Le condanne pesanti servono?

Le condanne pesanti servono? INCHIESTA SULLA CRIMINALITÀ DILAGANTE Le condanne pesanti servono? Il presidente del tribunale Aragona: "Mai la pena di morte fece diminuire i crimini, e le condanne previste dal nostro codice sono già tra le più elevate del mondo" - Confronto statistico tra il 1929-30 e il 1969-70 - Perché il sistema di difesa dalla delinquenza non ha l'efficacia che dovrebbe avere La notizia è apparsa, giorni fa, su un quotidiano. A Birmingham un ragazzo di 16 anni e stato condannato a 20 anni di carcere e due suoi complici quindicenni a 10 anni. Essi circondarono, per divertimento, un muratore irlandese di 35 anni, lo aggredirono selvaggiamente a colpi di mattone, lo abbandonarono dopo averlo pestato e preso a calci con scarponi chiodati. DI fronte a un episodio tanto grave e a una spietata e gratuita criminalità, il magistrato ha ritenuto di dover emanare una sentenza, come si suol dire, esemplare. In Italia non siamo lontani, purtroppo, da simili episodi. Ma, al di là della efferatezza del crimine, ci interessa, in questa sede, 1'«esemplarità» della condanna. A questo proposito abbiamo domandato al dottor Filoreto Aragona, presidente della quarta sezione del tribunale di Torino, se, come magistrato, è d'accordo con la sentenza inglese e di parlarci della pena come terapia di rieducazione. Crimini orrìbili «Conosco il caso solo superficialmente — risponde il giudice — e, in tali condizioni, per me come per chiunque altro, credo che ogni rtsposta di consenso o di dissenso sia azzardata. Posso dire però due cose, delle quali sono profondamente convinto in linea di principio. Prima: sono contrario alle cosiddette "condanne esemplari", se con tale espressione ci si riferisce alle condanne dure (com'è indubbio quella di Birmingham), in quanto si dà etichetta di giustizia, che è sinonimo di equilibrio, a ciò che è in gran parte vendetta contro un pur orribile crimine. Per me la condanna esemplare è soltanto quella giusta. Seconda: sono contrarto alle pene molto elevate, perché è storicamente dimostrato che la minaccia (e la irrogazione) di pene molto gravi non ha mai prodotto come effetto la diminuzione della delinquenza». Che cosa deve intendersi per condanna giusta? «Si sente dire oggi da molti che U solo rimedio contro il dilagare della criminalità sarebbe quello dell'aumento delle pene e perfino della reintroduzione della pena di morte. Con tutto il rispetto per tali persone, non posso che contestare nettamente il loro punto di vista, frutto, a mio parere, più di una comprensibile spinta emozionale che di una valutazione obiettiva dei dati forniti dalla 'realtà. Da un lato forse non si sa che le pene previste dal nostro codice sono già molto elevate (tra le più elevate del mondo!); dall'altro, basta prendere atto del dato stori'co che mal la pena di'morte ebbe come effetto quello della diminuzione dei crimini per l quali era prevista. «Per l'esperienza storica fin qui acquisita, possiamo con certezza affermare che tra le vicende della criminalità (aumento o diminuzione) 'e il tipo e misura delle pene previste dalla legislazione, non esiste alcun nesso, nel senso che talvolta la delinquenza diminuisce malgrado la mitezza e tal'altra aumenta malgrado la gravità delle sanzioni. Valgano due esempi. E' nota la severità con cui è punito dal nostro codice il furto pluriaggravato (minimo 3 anni, massimo 10 anni di reclusione, oltre eventuali recidive). Eppure il numero dei furti in Italia, e a Torino, è andato sempre aumentando in valori assoluti, ossia fatte le debite proporzioni con l'aumento della popolazione. Nel 1930 (186 mila 89 furti); nel '60 (304 mila 891); nel '70 (516 mila 271). Viceversa, malgrado l'abolizione della pena di morte, sancita con un decreto del 1944 e malgrado le pene detentive per tali reati siano rimaste immutate, st constata che gli omicidi volontari e le lesioni volontarie gravi sono diminuiti. Net 1930 (1989 omicidi, 85.114 lesioni volontarie); nel '60 (1458; 67.524); nel '70 (1178; 31.884). Anche per il Piemonte i dati della realtà sono eloquenti: nel 1929 ci furono 84 omicidi volontari, mentre nel '69 ve ne furono 29». Tutto sommato, bisogna concludere che è Inutile mandare in galera 1 delinquenti? «Intendo dire — spiega il dottor Aragona — che il nostro sistema di difesa contro la criminalità non ha quell'efficacia che dovrebbe avere, anche sul terreno della prevenzione, perché esso è tuttora fszsfpczsvbtgmipazdddmscprldqs fatto di principi vecchi e sorpassati. Intanto abbiamo una legislazione che ha oltre 40 anni, ed è stata fatta, per di più, dal regime fascista, col quale la nostra Repubblica si pone, in linea dì principio e nella sua più intima essenza, non come il sistema politico succedutogli per caso, ma come vera antitesi. Purtroppo questo basilare principio non si è tradotto compiutamente in pratica e oggi nella legislazione penale abbiamo pressoché lo stesso diritto che il fascismo aveva creato per sé e per i propri scopi. Soltanto grazie all'intervento della Corte Costituzionale, sollecitato costantemente dai giudici, sono stati eliminati dalla legislazione l marchi più evidenti del passato regime; ma è rimasta la struttura del vecchio sistema la quale, da un lato, è ancora in gran parte ispirata ai principi fascisti (vedasi tutti t reati cosiddetti di opinione), dall'altro è Invecchiata e non risponde più ad uno stato moderno, di qualunque ispirazione politica». Si parla tanto di riforme; quale, secondo lei, la più urgente? «Sarebbe finalmente ora di mutare radicalmente il sistema delle sanzioni contro il reato, che oggi e fondato sul binomio pena-misura di sicurezza (introdotto trionfalisticamente dal codice Rocco come "mirabile" sintesi delle due concezioni che si contendevano allora il campo della scienza penalistica: la dottrina classica e la dottrina positiva). St tratta però di un sistema illogico, che si è risolto In un totale fallimento. St pensi che le misure di sicurezza detentiva (casa di cura e di custodia, case di lavoro e colonie agri¬ cole, manicomi giudiziari) sono dirette istituzionalmente a fronteggiare la "pericolosità sociale" del condannato. Ma la misura di sicurezza non st sostituisce — come logica vorrebbe — alla pena, ma ad essa si sovrappone, nel senso che il condannato deve prima scontare la pena e poi viene sottoposto alla misura di sicurezza, fino a quando non sia venuta meno la sua pericolosità sociale, cioè si sia "emendato" (per cui essa, a differenza della pena che ha un termine ben stabilito, in teoria potrebbe avere la durata dt tutta la vita del soggetto). Riforma penale «Invano dal 1948 la Costituzione proclama che le pene devono tendere alla rieducazione, del condannato, il che significa che va studiato e realizzato un nuovo tipo di pena, che sta in grado di ottenere quello scopo fondamentale. Non basta punire, occorre recuperare, risanare; e questo non solo e non tanto per il bene individuale di colui che è stato condannato, quanto per il bene stesso della società, la quale è formata da individui. Il disinteresse della società per ciò che sarà del condannalo dopo l'espiazione è puro autolesionismo». In che cosa consiste questo concetto nuovo di pena rieducativa? «Dovrebbe avere, come pena, solo il carattere afflittivo della privazione della libertà, mentre il trattamento rieducativo dovrebbe favorire le esplicazioni migliori della personalità dell'imputato, essenziali al processo di maturazione in lui di quel germe di inse¬ rimento sociale che sta in fondo ad ogni uomo. Ma il nostro legislatore non solo non ha provveduto ancora all'ormai indilazionabile riforma penale, ma si è perfino apprestato a fare una riforma carceraria, che ricalca pressoché gli stessi schemi e gli stessi principi di prima e che, a mio avviso (e ad avviso dt molti) presenta il difetto capitale di aver preceduto nel tempo la riforma penale. Praticamente, è come se un muratore cominciasse a costruire una casa dal tetto, trascurando le fondamenta. Infatti non si scorge su quali basi possa congegnarsi il nuovo "trattamento" carcerarlo, se prima non st determina con chiarezza quale tipo di sanzione prevedere contro i reati. «Un altro aspetto della inadeguatezza dell'attuale sistema dt difesa contro la delinquenza, è quello dell'efficienza organizzativa, ossia dei mezzi di cut dovrebbe disporre la magistratura, perché si possa realizzare un ritmo soddisfacente di processi penali in tempi convenientemente brevi. Non va dimenticato che uno del requisiti di una giustizia efficace è la tempestività della sentenza. Tante volte accade dt condannare un individuo a distanza di molti anni dal fatto con la triplice dannosa conseguenza di non avere dato per tempo la giusta punizione a colui che la meritava, di aver negato giustìzia sollecita alla parte offesa, di punire un soggetto che psicologicamente non è più quello che aveva meritato la sanzione. Il ritardo della giustizia deve essere un fatto ecqezlonale, «Il concetto di condanna giusta consta — conclude Aragona — di varie componenti, che vanno dall'Irrogazione di una pena non eccessivamente severa ma "infallibile", come scrive il Beccarla, alla tempestività della sentenza di condanna e della sua esecuzione, alla certezza che il condannato sarà sottoposto ad un trattamento carcerario rieducativo, non in senso paternalistico di "piegamento" dell'individuo alle regole sociali, ma di arricchimento della sua personalità, attraverso lutto ciò di cui egli fu eventualmente privo nella libera convivenza: lavoro, cultura, contatto umano, coscienza del propri diritti e doveri. Si tratta di un concetto astratto dì come mi piacerebbe fosse la giustizia penale, e non dispero che un giorno possa tradursi in realtà». Sergio Ronchetti

Persone citate: Aragona, Filoreto Aragona, Sergio Ronchetti

Luoghi citati: Birmingham, Italia, Piemonte, Torino