"Compleanno,, di Pinter a Milano

"Compleanno,, di Pinter a Milano In scena un ambiguo colloquio con gli inquisitori "Compleanno,, di Pinter a Milano Due personaggi misteriosi vogliono sequestrare il protagonista - Il regista Binazzi non ha voluto forzare il simbolismo del testo - L'allestimento della "Informativa '65" (Dal nostro inviato speciale) Milano, 26 aprile. Si riparla, da noi, di Harold Pinter. Mentre a Roma sta per andare in scena, con la regìa di Visconti, la sua ultima commedia, Altri tempi. Massimo Binazzi e la compagnia «Informativa 65» presentano al Teatro Uomo una delle prime, Il compleanno, che è del 1958. Come per altri, e il caso di Bond lo conferma, l'approccio con uno dei maggiori commediografi contemporanei avviene a casaccio, con non poco sconcerto per lo spettatore che, piovendogli ogni tanto addosso un testo, antico o recente, del nuovo teatro inglese, rischia di confondere Pinter con uno degli «angry men» che hanno per capostipite Osborne e con i quali Pinter ha poco da spartire, come ha poco da spartire col teatro dell'assurdo nel quale, sulle prime, è stato frettolosamente catalogato. Pinter, che al tempo dei furori di Jimmy Porter aveva sedici anni e cominciava allora a studiare recitazione (è entrato in arte come attore), sembra infatti non conoscere né la rabbia né l'impegno (Wesker, suo coetaneo, per fare un altro nome), e se li ha se li tiene in corpo, salvo talvolta a dar fuori di matto con scatti di una violenza repentina e furibonda come un turbine di vento gelido. Quando recitava in provincia con il nome di David Baron, capitò un giorno in una pensione di Eastbourne dove, come scrisse a un amico, «una donna orribile, con i seni cadenti e una parlantina ridicola e infantile, gli diede in affitto una stanza sporca e disordinata». Riconosciamo subito l'odiosamente patetica Meg del Compleanno che soffoca con un affetto incestuosamente materno l'unico ospite, più giovane di lei, della sua pensioncina di una città balneare. Anche qui» come in altri suoi testi, Pinter parte da un'immagine concreta che l'ha ossessionato a lungo, ma è soltanto un'immagine, non ancora una storia. Possiamo credere all'autore quando so¬ stiene che, incominciando una commedia, ignora tutto o quasi dei suoi personaggi, e alla fine non ne saprà molto di più. Figuriamoci lo spettatore che ha sempre l'impressione di essere capitato in una stanza dove avviene qualcosa di cui non conosce l'origine o di essere entrato in una conversazione, o in una disputa, senza sapere nulla dell'oggetto di essa. E neppure di chi discute o litiga. Chi sono ad esempio questo Goldberg e questo McCann, l'uno vacuo e ciarliero come un fantasma del più puro Beckett, l'altro ottuso e fanatico, forse uno spretato, come un rivoluzionario irlandese di O'Casey? Due sicari, due inquisitori, due infermieri, o che altro ancora? Non lo sappiamo, sappiamo soltanto, anzi vediamo che sono venuti per portarsi via Stanley, il protagonista, in nome di una misteriosa «organizzazione» che potrebbe essere, indifferentemente, il mondo di fuori con i suoi poteri costituiti quanto la nostra coscienza con i suoi dubbi e i suoi rimorsi. In ogni caso rappresentano una minaccia. E teatro di minaccia è infatti una delle etichette applicate a Pinter. Ma, oltre che logora, è una formula inadeguata. Meglio, se mai, parlare di teatro dell'ambiguità, o dell'incertezza, o del sospetto, sottolineando la molteplicità dei significati che anche a questo Compleanno si possono dare, ammesso che sia necessario darli. Per conto nostro converrebbe soffermarsi piuttosto sul linguaggio di Pinter, ingannevolmente realistico nutrito com'è dei luoghi comuni e delle assurdità della chiacchiera quotidiana, e osservare che esso non serve a comunicare ma, al contrario, a evitare di farlo come una corazza contro i pericoli esterni e un espediente per «non» entrare nella vita degli altri. Inutile allora attribuire simboli, o addirittura una ideologia o una morale a questi drammi: se hanno un significato, questo è il dramma stesso. Perciò ha fatto bene il regista Binazzi a scansare ogni simbologia e ad attenersi scrupolosamente al testo con uno spettacolo davvero «pinteresque» per riprendere un aggettivo entrato nella lingua inglese a indicare qualcosa di sfuggente e di equivoco. Al più, gli si potrebbe rimproverare qualche momento troppo estatico o, all'opposto, qualche empito troppo naturalistico, ma non la nettezza, che non esclude l'ambiguità, della cornice (la scena è di Hermes Lasagni) né la rigorosa impostazione degli interpreti. Alle sue intenzioni, i sei attori dell'«Informativa 65» corrispondono con intelligente sottomissione. In particolare Alessandro Quasimodo è uno Stanley epilettoide — il «male sacro» è una delle ossessioni del Binazzi — assai persuasivo nel trascorrere dal vaniloquio più sfrenato all'afasia più straziante, e ancora più convincente è il sinuoso Goldberg di Riccardo Mantani, mentre Livia Eusebio è una Meg d'impressionante sordità e fissità di spirito. Completano la distribuzione, e dividono con i compagni e il regista i calorosi consensi del pubblico, Marino Nistri, Mariella Fenoglio e Attilio Ganguzzi. Alberto Blandi

Luoghi citati: Milano, Roma