Primo Tempo

Primo Tempo Il Novecento a Torino Primo Tempo Franco Contorbia: « Primo Tempo » 1922-1923, con un saggio di Gianni Scalia, Ed. Celuc, pag. 426, L. 4500. Si è ripetuto un'infinità di volte che la vicenda letteraria del Novecento italiano passa necessariamente attraverso le riviste, come dai punti più rilevati e sensibili, dai quali sono partiti progetti e proposte di metodo critico e letterario, innovazioni, prese di posizione, idee, polemiche, dichiarazioni di poetica, e anche concezioni e modelli di comportamento etico e politico. La possibilità di verificare ancora una volta tale luogo comune è data ora dalla riproduzione integrale dei sette fascicoli che, fra il 1922 e il 1923, furono pubblicati della rivista Primo Tempo, preceduta da un'ampia e penetrante introduzione di Franco Contorbia, e seguita da un vivissimo, suggestivo, mirabile saggio di Gianni Scalia dedicato alle prime prove critiche di Giacomo Debenedetti (che di Primo Tempo fu l'animatore, il principale collaboratore e, per gli ultimi due fascicoli, anche il direttore). Primo Tempo esce a Torino, proprio nel cuore della mitica Torino del primo dopoguerra, la città della leggenda (e della realtà) di Gramsci e di Gobetti. Ma l'intento della rivista è essenzialmente letterario, così come giovani letterati sono i redattori: Debenedetti, appunto, Gromo, Sacerdote, Solmi, molto dissimili l'uno dall'altro per quel che si riferisce a posizioni di poetica o di metodo, ma uniti (si direbbe) da un programma di resistenza all'ondata restaurativa e tradizionale che segue il periodo « ruggente » dei primi anni del secolo e che si esprime soprattutto nella Ronda, ma anche nell'inalveamento del futurismo nelle convenienze e nelle convenzioni di potere. Molto giustamente Contorbia mette in luce gli aspetti originali della rivista quali si esplicano, nell'ambito critico, con la attività di Debenedetti, dove l'adesione al metodo crociano appare subito spostata nella direzione di una ricerca sensibilissimamente attenta alle origini profonde (psichiche, anzitutto) del testo letterario, come appare esemplarmente dallo studio su Saba, pubblicato sull'ultimo numero della rivista; nell'ambito creativo, con la presenza di Saba, come per una consacrazione alla quale partecipa anche criticamente la rivista, da opporsi ad altre, più appariscenti forme della poesia novecentesca, guardate con un poco rigida diffidenza, e in quella di Montale, come dell'esempio autentico di nuovo discorso poetico, così aspro, franto, irto, « prosastico », antilirico. In questo senso, ha ragione Contorbia nel sottolineare la funzione originale di Primo Tempo, con un'idea così precisa del fatto letterario, nei confronti delle riviste gobettiane (Energie nove e anche il Barelli), soprattutto insistendo sulla sostanziale « ereticità » non soltanto di Debenedetti ma anche di Solmi nei riguardi del modello critico crociano. Il discorso, tuttavia, sembra più vero nella prospettiva dell'attività futura dei redattori che non per la reale fisionomia della rivista, che, nel complesso, dà l'impressione di un'aristocraticità perfin troppo distaccata, tanto da rendere sempre estremamente peprPSRmamttlcpupmfistv prudenti le prese di posizione e i giudizi (anche nei casi di più aperto impegno, come nella recensione di Debenedetti ai Poemi di Thovez o in quelle di Solmi a Giraudoux e al primo Raimondi). E' un dato che colpisce nella misura in cui si pensa sempre alla vita culturale torinese come fondamentalmente impegnata a testimoniare un'idea anzitutto morale e civile del lavoro letterario (fino, ancora, al secondo dopoguerra). Primo Tempo, invece, è l'espressione di una concezione assolutamente privilegiata della letteratura: le manca, quindi, decisamente la forza persuasiva di una scelta ideologica, sia pure da tradursi in termini rigorosamente letterari (e qui il confronto inevitabile con il Bareni risulta davvero delusivo). Ma le indicazioni più preziose che la rivista offre devono essere riconosciute strettamente nell'ambito dell'idea di letteratura che vi viene proposta. Allora, da un lato, bisognerà insistere ancora sui documenti, che essa offre, della straordinaria e precoce epifania dell'ingegno critico di Debenedetti, non soltanto nel saggio su Saba ma altresì negli interventi e nelle recensioni (quella a Thovez, dove è contenuto un accenno a Lucini che resta fra i più acuti giudizi che di lui mai siano stati dati, è davvero esemplare); dall'altro, sulla linea di scelta di poetica che pare perseguire, nella direzione di un discorso letterario non lirico, non idillico, non espositivo, non puristico, se è vero che Sbarbaro vi pubblica alcune fra le sue prose più complesse e ardue in direzione espressionistica, e vi è presente Linati, il Linati, del primo Novecento, erede della grande tradizione irregolare lombarda (Dossi, Lucini, ecc.), e non ancora domato nel più tardo manzonismo descrittivo; e anche le prose creative di Alberti, di Solmi, di Debenedetti sembrano obbedire a una ricerca fortemente espressiva, piena di tensioni c di invenzioni verbali. L'espressionismo del primo Montale (di Riviere, di Accordi, che, tranne uno, non saranno accolti negli Ossi di seppia, de L'agave su lo scoglio), con il verso fortemente segnato nell'irregolarità della durata, degli accenti, delle rime, può ottimamente accordarsi con tale idea di letteratura; e anche la poesia di Saba, per quel che essa ha di estraneo per impegno psicologico e prosaicità verbale, alla legge lirica dello stesso rinnovamento poetico del primo Novecento (da Campana a Ungaretti) . Insomma, nel cuore dei problemi angosciosi, tragici, del primo dopoguerra, accanto alla Torino gramsciana e gobettiana, civile e morale, Primo Tempo appare come il luogo deputato della letteratura, sia pure di una ricerca letteraria inquieta, non usuale, non tradizionale. Il punto è proprio qui: l'interesse che la rivista, oltre a tutte le particolari ragioni esplicative e illuminanti per l'attività futura di Debenedetti, di Solmi, di Montale e degli altri collaboratori, consiste nella testimonianza che essa dà dell'insopprimibilità del momento della letteratura anche nel centro della tempesta, sull'orlo della rovina. E' una presenza necessaria, ma al di fuori della restaurazione, sempre ambigua ed equivoca, dei Valori, quella che suggerisce continuamente la rivista; ma è una presenza parziale, che dà anche il senso di un'incompletezza che finisce a essere, anche, disagio. G. Bàrberi Squarotti

Luoghi citati: Campana, Torino