I nuovi baroni del bisturi

I nuovi baroni del bisturi Il film di Zampa al Festival di Cannes I nuovi baroni del bisturi II regista del "Medico della mutua" ha scelto come ultimo bersaglio i cattedratici, volgarizzando un tema di attualità - "La notte americana", squisita fantasia di Truffaut - Una storia d'amore dagli Stati Uniti e un'amicizia svizzera (Dal nostro inviato speciale) Cannes, 15 maggio. I baroni della cattedra hanno colpa di tutte le speculazioni e di tutti i compromessi che avvengono nel mondo della medicina, ma per fortuna in Italia c'è una grande schiera di terapeuti idealmente simili al dottor Schweitzer che compiono il loro dovere con slancio missionario. Dopo aver toccato nel film Bisturi, la mafia bianca i problemi della riforma sanitaria nel nostro paese, il regista Luigi Zampa ha avuto uno scrupolo ed ha condensato in una didascalia conclusiva il suo parziale ottimismo. Suggerisce al pubblico, che per avventura si senta turbato dal disordine assistenziale, un'ipotesi rasserenante: ridotti i baroni alla modestia, tutto rifiorirà nel prato della salute pubblica. II film di Zampa è stato il secondo presentato dall'Italia al Festival di Cannes ed il primo di cui dobbiamo dar conto oggi, per rispetto all'ordine cronologico, dopo una giornata di silenzio, ma non di astinenza cinematografica. (Oltre alla pellicola chirurgica si sono delibati uno squisito Truffaut, una gentile storia d'amore americana ed una amicizia svizzera). La vicenda di Bisturi ha l'evidenza e lo spessore sbrigativo di un fotoromanzo retto da nobili intenzioni. Si racconta di un grande chirurgo, Vallotti, che gestisce l'arte sua come un'impresa commerciale, sfruttando i ricchi nella sua clinica privata e carezzando i poveri per esigenza pubblicitaria. Tra i suoi assistenti c'è un bel campionario di mediocrità, eseluso il dottor Giordani, censore degli intrallazzi e delle meschinità criminali ordite nella clinica, ma purtroppo e per reazione incline al bere. Coloro che s'affidano alla celebre mano del professore diventano sudditi di un potere che essi non possono denunciare perché affonda il suo imperio sulla sofferenza comune, nella speranza dei malati. Fono troppe però le cose che non vanno tra le pareti della clinica, e Giordani, che patisce anche il supplizio d'essere amato da una suora, invia una dettagliata denuncia alla magistratura. Servirà a far vacillare il barone? No, tutti i luminari si stringono attorno a lui in solidarietà mafiosa e ricattano indegnamente l'onesto denunciatore. Perché il trionfo dei cattedratici non sembri troppo offensivo, il regista ci informa alla fine che una malattia ha fatto la sua vendetta: il morbo di Parkinson fermerà la mano del chirurgo, trasferendolo nel gruppo dei sofferenti bisognosi d'aiuto. « Bisturi » non chiede giudizi estetici che non sarebbero generosi; si propone di far discutere la gente, di volgarizzare un problema politico nonostante le cadute fumettistiche (fuori luogo nel decoro di un festival), crediamo che ci riuscirà. L'interprete Gabriele Ferzetti è assai bravo: duole non vederlo più spesso impegnato dal nostro cinema. Francois Truffaut ha sfaccettato con la Nuit americaine un gioiellino che scintilla d'ingegno e di tenerezza. Che differenza c'è tra la realtà ed il cinema? Ed i sentimenti di un cineasta non sono forse proiezioni delle sue storie? Il titolo La notte americana indica un espediente tecnico per cui appaiono notturne le scene girate di giorno: ed il trucco diventa metafora nella storia truffautiana, che indaga su una troupe impegnata nelle riprese di un film. Il copione prevede che una bella ragazza s'innamori del padre di suo marito; ma le complicazioni dietro la macchina da presa sono maggiori che sul set. Gli interpreti della vicenda hanno un loro mondo reale che spinge per essere rappresentato. Il giova- i ne attore è tradito dalla se- gretaria di produzione e si consola con la prima attrice, il divo anziano vuole ancora i il ruolo del seduttore mentre la diva lievemente appassita recalcitra davanti all'incipiente castità. Una saggia comparsa decreta la corruzione del cinema, ove personaggi e interpreti fanno l'amore troppo facilmente. Ma i fatti «veri» che si sovrappongono ai fittizi non sono altrettanto falsi, inventati dal copione? Truffaut s'è riservato nel film la parte del regista, rivelando ol- tre il doppio fondo delle storie intrecciate una terza realtà, sua personale, di autore coinvolto nei rapimenti della finzione. Ci sono alcune rapide sequenze in bianco e nero, che lacerano la compattezza del film: vi appare un ragazzo goloso di cinema che strappa di nascosto le fotografie di Citizen Kane dall'ingresso di una sala pubblica. Così è Truffaut, sedotto nell'infanzia dalla retorica geniale di Orson Welles, coltivato nella maturità sui testi e sulle opere dei migliori registi. Gli entusiasmi degli anni freschi sono lontani; il vizio del cinema s'è trasformato in un sorriso d'indulgenza sofferente. In mezzo ai suoi attori (Jacqueline Bisset, Valentina Cortese, Jean Pierre Aumont, Alexandra Stewart, Jean-Pierre Leaud) l'ex ragazzo della nouvelle vague gioca ancora, con una punta severa di consapevolezza. Il critico (frettoloso, ma non ingiusto) davanti ad un film come Jeremy, presentato oggi dagli Stati Uniti, ha pronta la sua ammirazione ed i suoi aggettivi da spendere: delicato, intenso, pulito. Jeremy è un adolescente che studia violoncello, Susan una sua coetanea con ambizioni di danzatrice. I due giovani s'incontrano, si amano, si appartengono in un breve giro di giorni, prima che il padre di lei sia chiamato in un'altra città per lavoro. Struggenti banalità e fresche osservazioni si snodano tra i grattacieli di una New York per una volta intenerita. La mano del regista Arthur Barron non ha sempre la stessa forza discreta, ma in alcuni punti la pellicola è pari alla sua segreta ambizione, mostrando in trasparenza la grande infelicità di essere adolescenti. Chi s'aspettava dalla Svizzera una lieta sorpresa come il film L'invitation? Tutti coloro che conoscevano il regista Claude Goretta e le sue doti acutamente introspettive. Non accade nulla in questa pellicola che si presti al facile effetto. Un impiegato, rimasto lontano dall'ufficio dopo la scomparsa della vecchia madre, invita i colleghi in una villa di campagna che ha acquistato con l'eredità. Costeggiando il pericolo del macchiettismo, senza mai mettervi dentro un piede, Goretta ha fatto danzare con garbo i suoi personaggi, fra la scrivania e la scampagnata, appuntando la sua pietosa amicizia sul petto del padrone di casa, lo sprovveduto e timido impiegato con villa. Con due film tanto vibratili e allusivi oggi si sono celebrati i buoni sentimenti: anche i recensori, se la cura continuasse, potrebbero illanguidirsi al punto da desiderare un bagno di purezza. Ma il Festival vigila e per domani propone un titolo brusco: La maman et la putain i à , e e o n é Cannes. Senta Berger, interprete del film di Zampa (Team)

Luoghi citati: Cannes, Italia, New York, Stati Uniti, Svizzera