"Telebiella" fa da nave scuola per i temerari della tv via cavo

"Telebiella" fa da nave scuola per i temerari della tv via cavo Al congresso da tutte le città d'Italia "Telebiella" fa da nave scuola per i temerari della tv via cavo Molti vogliono installare un sistema di trasmissione analogo - Hanno posto un'infinità di domande ai precursori: quanto costa? Che genere di programmi fare? Che cosa farà lo Stato? (Dal nostro inviato speciale) Biella, 25 marzo. L'han giurato. Sono venuti da Rapallo e da Piombino, da Foggia e da Verona, per proclamare la loro incrollabile fede nella tv via cavo e nel suo «potere liberatorio della società». Come una madre attenta e premurosa verso i figli nati e nascituri Telebiella ha organizzato ieri un convegno per radunare quanti, seguendo il suo esempio, hanno impiantato o stanno per impiantare stazioni televisive di questo genere. In una sala del «faraonico» edificio (appartenente all'Unione Industriale) dove l'ormai lanciatissima Tv biellese sta per inaugurare la sua nuova sede, si sono ritrovati delegati di una ventina' di città, parlamentari e uomini politici della zona (de, psdi, psi, pli, pri, msi), «osservatcri» dagli intuibili interessi speculativi. Imputata di turno, naturalmente, la proposta del senatore socialista Pieraccini, con la quale si vorrebbe inserire anche le trasmissioni via cavo tra quelle (telefoniche, telegrafiche, radioelettriche) proibite ai privati dal codice postale del 1936. Gli «alfieri» ufficiali della giornata sono stati il barone Guido Zerilli Marimò e l'avvocato milanese Alberto Dall'Ora. Zerilli ha fatto la storia della tv via cavo, nata in epoca recente tra i monti della Pennsylvania che impedivano una limpida ricezione dei programmi via antenna. Poi ha sciorinato dati su dati: in America le stazioni sono già quasi tremila; un migliaio appartengono a grandi compagnie televisive, 180 a giornali, 217 a produttori cinematografici, 75 a editori, 97 a teatri; la più grande (quella di San Diego in California) ha più di 100 mila abbonati, ma ne esistono anche con 50 abbonati. Voce di tutti Ora anche in Europa qualcosa comincia a muoversi: «Era l'ora — ha proclamato Zerilli — perché la tv via cavo dà una voce ai cittadini». Ed ha spiegato che in alcuni Stati americani esiste il sistema del «cavo di ritorno»; prenotandosi con quindici giorni d'anticipo, chiunque può trasmettere il program ma che vuole. «E poi, i cavi coassiali possono portare contemporaneamente 40-50 programmi, presto si arrive rà a 80-100: ogni categoria di persone potrà avere il suo». Ma nei paesi — come l'Italia e la Francia — in cui vige il monopolio delle trasmissioni televisive, la tv via cavo è un'ospite assai scomoda. Però, secondo l'avvocato Dall'Ora, ha un suo diritto d'esistenza, che deriva dalla Costituzione e che non trova un limite preciso nel codice postale, così come fu formulato nel 1936. L'assoluzione con formula piena dell'avvocato Dall'Ora ha permesso di tirare un sospiro di sollievo ai congressisti, oppressi dall'incubo di trovare nelle proprie città un pretore meno benigno di quello che ha recentemente assolto Telebiella. Ci hanno pensato poi Peppo Sacchi e compagni a rassicurarli ancora di più, prodighi di consigli e avvertimenti: quanto può costare farsi un impianto («Da due a cento milioni, ve lo dico io»), quali sono le difficoltà tecniche e giuridiche che si incontrano, come bisogna comportarsi per convincere un privato cittadino a collegare il suo apparecchio tv al cavo dell'emittente. Come una crociata Ormai pieni di entusiasmo, con il mal represso orgoglio di sentirsi partecipi di una santa crociata, i delegati delle città sono allora sfilati sul podio per dire la loro. Così, sì è saputo che a Udine la tv via cavo sta per entrare in funzione («Siamo in sei, abbiamo messo un milione ciascuno, e poi tanti debiti»,), che a Rimini e ad Ancona è già una realtà e a Pescara sta per diventarlo, che a Treviso sono tentati ma hanno una gran paura («Coi ce lo dice che tra poco non modifichino il codice per incastrarci?»,/. «E io allora? Sono in un bel ginepraio — protestava col suo colorito toscano Ivo Bellentani di Piombino — ho già le macchine pronte, un collaboratore coi fiocchi, ma mi manca la registrazione presso il Tribunale. Che devo fare?». «Non ti preoccupare, non vi preoccupate — calmava gli animi Peppo Sacchi — vi manderemo un depliant in cui vi diremo come comportarvi a questo proposito. Abbiate solo un po' di pazienza». «No, troviamoci una sera per parlare in famiglia, magari dietro a una tavola» ha suggerito il delegato Vallegiani di Pavia. Ma la proposta è caduta nel vuoto e gli oratori seguenti hanno preferito limitarsi ad augurare, augurarsi, raccomandare, deprecare, auspicare. Gloria dunque alla tv via cavo. Però, però ad un certo punto a qualcuno è venuto in mente: «Ma noi che parliamo tanto di libertà di espressione del pensiero, di libero accesso all'informazione e cose del genere, abbiamo poi qualcosa da esprimere, qualcosa da comunicare? Perché certamente non bastano le notizie spicciole locali...». «Come no — ha protestato il delegato Bidoli di Treviso — la nostra tv deve essere locale e provinciale, sì, provinciale nello spirito». Altri hanno provveduto a fare esempi: il matrimonio dell'ala destra della squadra cittadina, l'inaugurazione del nuovo centro di raccolta del latte: «Insomma, cose che non si possono vedere alla tv ufficiale». Ma il dubbio dei contenuti ha lasciato un po' la bocca amara a tutti. Finché, nel pomeriggio, non è arrivato, angelo benefattore, addirittura Renato Tagliani. Sì, l'uomo di "Campanile sera", l'eroe televisivo degli Anni Cinquanta con Bongiorno, Tortora, Enza Sampò. «Niente paura, ci sono qua io» ha detto ai disorientati congressisti. Ed ha spiegato che lui, da qualche anno, con la società «Canale Tre» confeziona proprio i programmi. Gira l'Italia su un pulmino attrezzatissimo, munito dì tre o quattro telecamere, e videoregistra «quello che volete». Tre anni fa organizzò una trasmissione di cinque ore per sette giorni in occasione del Festival di. Sanremo («La. gente la vedeva da ventisei televisori piazzati fuori del casinò»;, due anni fa fece la campagna elettorale per la De alle elezioni amministrative; ora eccolo qua, pronto a mettersi a disposizione («pagando quel che è giusto»; delle televisioni via cavo che desiderino superare /.'impasse del provincialismo. «Ma allora — ha provato a dire un delegato — allora si ritorna ai programmi di chi ha i soldi, e dove va a finire la libertà, la spontaneità dei singoli?». Ormai però era tardi, e forse la stanchezza, nell'esaminare questo dilemma, avrebbe potuto giocare dei brutti scherzi, facendo ripiombare i «carbonari» nella più cupa disperazione televisiva. Carlo Sartori Ivana Romelia, la presentatrice della tv biellese