L'idea di libertà fuori dai miti di Guido Piovene

L'idea di libertà fuori dai miti L'idea di libertà fuori dai miti Non so se proprio noi vedremo il tramonto completo dell'idea liberale di libertà, non solo dalle zone alte della cultura dov'è già ridotta a ben poco, ma anche dalle controversie della propaganda politica. Non parlo della libertà-religione, motore e fine della storia, su cui non si sa più se ridere o piangere, ma di una libertà più spicciola, più empirica e più vicina al sentire comune. Ho un senso di malessere ogni volta che ascolto quella parola: libertà, se chi la dice non specifica esattamente cosa intende e in che limite ci crede. Una discussione politica intellettualmente onesta dovrebbe aver capito, prima di pronunciarla, almeno questo: che l'enfasi è inopportuna. La libertà, quella per cui, anche negli ultimi decenni, certi settori della terra si sono detti liberi e l'Occidente, nel suo insieme, si è detto « il mondo libero » di fronte al mondo socialista, è altrettanto difficile da definire che stringere una sostanza volatile tra le dita. Non è astratta; è un « sentirsi liberi », una scioltezza, sicurezza e disinvoltura nei rapporti con la società, e perciò anche con noi stessi, perché ogni impaccio e ogni pericolo nei rapporti con gli altri si riflette immediatamente nel peggiore dei mali, l'autocensura volontaria e specialmente involontaria. E' l'impressione euforica di poter disporre facilmente di sé, atti e parole, anima e corpo. Questo genere di libertà riguarda, in primo luogo, il pensiero e l'espressione del pensiero, dalle forme più ampie a quelle minime della vita privata. Non tutti ne fruiscono nella stessa misura, molti anzi poco o nulla. In milioni di articoli, concioni, libri, eccetera, questa libertà fu indicata come il motivo di contrasto supremo col mondo socialista e l'argomento che decide la scelta. Il mondo socialista l'accusò di rimbalzo d'essere una libertà di classe, un privilegio fondato sulla sopraffazione che, per vivere, si trascinava dietro turbe di esclusi, continenti di schiavi, mostrando sempre più scoperto un fondo belluino. Per quanto giuste queste analisi, era però impossibile concludere che quella «libertà borghese» non fosse proprio nulla; chi riteneva di goderne, pensava che si potesse sacrificarla in vista d'altri beni, non cambiarle fisionomia. Ad ogni modo, erano i presupposti sui quali « il mondo libero » impostava la sua battaglia. Oggi sono pieni di buchi. E non soltanto per la forza di quelle critiche, ma per corrosione, stanchezza. Molte persone vivono retrodatate, cioè vedono le cose che hanno davanti agli occhi non come sono, ma nei loro ricordi, nelle abitudini mentali, negli attaccamenti, nell'educazione retorica. Molto difficile è vedere il mondo com'è, non proporsi di conservare in vita ciò che è morto da tempo. Alcuni, per esempio, continuano a estasiarsi sulle dolcezze, usanze, tradizioni della vecchia Europa, non rendendosi conto che non ci sono più, oppure sopravvivono come larve, slavate e disamate. Si tratta di vedere se tra le larve non sia anche l'idea di libertà di cui ho parlato. Noi siamo ancora semiliberi, ma ogni giorno un po' meno, e quello che ci resta di libertà dubbia e precaria ci dà poco piacere. La libertà non è distrutta solo dalle leggi tiranniche e dai campi di concentramento. Può morire anche per mancanza di convinzione, disaffezione, inappetenza, perché si trova stretta tra chi l'esecra e chi la trova insipida. I fanatici e i terroristi, anche intellettuali, sono sempre esistiti, ma è fatale il momento in cui la società sembra essere solo per loro l'ambiente naturale come lo è l'acqua per i pesci. * * La libertà si necrotizza dove gli anziani e i giovani vivono separati come razze animali diverse e incompatibili; dove il campo è tutto occupato da forze e istinti elementari e non idealizzati, e la gente, nelle sue paure, sogna un po' la rivolta un po' l'ordine di polizia. Essa si estingue perché proprio i ceti superiori, che ne fruivano di più, la sentono come irreale, una prerogativa di pochi e straordinari momenti della storia, rari come i giorni in cui si può vedere la Corsica dalla Liguria. Questo tempo, che ha elaborato non più il semplice sentimento, ma una scienza della giustizia nella convivenza sociale, manca d'una teoria della libertà convincente e adatta ai suoi bisogni. Un'idea moralistica della libertà (è libero chi agisce dalla parte del bene, il buon cittadino, eccetera) ci è diventata impossibile da tran- pttbclsvmntmqfNdghqhdrdplpdirbcpultterochcmppsp«udgugiare. Gli Stati, le Chiese, i partiti, ci hanno detto ormai I troppe volte che è libero sol-1 tanto chi opera per il bene pub blico, cioè dalla loro parte, per che possiamo ancora crederci; l'idea della libertà come virtù storica e civica è stata troppe volte un sopruso, una truffa, un mezzo per buttarci in cause che non sono nostre, e finalmente toglierci proprio la libertà e magari la vita. L'altra idea della libertà, quella anarchico-libertaria, sta fallendo sotto i nostri occhi. Non è una libertà il dispotismo delle droghe, né il fare per progetto e come conquista, come ha scritto Leonardo Sciascia in questo giornale, ciò che i cani hanno fatto con più semplicità da sempre. Caduto quello liberale, il nostro tempo non ha dunque, nemmeno nella vita pratica, un modello di uomo libero persuasivo. L'obiezione più facile è che parlo della libertà da un punto di vista borghese e descrivo i riflessi d'uno sconvolgimento rivoluzionario nella psicologia borghese. Ma è vero fino a un certo punto. Non si può concepire, per nessuno, la libertà in una società in cui viga la regola della verità unica, del controllo ideologico, del sentimento unanime. L'obbedienza può essere volta a scopi sublimi, ma raramente è un atto di libertà, o lo è soltanto per sofisma. Occorre quella sensazione, di cui ho parlato, di scioltezza, di facilità, di sicurezza esente da timori e sospetti, nei rapporti col prossimo e specialmente nel parlare. Nemmeno il mondo socialista ha, per ora, un'idea propria di libertà da opporre alla « libertà borghese ». Ha invece un'idea delle pecche, magari dei misfatti della libertà borghese, di alcune tra le condizioni che bisogna ottenere, dei gioghi che bisogna rompere perché si possa pensare alla libertà; più che di libertà, si dovrebbe parlare dunque di liberazione; siamo ancora al detto socratico, che il bene è la fine di un male. * * Nei suoi anni ancora buoni Sartre pensava che il nostro tempo, la cui filosofia è, a suo parere, il marxismo, ha scopi urgenti da raggiungere (disfare una società e farne un'altra) di fronte a cui la libertà è fuori quadro; ma, realizzati quegli scopi, ed avendo il marxismo esaurita la sua funzione, primo compito del pensiero sarebbe stato quello di costruire una « filosofia della libertà », cioè basata proprio sul bene al quale aveva rinunciato. Per un filosofo marxista, Althusser, il marxismo è ancora oggi quasi interamente da fare; si potrebbe forse dedurne che anche una « filosofia della libertà », per Althusser, può uscire dalla stessa matrice. Su un'osservazione però tutti sembrano concorda re: oggi come oggi quella di libertà è un'idea omessa, in sofferenza. Lo è anche la libertà borghese, per negazione di realtà, per lo più inconsapevole, in fondo agli animi di quelli che dovrebbero esservi interessati. La polemica su questo tasto col mondo socialista muore, il terreno le va svanendo sotto i piedi. Tra gli argomenti della disputa quello della libertà, a poco a poco, è messo in sordina e sparisce. Forse sparirà per un pezzo, con brevi ritorni febbrili. Il pensiero ha piegato quasi tutto in senso contrario, la scoperta dei determinismi che governano inflessibilmente l'uomo. Il mondo, che ormai ne è convinto, si stima e si difende meno. * * Per quanto poi riguarda la libertà strettamente politica, cresce al suo posto la violenza, l'urgenza di un nuovo patto sociale che permetta di vivere, la necessità di altri beni che non sono la libertà. Davanti ai nostri occhi vediamo crescere le grandi società poco libere, gli universi di cultura unanime e ripetitiva. La libertà si accorda male con un mondo sovrappopolato, dove la divisione tra zone ricche e zone povere è netta e irreparabile ancora per molto, schiacciato da bisogni pubblici che non lasciano spazio alle fantasie dei privati, mobilitato per salvarsi dalla distruzione che gli preparano interessi insociali e ottusi, costretto ad educare e tenere a freno masse e popoli interi che vengono a galla in disordine. Non credo che siamo avviati verso un mondo di libertà. Più probabile che ci aspetti un Medio Evo lungo, amaro, intollerante, ed è meglio prenderne atto. In mancanza di altre idee della libertà, cioè d'altri modelli di un modo possibile d'essere liberi, probabilmente uno tornerà utile, anche se provvisorio, in attesa di meglio: proprio quello che tanti davano per spacciato: la libertà sentita come una disciplina stoica, o se vogliamo epicurea, genere di consumo strano e riservato ai pochi a cui piacerà farne uso. Questa libertà per pochi non sarà né politica né sociale, non danneggerà nessuno perché non cambierà i modi esteriori del vivere, e potrà anche approvare sinceramente, finché rimarrà necessario, il mondo collettivistico che ci attende. Sarà un fatto d'interiorità come l'amore e il sonno, un fatto liricomonastico senza monasteri visibili, di minoranze minime senza congiure, da affidare ai recuperi imprevedibili di un lontano futuro. La fine della civiltà liberale forse ridarà vita a un'idea tutta interiore di libertà in cui riscopriremo la figura di Omero cieco. Guido Piovene

Persone citate: Althusser, Leonardo Sciascia, Sartre

Luoghi citati: Europa, Liguria