La timida ripresa di Mario Salvatorelli

La timida ripresa DIBATTITO SULL'ECONOMIA ITALIANA La timida ripresa Nel dibattito sulla « Umida ripresa » dell'economia italiana, avviato l'S maggio su La Stampa da Romano Prodi, Intervengono oggi l professori Francesco Forte, della Università di Torino, Luigi Spaventa, dell'Università di Roma e l'on. Eugenio Peggio, segretario del Centro studt di politica economica del pei. A tutti abbiamo posto le seguenti domande: 1) C'è o non c'è la ripresa? Si può parlare di svolta, della fine della crisi? 2) E' una ripresa Inflazionistica? Convtene frenare l'inflazione, col rischio di bloccare la ripresa, o non prendere misure deflazionistiche, col rischio di aggravare la spirale del prezzi? 3) Sono applicabili in Italia misure di blocco del prezzi e/o dei salari per uscire dal dilemma « inflazione o crisi »? 4) Come giudica la politica del governo e la posizione del sindacati? Forte Indubbiamente un certo risveglio nell'economia italiana si nota dall'ottobre scorso. Tuttavia, nel primo trimestre di quest'anno, la produzione industriale complessiva ha subito un ristagno, a causa dell'andamento negativo dei settori collegati a quello metalmeccanico, ove vi furono le note agitazioni per il rinnovo del contratto. Gli altri settori, nel primo trimestre, sono andati piuttosto bene. Dati questi andamenti contrastanti, non ritengo ancora possibile affermare che abbiamo già superato il punto di svolta. Desidero ricordare che alla fine del 71 vi fu una ripresa molto marcata, che segnalai allora in un articolo su La Stampa. Fattori politici e amministrativi successivi l'annullarono. Speriamo che questa sia la volta buona, ma evitiamo di esaltarci prima che il decollo sia avvenuto. In ogni caso è troppo presto per parlare di boom. In questa ripresa (o meglio nell'attuale andamento economico che presenta anche sintomi di ripresa) vi sono forti fattori inflazionistici: i prezzi stanno aumentando a un ritmo superiore al 10 per cento annuo e si potrebbe persino superare il 1590. In parte l'aumento dei prezzi dipende dalla svalutazione della lira, realizzata con la sua fluttuazione, che è mediamente dell'8 per cento circa, tenendo conto dei rapporti con le valute europee, con cui è superiore e con il dollaro, con cui la variazione è insignificante. La svalutazione di fatto della lira ha stimolato alcune esportazioni, ha indotto a fare acquisti per scorte, sta rianimando il settore immobiliare e determina accaparramenti. Dunque, insieme a elementi di domanda da vedersi con favore, vi sono elementi malsani. Ma sarebbe pericoloso agire comprimendo la domanda complessiva. Bisogna invece combattere gli elementi d'inflazione da costi e le patologie con azioni selettive, certamente non facili, e con un clima generale di maggiore austerità, o meglio, di minore spensieratezza. Per quanto riguarda misure di blocco per prezzi e salari, non ritengo che si possano applicare né le une né le altre, perché la nostra macchina amministrativa non lo consente e tutto si ridurrebbe a bloccare la «scala mobile», esasperando gli operai, con conseguenze gravi per il clima della produzione. Bisogna invece cercare accordi e autoregolazioni. Le confederazioni sindacali si stanno accorgendo sempre di più che occorre mettere fuori gioco le rivendicazioni corporative dei vari settori burocratici e di certi servizi. Il governo, col peccato originale degli aumenti ai superburocrati e dei pensionamenti anticipati agli statali, stenta a porre un freno in questa direzione. Peggio I dati sinora disponibili non consentono di dire che siamo giunti, finalmente, alla fase della ripresa. Nel corso degli ultimi mesi, l'accelerazione dei fenomeni inflazionistici ha determinato probabilmente anche un incremento della domanda, e quindi della produzione: i consumatori e le imprese, nella prospettiva di una ulteriore perdita di valore della moneta, hanno anticipato gli acquisti di beni finali o di merci destinate alle scolte. Ma quanto può durare un incremento della produzione così artificioso? Tutti hanno riconosciuto il carattere strutturale della crisi iniziata nel 1970. A questo punto, visto che le cause di fondo della crisi non sono state rimosse, è illusorio credere che qualche eventuale sintomo di ripresa della produzione stia ad indicare una svolta generale nella vita economica del paese, e l'avvio di una nuova fase di sviluppo destinata a daamcinbreutimcdscutmpsus1pmsmrcmsbdbfledspctnpcczidddnNz durare a lungo. D'altro canto, anche chi vuole essere ottimista ad ogni costo non dovrebbe dimenticare le incertezze e la precarietà del quadro economico internazionale. L'inflazione va senz'altro combattuta, e con decisione. Ma sarebbe pura follia fare ricorso a una politica deflazionistica di tipo tradizionale, incentrata su misure monetarie e creditizie che comportino una riduzione della domanda globale. Lo stesso ministro Malagodi riconosce che non siamo di fronte ad un'inflazione da domanda. Pertanto, la compressione della domanda globale non farebbe che prolungare la stagnazione. Non si dimentichi, tra l'altro, che una delle cause dell'attuale crisi sta nella politica seguita dal 1963 in poi, che ha imposto al paese un contenimento della domanda (per investimenti e consumi) ad un livello costantemente inferiore all'entità delle risorse disponibili. A mio avviso non sono applicabili in Italia (ma probabilmente anche in molti altri Paesi) misure amministrative di blocco « generale » dei prezzi e dei salari. C'è tuttavia la possibilità di uscire dal dilemma «inflazione o crisi», ed anche dalla situazione che concretamente esiste in Italia: di inflazione e di crisi ad un tempo. Per questo occorre colpire a fondo i parassitismi e le pratiche speculative, controllare rigidamente i prezzi amministrati, mantenere il blocco delle tariffe dei pubblici servizi, manovrare la concorrenza internazionale per contrastare gli aumenti dei prezzi decisi all'interno delle grandi imprese, pubbliche e private. Credo che il governo Andreotti-Malagodi abbia sperato di rilanciare l'espansione produttiva attraverso l'accelerazione delle spinte inflazionistiche. Non si dimentichi che l'inflazione da un lato colpisce duramente la povera gente, ma dall'altro riduce i debiti (delle imprese e dello Stato) e incoraggia gli investimenti immobiliari. L'attuale governo, probabilmente, ha cercato di riattivare il meccanismo di accumulazione inceppato, facendo affidamento su questi effetti dell'inflazione. Come spiegare diversamente le scelte compiute riguardo all'Iva, o il « bluff » della circolare ai prefetti per l'introduzione dei calmieri, e la stessa decisione di far fluttuare permanentemente la lira « commerciale »? Quanto ai sindacati, è ovvio che il loro comportamento non può non essere condizionato dalla politica economica che concretamente viene seguita. Oggi, giustamente, le grandi organizzazioni sindacali rivendicano nuovi indirizzi di politica economica. Ma se la politica economica non subirà i mutamenti necessari, è fatale una forte ripresa delle lotte sindacali per l'aumento dei salari. Spaventa Non par dubbio che una ripresa sia in atto: lo confermano gli indicatori statistici disponibili e le valutazioni degli operatori economici. E' una ripresa spontanea e perciò tardiva; agli errori e alle omissioni della politica economica va attribuita una parte larga di responsabilità per l'intera vicenda ciclica recente. La recessione avrebbe potuto essere superata prima e meglio, sol che la diminuzione della domanda privata fosse stata compensata da un'azione pubblica volta ad intraprendere quelle riforme di cui tanto si è parlato e che mai si sono fatte. Mentre cresceva la disoccupazione e la capacità produttiva restava inutilizzata, si parlava, in questo paese, di «costo delle riforme»; il vero costo che abbiamo dovuto sopportare, come si dice nel rapporto del segretario della programmazione, è quello delle riforme non fatte. E' un costo che dovremo pesantemente sopportare anche in futuro, poiché non si è avviato a soluzione neppure uno dei problemi che affliggevano, ancor prima che l'economia, la società italiana: se ne accorge ora anche chi s'illudeva che i costi sociali potessero non trasformarsi, come invece poi è avvenuto, in costi privati. In siffatte condizioni, questa ripresa congiunturale, che di per sé potrebbe anche protrarsi e trasformarsi in più sostenuto sviluppo, non elimina le cause latenti e patenti di crisi sociale e pertanto le ragioni vere di fragilità dell'economia. Ve ripresa c v'è inflazione. Ma non si pensi che, se si frena la ripresa, con manovre deflazionistiche di indiscriminata compressione della domanda, si riesca perciò a frenare l'inflazione. Si arresterebbe sul nascere la ripresa degli investimenti; una minore domanda farebbe aumentare i costi per le imprese, mentre non riuscirebbe ad impedire gli aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari, delle materie prime e dei servizi, in una situazione d'inflazione mondiale. Naturalmente, astenersi da una politica indiscriminatamente deflazionistica non significa che non si debbano apprestare misure di controllo seletti¬ vo, le quali potrebbero in futuro rendersi necessarie. Le vicende recenti (il modo d'applicazione dell'Iva, la farsa autunnale dei controlli prefettizi, il decesso prenatale di alcune proposte di uno dei piani annuali per il 1973) bastano a mostrare che un blocco generale dei prezzi è inattuabile. Non solo inattuabile, ma anche politicamente impensabile è un blocco dei salari; basterebbe parlarne per scatenare quelle rivendicazioni monetarie, in sede di contrattazione aziendale, che oggi le confederazioni sindacali cercano di evitare. Vi sono svariate misure specifiche, che potrebbero essere adottate, e che servirebbero non tanto per i loro effetti diretti, quanto per ridurre le prospettive inflazionistiche. Queste misure, però, dovrebbero far parte d'un piano organico di politica economica. Ma, per quanto riguarda il governo, ci si può chiedere se si possa parlare di politica economica, quando non si ravvisa alcuna linea coerente di intervento. Avviene così che i sindacati, proprio nel momento in cui ripropongono un dialogo che non si esaurisca nelle rivendicazioni salariali, restano privi di interlocutore. (Inchiesta coordinata da Gianfranco Romanello e Mario Salvatorelli).

Persone citate: Andreotti, Eugenio Peggio, Francesco Forte, Gianfranco Romanello, Luigi Spaventa, Malagodi, Romano Prodi

Luoghi citati: Italia, Torino