Scompaiono i testimoni per la droga nel night I pochi che parlano smentiscono o stanno male

Scompaiono i testimoni per la droga nel night I pochi che parlano smentiscono o stanno male Scompaiono i testimoni per la droga nel night I pochi che parlano smentiscono o stanno male Beppe Ercole, playboy, ha detto: "Sono presente, ma non in grado di difendermi e spiegare tutto" - In realtà sembra che tutti vogliano essere gli ultimi a deporre per "sapersi regolare" - Esiste il pericolo d'un rinvio a nuovo ruolo del processo (Nostro servizio particolare) Roma, 4 maggio. I «giovani leoni» del «Numbe; One» continuano a fuggire e chi non può farlo, perché detenuto, coglie ogni pretesto per tacere. Lo scirocco romano fa strage tra gli imputati e la lista degli ammalati, oggi, si è allungata: Pier Luigi Torri, Pucci Albanese e Maria Luisa Figus sono rimasti ancora a casa e questo era previsto, ma il loro esempio è stato subito imitato da Ugo Passin e Roberto Righini. Risultato: il tribunale si è trovato in pratica questa mattina nell'impossibilità materiale di andare avanti nel suo lavoro per la scomparsa dei personaggi da interrogare. Ovvero: i giudici avrebbero potuto ripiegare su Beppe Ercole che ieri, a metà del suo racconto, s'era fermato sostenendo che non era più nelle condizioni per rispondere alle domande del presidente. Ma quasi 24 ore di riposo nella sua cella a Rebibbia non hanno ritemprato il baldo ex proprietario di ristoranti alla moda. «Noji potrei difendermi e spiegare tutto», si è giustificato Beppe Ercole. «Ma allora se ne torni in carcere». gli ha proposto il presidente pur rendendosi conto che si trattava di un banalissimo pretesto. «No, no — ha replicato l'altro — non sto poi così male da dover lasciare quest'aula. Anzi, preferisco rimanere per rendermi conto di quello che avviene: non sono in grado soltanto di rispondere alle sue domande». La tattica è persino troppo evidente: ogni imputato vuole parlare per ultimo dopo avere ascoltato quello che gli altri diranno prima di lui, per regolarsi meglio. Anche Ugo Passin e Roberto Righini, che sono accusati per un episodio assolutamente marginale rispetto alla vicenda del «Number One»: infatti, hanno detto in istruttoria di avere acquistato hashish e marijuana dal produttore cinematografico Gianni Buffardi, sono stati incriminati per calunnia. Porse i due temono di essere costretti a rivelare chi li possa avere indotti ad assumere questa iniziativa e a formulare accuse senza fondamento contro l'ex genero di Totò. Alle assenze degli imputati se ne è aggiunta un'altra non meno importante: quella del pubblico ministero, Domeni¬ co Sica. Il magistrato che ha svolto le indagini sin dall'inizio dell'istruttoria e che sostiene l'accusa in dibattimento si è fatto sostituire da un collega. L'episodio rientrerebbe nella più assoluta normalità perché il ruolo del pubblico ministero è impersonale se, oggi, non si fosse parlato molto in aula di Domenico Sica, ufficialmente impegnato questa mattina nella indagine per il rogo di Primavalle. A rendere più complessa una vicenda così ingarbugliata con tutta una serie di pettegolezzi e di malignità, che molto spesso sono vere calunnie, si è inserito da tempo un episodio sul quale, con un procedimento separato, si sta indagando. Paolo Vassallo, lo stesso giorno in cui venne arrestato, raccontò di avere saputo da un avvocato che Bino Cicogna era stato costretto a fuggire in Brasile (dove poi si è tolto la vita) non avendo la possibilità di trovare 5 milioni che gli avrebbero consentito di evitare l'emissione dell'ordine di cattura. Il magistrato, che (a dire degli iputati) dietro versamento di questa somma non avrebbe preso il provvedimento, sa- rebbe stato Domenico Sica, allora come ora sostituto procuratore della Repubblica. Presidente (rivolgendosi a Vassallo): «Lei conferma l'episodio?». Vassallo: «Confermo che ho sentito parlare dì una lettera inviata da Cicogna nella quale si raccontava questa storia. Ne parlavano Ruggieri e l'avvocato Massaro». Presidente: «Ma questa lettera qualcuno deve averla: o Ruggieri o l'avvocato Massaro». Vassallo: «Secondo me, signor presidente, questa lettera non esiste e questa storia dei 5 milioni da pagare al dottor Sica mi sembra tutta inventata. D'altro canto, io appena giunto in carcere ho fatto in modo di avvertire il dottor Sica su che cosa avevo sentito dire». Il tribunale avrebbe, forse, voluto chiarire subito l'episodio o per lo meno saperne di più e ha sperato di avere qualche chiarimento da Bruno Ruggieri. Ma «il faina» o «il professore», com'è meglio conosciuto in un certo ambiente romano, ha bloccato sul nascere la curiosità dei giudici: conosce il codice di procedura e lo ha utilizzato subito. Naturalmente, per tacere. «Ruggieri — gli ha chiesto il presidente — lei potrebbe darci qualche chiarimento?». Ruggieri: «Lei mi vuole interrogare come imputato in questo processo o come testimone nell'altro?». Presidente: «Quale altro?». Ruggieri: «Quello per la lettera scritta da Cicogna con l'accenno ai 5 milioni da versare per evitare l'arresto. In quel processo io sono stato già interrogato come testimone e il dottor Pianura che oggi è il pubblico ministero in sostituzione del dottor Sica me ne può dare atto». Di fronte alla barriera del silenzio e di fronte alla constatazione che mancavano materialmente gli imputati da interrogare, i giudici hanno deciso di ascoltare almeno quello che Jolanda Aveline (della quale non faranno mai conoscenza perché è fuggita da tempo e non mostra alcuna intenzione di venire in tribunale) ha detto quando era ancora in Italia e il giudice istruttore non aveva pensato di incriminarla. Jolanda Aveline si trasferì a Roma nel 1969 dopo essere uscita da una brutta avventura in Svizzera dove fu costretta a disintossicarsi dagli effetti della cocaina. Ufficialmente la sua attività era quella di fotomodella e di attrice: la realtà era tutt'altra. Assunse il nome di battaglia «Federika», cominciò a frequentare i locali notturni e la giornata per lei finiva normalmente la mattina successiva. Quando il dottor Sica cominciò a frugare tra i personaggi del «Number One», Jolanda fu molto loquace e disse tutto quello che sapeva sulla droga e su chi ne faceva uso, accusando soprattutto Bruno Ruggieri con il quale ha vissuto per un paio di mesi. Il processo riprende martedì nella speranza che qualcuno si decida a presentarsi in aula. Ma martedì il tribunale deve anche risolvere due problemi: se separare da quella degli altri la sorte di Umberto Righini e Ugo Passin, come ha chiesto l'avvocato Eugenio De Simone, o addirittura ritenere l'istruttoria nulla, come ha sostenuto l'avvocato Rocco Mangia, perché il magistrato inquirente non sospese la indagine per il periodo (40 giorni) in cui Beppe Ercole fu ricoverato in una clinica per disturbi nervosi. Come dire che esiste il pericolo fondato di un eventuale rinvio a nuovo ruolo di tutto il processo. *—, »j f—. -jGuido Guidi

Luoghi citati: Brasile, Italia, Roma, Svizzera