Troppi ostacoli al pieno impiego di Franco Maria Malfatti
Troppi ostacoli al pieno impiego La lettera del sabato Troppi ostacoli al pieno impiego L'occupazione è uno dei punti critici della situazione italiana che va ben al di là dei problemi, pur gravi, sollevati sul piano congiunturale dalla crisi economica. Nel 1972 è continuata infatti la riduzione dell'occupazione in conseguenza della prolungata stasi, anche se sembra che negli ultimi mesi la situazione vada modificandosi positivamente. In ogni caso il fatto particolarmente grave, che supera il dato congiunturale, è che l'aumento delle persone in cerca di occupazione ha riguardato solamente i giovani inoccupati, « un problema tanto più rilevante — si legge nella Relazione generale sulla situazione economica del Paese — quando si consideri che uno dei suoi aspetti peculiari è costituito dal continuo infittirsi delle leve giovanili laureate o diplomate (attualmente il 40 per cento circa del totale delle persone in cerca di prima occupazione) che non riescono ad inserirsi tempestivamente ed in modo adeguilo nell'attività produttiva ». Più in generale è motivo di allarme constatare che essendosi ulteriormente ridotto il tasso di attività (siamo scesi ormai al 35,5 per cento), anche per questo si è accresciuto il divano tra il nostro e gli altri Paesi europei. Altro motivo di preoccupazione è che essendo proseguita nel 1972 la riduzione degli occupati nel settore agricolo ed in quello industriale, è solo nel settore terziario che si è registrato un aumento, sia pure lievissimo, dell'occupazione. Ora il fatto non sarebbe in se stesso negativo, poiché la « terziarizzazione » è fenomeno proprio di tutte le economie mature. Da noi però vi è anche, assai consistente e in grave sviluppo, una « terziarizzazione » patologica come punto d'approdo per tanti disoccupati. Diritto al lavoro Se, ad esempio, comuni ed ospedali finiscono per essere talvolta prima che centri erogatori di servizi efficienti ai cittadini rifugio per l'esercito dei disoccupati, ciò significa che non si sa dare una risposta fisiologica all'elementare diritto al lavoro. Concorso nella inefficienza delle amministrazioni pubbliche, ostacoli talora insormontabili posti a pur essenziali esigenze di ristrutturazione di interi settori produttivi, spinta sempre più forte verso pratiche di economia sussidiata o di beneficenza sono tutti effetti negativi, riconducibili (se pure, come è ovvio, non in termini esclusivi) al problema irrisolto dell'occupazione. Come afferma il rapporto del Cnel sulla situazione sociale del Paese: « La persistenza nel tempo di processi e soluzioni (individuali e no) di assestamento precario può portare ad una perdita di quella fede nello sviluppo e volontà di progresso che sono slate tipiche dell'ultimo dopoguerra e ove non si riesca ad " uscire in avanti " dall'attuale fase di attesa e di parcheggio nella precarietà, potrebbe non essere facile sfuggire al pericolo di scadere, nell'analigiarsi, a livello di società levantina ». Spese facilissime Ma per « uscire in avanti » la prima cosa da fare è chiedersi se veramente la creazione d'un sistema di pieno impiego riceve da tutte le forze politiche la più alta priorità e se, per conseguenza, viene esercitato ogni sforzo di immaginazione e praticato ogni atto con assoluta coerenza al fine di raggiungere un obiettivo che, a mio giudizio, è essenziale per rendere l'Italia in tutte le sue parti un avanzato Paese europeo. C'è da dubitarne. Siamo lontani, bisogna riconoscerlo, dalla tensione ideale suscitata dai grandi dibattiti meridionalistici di questo dopoguerra, dallo schema Vanoni, dall'avvio della programmazione. Come siamo lontani dall'indagare sulle conseguenze che ci derivano dall'articolarsi di una parte del Paese intorno a tensioni e problemi propri dei Paesi altamente industrializzati e dal permanere di un'altra parte del Paese, parte geografica e parte sociale (Sud, giovani, donne), spesso in condizioni di arretratezza e di precarietà. Siamo lontani, perche l'obiettivo della piena occupazione non riesce nei fatti a condizionare realmente la rigorosa allocazione delle risorse pubbliche e private, mancando troppo spesso la coerenza delle singole scelte politiche. Troppi sono gli strappi di tipo particolaristico, corporativo, settoriale, sugli interventi che in sé e per sé considerati possono anche essere giustificati, ma che non finalizzati ad un obiettivo generale ci allontanano dalla possibilità di raggiungere l'obiettivo stesso. Un problema di scelte, di priorità da assegnare, di finalizzazione nell'impiego delle risorse esiste ed è di urgente soluzione. E' un problema che riguarda i partiti della maggioranza come i partiti dell'opposizione. Non ha senso accusare il governo di praticare una politica della spesa facile, quando poi si cerca di batterlo in Parlamento con provvedimenti di spesa facilissima. Franco Maria Malfatti
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