Tra deserto e grattacieli

Tra deserto e grattacieli LO STATO D'ISRAELE CELEBRA I 25 ANNI Tra deserto e grattacieli Dall'aeroporto di Lod, lungo il crinale dei monti di Giudea, la strada per Gerusalemme - L'Alta e la Bassa Galilea, la pianura fertilissima dell'Emek Ezreel: un'illusione d'Italia - Pochi chilometri, ma molti secoli, tra la cristiana Betlemme e la musulmana Hebròn - La strada del Sinai, attraverso la sabbia - Uno sviluppo febbrile, che trasforma anche gli antichi villaggi della Samaria - Una barriera psicologica e sociale separa ebrei e arabi, il contatto fra i due mondi è imperfetto, in parte illusorio Gerusalemme, maggio. Venticinque anni dopo, Israele è meno Medioriente, più Italia e più America. All'arrivo, l'aereo scende dal Mediterraneo su Tel Aviv, una metropoli; sorvola le torri Sheraton e Hilton del lungomare; plana, oltre bianchi sobborghi, su una terra tutta verde, fittamente alberata. Lo sguardo coglie soltanto tracce residue del giallo terreno sabbioso che, 25 anni fa, faceva di ogni villaggio un'oasi. Si esce in auto dall'aeroporto di Lod (la notte in cui lo conquistarono alcune improvvisate unità dell'« esercito d'Israele », nel luglio del 1948, fra spari e urla di sciacalli, questa appariva una landa desolata), e si incontra il primo ingorgo di traffico. Un cementificio annera l'orizzonte. S'inizia l'ascesa a Gerusalemme; la strada è, per lunghi tratti, nuova e a quattro corsie; il « collo di bottiglia » che strozzava l'accesso alla capitale è scomparso. Poco oltre un cippo commemorativo, superato un anacronistico « ponte Bailey », si scorge lontano a sinistra, in zona che fino al '67 era araba, la nuova autostrada Tel Aviv-Gerusalemme, in costruzione; a destra, oltre un ciglio di basse colline, correva la « Burma road », la pista che riaprì nel '48, avventurosamente, la via di Gerusalemme agli ebrei (come allora si diceva). El Kutz Oltre il fortilizio quadrato della stazione di polizia, che bloccava ogni passaggio, si giunge sotto il convento di Latrùn, circondato da vigneti. Di qui la strada sale ad ampie curve fra boschi di pini: è lo stesso tracciato di allora. Poi, molto presto, perché Israele è piccolo, la strada raggiunge l'altissimo crinale dei monti di Giudea, e si hanno i primi annunci di Gerusalemme. Lontano, a sinistra, un vasto anfiteatro di pietrose colline culmina nel minareto di Nebi Samwil (la tomba di Samuele, per la tradizione araba) ; a destra ed innanzi, i serrati sobborghi di una città moderna come tante altre, ma aerea e luminosa. Nel cuore di essa, si riscoprono i campanili delle chiese, le cupole delle moschee, le torri e le mura intatte di pietra rosata che cingono il colle di Jerushalaim, El Kutz, la Santa. Dirigendosi da Tel Aviv verso il Nord, oltre gl'interminabili sobborghi residenziali, si corre su un'autostrada parallela e vicina al mare. Talvolta, dall'alto di un dosso, si scorge il panorama della piana di Sharon; è verde come la Conca d'Oro, fitta di coltivazioni e di case, dov'erano estensioni desertiche. Oggi, la terra è piena; 25 anni fa non lo era. Si è riempito di nuovi quartieri anche il promontorio boscoso del Carmelo, che racchiude la baia di Haifa. A nord della città, in una sera fumosa, la pianura appare invasa da fabbriche e sobborghi operai, che giungono fin quasi sotto le mura di Acri, ai piedi dei colli di Galilea. Percorrendo poi l'Alia e la Bassa Galilea, abitata per larghi tratti da arabi israeliani, scendendo nella pianura fertilissima dell'Emek Ezreel, che era una palude quando vi sorsero i primi kibbutzim, o avvicinandosi ai mistici paesaggi montani sospesi sul lago di Tiberiade, la terra popolosa e ben coltivata dà spesso un'illusione d'Italia. Al Nord, sullo sfondo dell'Hermòn innevato, fitte pinete, uliveti, gaggìe in fiore; al centro, vigneti e frutteti; a sud del lago, il paesaggio è già tropicale, fra piantagioni di palme e banane, e aranceti carichi di frutti e di fiori: in queste notti il loro intenso profumo penetra, col vento, entro ogni città d'Israele. bsèrnzsvddcueqiivssIl vallo Ritornando a Gerusalemme, da Tiberiade a Gerico, la strada scorre in quella frattura della crosta terrestre che è la valle del Giordano, fra paesaggi sempre più aridi e maestosi, sconvolti da cataclismi remoti. A sinistra della striscia d'asfalto, il «vallo elettronico» d'Israele, i fili spinati, la pista terrosa percorsa da rari veicoli militari, parlano di guerra. Su un colle, il più semplice di tutti i monumenti militari d'Israele: un cannone antiaereo verniciato di nero, stagliato contro il cielo. Sono rari i villaggi arabi su questo lato della vallata, che precipita in basso, fino ai 400 metri sotto il livello del mare dell'oasi di Gerico. Chi vi giunga una sera di sa- bato vi trova, inattesa, l'atmosfera del weekend: la cittadina è gremita di arabi ed ebrei gerosolimitani, venuti a bagnarsi nel mar Morto. Quando s'inizia, al tramonto, la ripida ascesa verso la Città Santa, attraversando i monti del deserto di Giudea, coperti dalla peluria dorata di erbe inaridite, ci s'incolonna nel tipico traffico di un « ritorno domenicale ». Si entra a Gerusalemme dai nuovi quartieri arabi e ci s'immerge in un tumulto inconsueto, per il miscuglio delle genti, delle vesti, delle fisionomie. L'atmosfera è più tranquilla in quella specie di sobborgo di Gerusa¬ lemme che ha nome Betlemme: una cittadina di provincia del Mezzogiorno italiano. Prima di giungervi, un cartello avverte dove finisce il distretto municipale di Gerusalemme, e con esso lo Stato d'Israele; incominciano di nuovo i « territori ». Il Neghev Proseguendo da Betlemme verso Sud, i monti di Giudea sono fittamente coperti da lindi vigneti, da pittoreschi villaggi arabi: moltissime le casette nuove. Pochi chilometri, ma molti secoli, separano Betlemme cristiana dalla musulmana He¬ bròn, dall'aspetto medioevale: arabi ed ebrei la considerano città santa per la tomba d'Abramo. Dopo Hebròn, ci si ritrova presto in paesaggi desolati. Il terreno s'inaridisce e appiattisce verso il deserto del Neghev: un altro mondo, ora deserto biblico e ora Phoenix, Arizona. A Bersceva, poco rimane della cittadina fondata dai turchi come remoto nodo ferroviario fra Europa, Egitto ed Arabia. La città nuova, industriale e scientifica, è grande e prospera; sono quasi completi gli avveniristici edifici di cemento dell'Università. A nord di Bersceva, l'acquedotto che vi por- ta, attraversando tutto il Paese, le acque del lago di Tiberiade, ha trasformato il deserto in pianura coltivata. A Sud, oltre gli ondulati campi di grano beduini, che in questa stagione sono verde pallido, si è di nuovo nel deserto. Qui si entra in una diversa dimensione di tempo e spazio. La strada per il Sinai corre fra alture frantumate dall'erosione dei venti, fra aspre colline chiazzate di gessi biancastri, attraverso ondulate distese sabbiose. In questo paesaggio lunare capita di trovarsi, d'un tratto, accanto a un attendamento beduino, fra capre e cammelli. In un luogo che non esiste, se non come un punto geografico, una donna con vesti nere insegue un piccolo gregge. Un vecchio col turbante cavalca un asinelio bianco verso lontananze vuote. Era così 25 anni, anche 25 secoli fa. Dirigendosi di nuovo a Nord, o verso il mare, si raggiungono improvvisamente i fitti aranceti della piana di Gaza, arabi o israeliani. In un pomeriggio di viaggio veloce si può compiere un gran circolo verso Sud, da Gerusalemme a Bersceva, e poi di nuovo risalire al Nord per immergersi la sera nel caos di Tel Aviv, con le sue luci, il frastuono e il disordine da città americana. Pochissimi giorni bastano per accogliere nella mente questa visione panoramica del Paese, 25 anni dopo la nascita dello Stato d'Israele, e dopo tre guerre. L'immagine di allora era quella di un incompiuto agglomerato di colonie agricole e di modeste cittadine. Israele era soltanto un'ipotesi di Nazione. Attraverso una lunga catena di scontri, la Terrasanta appare di fatto ricomposta nella sua singolare unità storica, ricca di estremi contrasti. La complessità tormentosa delle immagini riflette vasti conflitti, passati, attuali o latenti: si vive, con una partecipazione intensa, un'esistenza che sfiora sempre l'assoluto. Si aggiunga che tutto il Paese è investito da uno sviluppo febbrile, che trasforma anche gli antichi villaggi della Sama¬ ria e fa sorgere quartieri eleganti alle spalle della città araba di Nablus. C'è benessere e voglia di vivere, c'è anche una generale « tranquillità ». I ponti verso la Giordania e il mondo arabo rimangono aperti e ogni anno 150 mila arabi visitano pacificamente Israele; ogni giorno, 60 mila arabi vengono a lavorarvi dalle zone occupate. Ogni giorno si hanno anche notizie di guerra. La pace è insicura, così come il contatto fra i due mondi è imperfetto, in parte illusorio. Non si vedono quasi mai, in tutti i territori occupati, soldati d'Israele, le strade sono libere; ma una barriera psicologica e sociale separa ebrei ed arabi, smentendo l'impressione di unificazione compiuta che emerge dalla colorita confusione di Gerusalemme. Anche questo contatto parziale è un fatto nuovo, per molti aspetti positivo. Ma gli arabi sentono quest'occupazione, anche se ha diversi effetti benefici, come una presenza nemica, imposta con le armi; tacciono, e attendono ancora rivincite. Gl'israeliani godono di una nuova sensazione di spazio e di sicurezza. In 25 anni di lavoro e di guerre, essi hanno creato un Paese e uno Stato; forse, non si sono mai sentiti così forti, da duemila anni. Ma l'atmosfera di fatalità che accompagna la vita del popolo ebreo non è scomparsa. Questa pace, ogni giorno insanguinata, è parte di un lungo conflitto inconcluso. Si vive ancora nelle vaste, inquietanti dimensioni della Storia; non in quelle brevi e razionali della politica. * Gerusalemme. Carri con missili sfilano per le celebrazioni dei venticinque anni d'Israele (Telefoto Associated Press)

Persone citate: Bailey, Nebi, Sama