La potenza sovietica vent'anni dopò Stalin di Alberto Ronchey

La potenza sovietica vent'anni dopò Stalin La potenza sovietica vent'anni dopò Stalin A vent'anni dalla morte di Stalin — 5 marzo 1953 — che cos'è l'Urss come società e civiltà, economia e potere? Nel più vasto impero politico di tutti i tempi, dove lo stesso pseudonimo Stalin discese dalla voce stai', acciaio, aumenta ogni giorno una gigantesca potenzialità. Ma ristagnano le idee volte a sviluppare una civiltà economica e sociale articolata. Al XX Congresso del Pcus, Chruscev aveva contestato con il retrospettivo « rapporto segreto » la dittatura d'un uomo, ma convalidato la dittatura oligarchica del partito; al XXII Congresso, nel '61, s'erano avute almeno voci d'un tentativo per cancellare quell' emendamento dello statuto di partito, approvato come «provvisorio» dopo la rivolta di Kronstadt, che vietava le « frazioni » o tendenze organizzate in disputa tra loro. Ma il più recente congresso del Pcus è stato ancora descritto dalle cronache della Pravda e delle Izvestija con rigidità staliniana (anche se la sostanza non è tale, perché stalinismo significa otto milioni almeno di persone in campo di concentramento). Ogni discorso di Breznev viene pubblicato ripetendo per ogni frase la formula rituale: «Tempestosi e prolungati applausi, tutti si levano in piedi». Per gli altri viene usata la semplice notazione: «Applausi». La lunga disputa sulla « riforma economica » s'è arrestata sul limite del precipizio. In fatti, razionalizzare il sistema sovietico avrebbe significato istituire un sistema di prezzi non politici, un principio di mercato competitivo; e questo comportava l'autonomia delle gestioni aziendali. Le autonomie d'impresa avrebbero generato un ceto tecnico non del tutto vincolato ai dogmi e alle strutture di partito, con una sua logica, con certe incognite per la società sovietica; oppure un ceto « manageriale » condizionato da un principio d'autogestione al modo jugoslavo. Ma l'autogestione « di base », a sua volta, comportava il rischio che nella ripartizione del profitto aziendale tra imposte, j investimenti e pressioni salariali, il partito avrebbe perso I l'assoluto controllo del potere economico; e sarebbe esplosa una « domanda globale » inflazionistica rispetto al prodotto, perché la tecnica non avrebbe potuto rinunciare agli alti investimenti (tutta 1' esperienza sovietica è una storia d'alti tassi d'investimento) mentre l'incontrollabile pressione dei salari avrebbe suscitato una crisi generale. Nella Jugoslavia, società economica minore e marginale, si potevano tentare simili esperimenti; in Cecoslovacchia Ota Sik poteva studiare l'adozione d'una convertibilità della corona. Ma in un mondo immenso com'è l'Unione Sovietica (ventidue milioni di chilometri quadrati) tutto questo era inconcepibile. Tra il 1965 e il '68, il gruppo dirigente sovietico arretrò dinanzi al rischio; il.fatto coincise anche con la prima svalutazione del dinaro in Jugoslavia. Nello stesso tempo la politica di potere mondiale impegnava e preoccupava i sovietici, perché in conseguenza dello scisma cinese il potere temeva per la sua stessa stabilità fuori e dentro l'Urss (quando esistono e si ammettono due 0 tre verità, la loro proliferazione è inarrestabile e non rimane solo di là dalle frontiere). I dirigenti sovietici negavano che si potesse ragionare sul rublo come sulla -corona cecoslovacca; allo stesso modo asserivano che non si poteva tollerare nell'Urss una discussione simile a quella della « primavera di Praga », poiché avrebbe avuto imprevedibili effetti nell'immenso mondo compreso tra Minsk e Samarcanda, Novosibirsk e Krasnojarsk. Tollerare all'esterno (e inevitabilmente poi anche all'interno) 1 dissensi o fermenti di tipo maoista cinese o cecoslovacco avrebbe significato tornare a quel periodo che lo storico Léonard Schapiro ha illustrato in The origin of the comtntttiist autocracy, allo stadio della prima contestazione semianarchica e dello « spontaneismo », prima che venisse instaurata la vera autorità dispotica del potere dal leninismo allo stalinismo. •Ar * Ma se l'Urss non è una società politica o economica articolata, immensa " ~ua potenzialità d'urto. jfficiente citare alcuni d . il boom elettrico, con le nuove centrali da Bratsk a Krasnojarsk; il boom petrolifero del bacino Volga-Ural, di gran lunga maggiore a paragone con le tradizionali risorse del bacino di Baku; l'ulteriore boom del petrolio siberiano a Nord di Tjumen' e nel Kazachstan (una sola piccola penisola sul Caspio ha più riserve petrolifere cdlKgpdlstdvnsznsdmtlmupctcnAcnv che gli Stati Uniti); il boom della metallurgia convenzionale — carbone e ferro — del Kuzneck, circa venti volte maggiore del Donez; il boom del petrolio e del gas naturale e dei minerali non ferrosi nell'Asia Centrale (il solo Kazachstan è ricco su larga scala di tutti gli elementi del sistema di Mendeleev). L'Unione Sovietica dirige verso l'Europa enormi pipelines; e ne seguiranno altre, al servizio d'una politica d'utilizzazione delle risorse con fini non solo economici, senza versare royalties e con un costo dei trasporti in pipelines che è molto inferiore a quello dei traffici marittimi. Insomma l'Urss è il massimo serbatoio mondiale di materie prime, con una potenzialità d'accumulazione che consente anche lo sperpero e pesa sul mondo politico. * * La scelta non è d'espandere al massimo e rapidamente i consumi, tentando una « società del benessere »; anche perché non appare utile in termini di potenza e ragion di Stato. Accelerare la diffusione dei consumi nei tempi brevi, ammesso che la gestione sovietica ne fosse capace, porrebbe nuovi problemi a catena: e si conosce bene che cosa è accaduto nell'Europa Occidentale o negli Stati Uniti dopo l'estre- del di mo boom massa. La scelta è per una gestione conservatrice del potere, non stalinista e neppure « liberalizzatrice », per sorvegliare e gestire con il peso d'una ferrea politica (e concessioni economiche graduali) un immenso impero ereditato dagli Zar: l'ultimo impero sopravvissuto nel mondo moderno oltre a quello portoghese. Tale impero fu conservato prima in virtù della contiguità territoriale tra le Russie e l'Asia Centrale, la Siberia e l'Estremo Est, quindi in virtù della dottrina sovietica volta ad assumere una fede ideologica quale missionaria giustificazione dell'espansionismo (una funzione giudicata simile a quella dell'Impero romano per il Cristianesimo). Ma la dottrina « imperial-socialista » ha cominciato a perder forza persuasiva quando non è stata più riconosciuta al potere sovietico la missione di «veicolo del comunismo», perché nasceva la contestazione asiatista della Cina. Anche tali circostanze spiegano la scelta d'una gestione del potere non rivolta a procedere verso un elevato benessere di massa, bensì ad accumulare altro potere. E l'accumulazione di potere è avvenuta anzitutto in termini militari, quindi nei set- tori economici che offrono al potere forti mezzi di pressione sulla società, infine sul terreno del puro prestigio. Dunque s'è avuto il boom missilistico-nucleare sovietico, quello della marina, l'inserimento crescente dell' Unione Sovietica nel Medio Oriente e nell' intero Mediterraneo: in quest'area è ovvio supporre che i Russi non vogliono la guerra, ma neppure tendono alla pace, con lo scopo di perpetuare una crisi in Cui la diplomazia sovietica possa far leva sulle contraddizioni araboisraeliane. Nello stesso tempo s'è intensificata la pressione sulla Mitteleuropa e sui Balcani (Cecoslovacchia, Romania, Jugoslavia in vista del dopo-Tito). E poi, fra le altre prospettive, mentre la politica dell'Ùrss assolve anche il compito di scaricare all'esterno e su nuovi miti di potere le contraddizioni interne della società sovietica, l'attenzione è volta sempre più all'intero Nord Africa, a Cipro, alla Grecia, a Malta, all'Italia. Alberto Ronchey Stalin, visto da Levine (Copyright N. Y. Rcvicw of Gooks, Opera Mundi c per l'Italia La Stampa)

Persone citate: Breznev, Levine, Mendeleev, Schapiro, Stalin