono rivelare. Finora, il Brasile conosceva poco più del due per cento del suo potenziale economico, concentrato quasi esclusivamente nella striscia che fiancheggia l'Atlantico; il resto, lo sterminato interno in gran parte nemmeno esplorato, era rimasto come ai tempi della creazione, tutto da scoprire e da sfruttare. E' incominciata la corsa a Ovest, ed il Far West brasiliano procurerà sorprese non inferiori a quelle che, ai suoi tempi, incontrarono i pionieri negli Stati Uniti. Oltre a ricchezze inestimabili, c'è anche qui il problema degli indiani; ne sono rimasti centomila circa dei tre milioni e più che vivevano in Brasile al tempo della conquista coloniale, ma anche quei centomila rappresentano qualcosa per i pionieri brasiliani che avanzano alla conquista del Maio Grosso e del bacino del: VAmazzonia; sorgeranno controversie infinite per impossessarsi delle terre finora rimaste sotto il controllo degli indios, e le conseguenze sono, per ora, imprevedibili. Ma questo problema giuridico e umano si porrà il giorno in cui la Transamazzonia, la grande strada di cinquemila chilometri che attraverserà tutto il Brasile, e di cui parlerò altra volta, porterà le grandi masse di brasiliani a « invadere » le terre vergini; oggi il problema si pone in termini di previsioni, che non sono rosee per gli indios. A Rio de Janeiro, dove ho parlato di queste cose, mi pongono di fronte ad un dilemma: « Può il Brasile rinunciare a scoprire se stesso lasciando inesplorati quasi sette milioni di chilometri quadrati, perché in quella sterminata vastità vivono centomila indios e meno di sette milioni di caboclos, garimpeiros, siringheiros, avventurieri di ogni risma, cioè una popolazione inferiore a quella di San Paolo, che ha più di otto milioni di abitanti? ». La risposta è inutile. Anche se dicessi il contrario i brasiliani, già sullo slancio, avrebbero argomenti a non finire per dimostrarmi che ho torto. Sono ormai vicini a diventare cento milioni di abitanti, aumentano del tre per cento l'anno, hanno circa trenta milioni dì disoccupati o sottoccupati, ogni anno devono creare almeno un milione di posti di lavoro nuovi, hanno il Nordeste flagellato dalla siccità e dalla fame; sono tutti argomenti a favore di un massiccio sviluppo economico, e poiché hanno infinite possibilità per realizzarle, non badano ai mezzi. Hanno persino messo un po' da parte il loro indomito nazionalismo per invogliare i capitali stranieri a venire in Brasile; le loro offerte non sono cadute nel vuoto perché gli investimenti hanno la prospettiva di un lungo periodo produttivo, e sono attratti non soltanto dai bassi salari, ma soprattutto da una economia in sorprendente espansione. Alcune cifre per documentare questa espansione. Nel 1964, il costo della vita era aumentato del cento per cento, conseguenza di un'inflazione che pareva inarrestabile; lentamente, ma costantemente, l'inflazione è stata contenuta, poi ridotta a limiti sempre più tollerabili; nel 1972 era già scesa al 17 per cento e quest'anno è previsto che scenderà al 10 per cento. La deflazione è stata graduata nel tempo per non danneggiare eccessivamente i redditi bassi e concedendo ad operai e contadini aumenti salariali corrispondenti all'inflazione reale con un tre, quattro per cento in più. Cifre eloquenti GZi effetti si sono fatti sentire soprattutto con i programmi di sviluppo economico in ogni settore, dall'industria all'agricoltura, all'allevamento del bestiame. L'aumento del prodotto lordo è stato l'anno scorso del 10 per cento, ad un livello cioè dì altissimo sviluppo economico, enorme se confrontato al 2,6 di quello argentino. L'attività industriale può essere riassunta con la produzione automobilistica; già oggi il Brasile produce 660 mila automobili l'anno, e si calcola che entro cinque anni arriverà sicuramente al milione di autovetture, la cui domanda aumenta di circa il 25 per cento l'anno. Quando si dice che negli Anni Ottanta il Brasile sarà una potenza economica da paragonare al Giappone non si dice una frase ad effetto; oggi quel traguardo è ancora lontano, ma tutto lascia prevedere, se non vi saranno sconvolgimenti sociali profondi, che sarà facilmente raggiunto. I brasiliani vedono tutto roseo, e quando gli si fa osservare che, nonostante uno sterminato potenziale economico ancora tutto da sfruttare, il reddito medio per persona è tuttora di cinquecento dollari l'anno, un livello quasi africano, il presidente della Repubblica Emilio Garrastazu Medici risponde che nel 1980 tale reddito sarà più che raddoppiato. Il colosso dell'America Latina si è davvero svegliato, pare, destando comprensibili preoccupazioni negli altri paesi del continente, soprattutto nell'Argentina. I due rivali « Il Brasile prospera grazie ai dieci miliardi di dollari che lo indebitano con l'estero », ha commentato recentemente l'ex Caudillo argentino Juan Domingo Perón; trascurando però di aggiungere che il Brasile ha riserve di valuta estera per oltre quattro miliardi di dollari. L'Argentina, invece, ha quasi sei miliardi di dollari di debito estero e soltanto 770 milioni di riserve. L'annosa rivalità fra Argentina e Brasile ha trovato nuovo alimento in alcune decisioni prese dai brasiliani, soprattutto quella di costruire la grande diga di Itapù, sul Rio Parand. Se spalancasse contemporaneamente le sette porte della diga, si dice, il Brasile potrebbe inondare il Paraguay e gran parte delle province settentrionali dell'Argentina. E' un'eventualità da prendere in considerazione? Pare proprio di no; il Brasile ha crescente bisogno di energia, e la produce dove trova più comodo, anche se tocca gli interessi degli altri paesi attraversati dal Parand. Poi c'è la storia della nave brasiliana nell'Antartide, la sola dell'America Latina, mandata fra i ghiacci del Polo Sud per ricerche scientifiche, ma anche per un'affermazione di prestigio; l'Argentina, specie ora che al potere andranno i peronisti, non ha preso per un segno d'amicizia la decisione brasiliana; tollera la nave nelle proprie acque territoriali per via degli scopi scientifici, ma è chiaro che, se potesse, la colerebbe volentieri a fondo. I brasiliani pare si divertano a punzecchiare il loro avversario nella corsa ad assicurarsi la leadership nelV emisfero latino-americano, ma non perdono di vista la concretezza dei problemi che devono affrontare per garantire un'esistenza decente a quei trenta milioni di esseri ancora ai margini di ogni attività economica, che non guadagnano e non consumano. L'esplosione demografica preoccupa per le remore che può imporre ai programmi di sviluppo economico. Tutto il Brasile è pervaso dalla febbre di scoprire le infini¬ te ricchezze nascoste nel sottosuolo, di trasformare la foresta in campi fertili e produttivi, ma se la popolazione continua a crescere col ritmo attuale, c'è il rischio di rimanere al punto di partenza. Hanno scoperto giacimenti di ferro e di rame insospettati, hanno trovato con una ricerca durata due anni 630 nuove varietà di pregiatissimo legno da costruzione, hanno impiantato nel Goids risaie sterminate che fanno concorrenza agli Stati Uniti, all'Europa, al SudEst asiatico. Fra cinque anni i brasiliani potrebbero invadere il mondo con cateratte di mele (un solo meleto a Santa Catarina ha 750 mila alberi) ma tutto ciò non basta al milione di bocche nuove che vengono al mondo ogni anno, bisogna trovare qualche rimedio decisivo. Sì alle nascite? I contraccettivi, ha suggerito qualcuno. Il governo non ha detto niente, visto che si professa laico. La Chiesa ha taciuto, anche perché troppo viva dura la polemica per l'arresto dei domenicani di San Paolo che militavano in gruppuscoli antigovernativi. La pillola sarebbe la soluzione di tutto, dicono i sostenitori della limitazione delle nascite; stabilizzandoci sui cento milioni di abitanti, negli Anni Ottanta saremo davvero una delle grandi potenze economiche del mondo. Ma ci sono i brasiliani che vedono più lontano, guardano alla conquista di tutto il territorio non ancora sfruttato e che, una volta conquistato, avrà bisogno di braccia per essere coltivato. « Il Brasile può ospitare duecento milioni di brasiliani, assicurare il benessere a tutti, dicono i previdenti. Ve ne accorgerete quando la Transamazzonia sarà una realtà ». Nel frattempo, spensieratamente, i brasiliani continuano a crescere. Francesco Rosso *»4 Rio de Janeiro. Partita di calcio sulla spiaggia di Copacabana: dietro i palazzi-alveari spunta il caratteristico Pan de Azucar (Foto Team)

Persone citate: Emilio Garrastazu, Juan Domingo, Maio