"Papito" non fa miracoli di Francesco Rosso

"Papito" non fa miracoli L'ARGENTINA DOPO LA VITTORIA DI PERON "Papito" non fa miracoli Presto i generali dovrebbero cedere il potere al presidente eletto Càmpora, ma il Paese continua a essere sconvolto dalla violenza - Si teme che Perón, dopo averli blanditi, finisca prigioniero dei gruppuscoli, che non risparmiano neppure la vecchia guardia giustizialista - Ma il suo gioco è ambiguo: potrebbe anche, con un voltafaccia, chiedere una velata tutela dell'esercito (Dal nostro inviato speciale) Buenos Aires, aprile. Perón ha vìnto le elezioni, elabora progetti ambiziosi di polìtica estera a vasto raggio, ma intanto l'Argentina continua ad essere sommersa da un'ondata di anarchica violenza sanguinaria. E' paragonabile solo a quella che la terrorizzò l'anno scorso di questi giorni, quando il 10 aprile, quasi contemporaneamente, furono uccisi dai guerriglieri dell'Erp il gen. Juan Carlos Sanchez a Rosario e Oberdan Sallustro a Buenos Aires. In pochi giorni ci sorto stati l'uccisione del col. Hector Iribarren del servizio antiguerriglia dì Cordova, seil sequestri di persona fra cui l'ammiraglio Francisco Augustin Aleman, il direttore della Kodak argentina, il dirigente della Ford argentina, il direttore di banca Gerardo Scalmazzi e di altre tre persone di cui si sa poco. Contemporaneamente una bomba ha ucciso a Rosario la madre di un deputato pcronista ed a Buenos Aires un potente ordigno alla dinamite, oltre a demolire alcuni laccali del Comando Marina, ha dilaniato il giovane marinaio Julio Cesar Provenzano, aderente all'Erp. Le due violenze La vittoria peronista si direbbe non abbia portato quella distensione degli animi che tutti prevedevano, e non è détto che la porterà in avvenire. Se la situazione rimane così drammatica, bisogna ricercare le cause nell'ambiguo atteggiamento tenuto da Perón nei giorni in cui l'Argentina pareva sull'orlo della guerra civile per la sanguinaria violenza dei guerriglieri dell'Erp. Allora Perón fu pubblicamente invitato a condannare quei metodi che tutte le forze politiche, comunisti compresi, consideravano tragicamente inutili. Perón non si pronunciò mai apertamente: parlò della violenza dall'alto, quella dei generali, che provocava la violenza dal basso. Per eliminare quest'ultima, diceva, bisogna scacciare i generali dal potere. E' un concetto che ha ripetuto ancora recentemente; in realtà, allora la violenza faceva il gioco del vecchio Caudillo il quale poteva disporre dì una forza cospicua, la minaccia della guerra civile, per piegare i generali ai suoi desideri. Infatti, ottenne quanto desiderava. E' risorto dalle proprie, ceneri, ha trionfato, è tornato ad essere per gli argentini San Perón, il taumaturgo, e i generali cederanno il potere a Càmpora; ma intanto la violenza continua spietata, e non. è detto che Perón sarà in grado di debellarla in futuro. Anzi, molti prevedono che egli finirà per diventarne prigioniero e subire le imposizioni che gli detteranno questi giovanotti di buona famìglia, tutti benestanti, che continuano a rubare armi, a piazzare bombe al plastico, a sequestrare personalità più in vista possibile e ottenere grossi riscatti per finanziare l'attività della guerriglia urbana, oppure servirsene per vendicare le ingiustizie subite durante gli interrogatori della polizia militare. Il colonnello Iribarren, ad esempio, è stato ucciso per la sua attività di agente segreto antiguerriglia; l'ammiraglio Aleman è stato rapito da commandos dell'Erp, tra cui milita quel suo cugino che lo ha fatto catturare, per vendicare la strage di Trelew: allora furono uccisi sedici guerriglieri evasi dalla base navale Ammiraglio Zar mentre altri loro compagni, più fortunati, riuscivano a impossessarsi di un aereo per fuggire in Cile, da dove proseguirono poi per Cuba. La bomba esplosa nel Comando Marina era stata portata dal giovane marinaio Provenzano, ragazzo di famiglia facoltosa, che apparteneva all'Erp; gli è esplosa tra le mani, ha dichiarato il comando dell'Erp rivendicando la responsabilità dell'attentato. Questo inafferrabile Esercito Rivoluzionario Popolare, che ha tribunali e carceri del popolo proprie, benché un po' scompaginato, sarà una grossa spina nel fianco di Cdrrupora e di Perón. L'Erp è sorto come unità di guerriglia urbana poco dopo la morte di Che Guevara nella selva boliviana. I primi affiliati andarono ad esercitarsi nel vicino Uruguay tra le schiere già aitive dei Tupamaros, nome derivato dall'indio Tupac Amara che sul finire del secolo scorso si ribellò agli spagnoli e li tenne in scacco per molti anni conducendo una spietata guerriglia sugli altopiani andini; ma non commisero l'errore dei loro addestratori di scegliersi un capo. Per i Tupamaros uruguaiani il capo era Raul Sendic: la polizia gli diede la caccia per anni finché riuscì ad arrestarlo, e decapitò così il movimento. Gli erpisti argentini, invece, si sono organizzati in piccole cellule che si ignorano l'una con l'altra, ed agiscono autonomamente. Se la polizia arriva su una cellula, tortura gli arrestati, e lo ha fatto fin quasi a ieri con metodi spietati, non arriva a scoprire gran che; i torturati possono svelare i nomi dei loro pochi compagni di cellula, non gli altri, che non conoscono. L'Erp divisa L'Erp è l'organizzazione clandestina più agguerrita e temibile. Sequestrò ed uccise Oberdan Sallustro nel modo che si sa; ha fulminato per le vie di Cordova il colonnello Iribarren; aggredì ed uccise a sventagliate di mitra, come in un film di « Cosa nostra », in pieno centro di Rosario, il generale Juan Carlos Sanchez, considerato il più duro dei « gorilla ». Tanto gli assassini di Sallustro quanto quelli del generale Sanchez, benché identificati, sono sfuggiti alla polizia. Pare siano riusciti a espatriare in Cile, e poi a raggiungere Cuba. Però anche la saldezza dell'Erp si è incrinata, senza tuttavia limitarne l'attività e l'efficienza nei giorni precedenti le elezioni. Allora, l'organizzazione si è spaccata in due correnti divenute ostili l'una all'altra con la feroce durezza propria degli ex amici. Il nucleo più consistente, rimasto rigidamente trockista, ha sempre dichiarato di non riconoscere l'autorità di Perón, di mirare soltanto alla rivoluzione popolare violenta. L'altro gruppo, pur richiamandosi anch'esso a Trockij, si rivela più possibilista, con lo scopo dichiarato di accettare il peronismo ed il governo di Càmpora come strategia rivoluzionaria solo per ^esercitare su di esso pressióni sempre Più forti e sospingerlo su posizioni castriste. In sostanza, sosterrebbe il governo peronista il tempo necessario per rafforzarsi fra le masse e scatenare la rivoluzione. Una nebulosa Perón non ignora il gioco; ma forse conta, o spera soltanto, di neutralizzare l'Erp con le altre organizzazioni che, almeno a parole, gli sono fedeli. Tali organizzazioni sono davvero una nebulosa di gruppuscoli, tutti armatissimi, pronti ad operazioni che possono concludersi con uccisioni, furti, rapine nelle banche, sequestri di persona. Il più noto, se non il più forte, è quello dei Montoneros; si vantano di aver catturato l'ex presidente generale Fedro Eugenio Aramburu, il rigido nemico di Perón, il 30 maggio del 1970; l'ex presidente fu trovato cinquanta giorni dopo la cattura con una revolverata nella testa, sepolto nella calce viva. Pochi giorni dopo, ancora i Montoneros sequestrarono ed uccisero José Alonso, segretario sindacale della Cgt peronista. Può sembrare paradossale che i peronisti Montoneros abbiano ucciso un loro compagno di partito: ma tutto rientra nella logica della politica ar¬ gentina se si pensa che tra la vecchia guardia, i nostalgici del peronismo, ed i giovani affiliati alle squadre rivoluzionarie c'è un abisso di posizioni politiche. Infatti, tanto i Montoneros, quanto la Far (Forze armate rivoluzionarie) e la Fai (Forze armate di liberazione) odiano i vecchi dirigenti della Cgt peronista almeno quanto odiano i borghesi latifondisti. Per loro, questi sindacalisti rappresentano la corruzione di cui si sono serviti i generali per rendere inoffensiva la classe operaia. Parole e fatti « Ciò che è accaduto ad Alonso, accadrà anche agli altri capi sindacali », dicono i giovani estremisti. A Càmpora. per lasciarlo governare in una calma relativa, hanno imposto di moralizzare e democraticizzare immediatamente i sindacati, altrimenti riprenderanno la loro libertà d'azione a dispetto del papito Perón. Come se non bastassero le parole, sono seguiti i fatti. Giorni addietro, un commando di componenti della Far è entrato nel tribunale di San Isidro; ha rubato 511 tra pistole di vario calibro e mitra, ed ha emanato un comunicato stampa in cui diceva: « Queste armi entrano nell'arsenale del popolo e serviranno a potenziare l'esercito peronista che stiamo costruendo con i compagni Montoneros e tutti quei settori del nostro movimento, specialmente la gioventù peronista, che lotta per la conquista del potere della classe operaia e del popolo attraverso la guerra rivoluzionaria». Continuava dicendo che non basta la maggioranza nelle elezioni per assumere il potere: bisogna annientare coloro che manovrano il potere economico. Chiedeva l'amnistia per tutti i detenuti politici, l'abrogazione delle leggi repressive, la nazionalizzazione del commercio con l'estero, delle banche, delle imprese monopoliste, una rivoluzionaria riforma agraria. Fìdel Castro non aveva chiesto di più quando lottava contro il dittatore Batista. il presidente Càmpora ed il suo grande protettore Juan Domingo Perón sono disposti a subire le condizioni imposte da questi giovanotti che vogliono un'Argentina cubanizzata, oppure accetteranno, sia pure a malincuore, certe condizioni e la velata tutela delle forze armate per contenere la spinta eversiva e impedire la rivoluzione sanguinosa che annienterebbe l'Argentina? E' un'incognita che, oggi, nessuno è in grado dì decifrare. Non si può escludere che la guerriglia urbana faccia ancora comodo a Perón per tenere a bada le forze armate che conserveranno il potere fino al 25 maggio; non si può nemmeno escludere che, nel suo machiavellismo, egli intenda servirsi delle formazioni clandestine per condizionare il suo delfino Hector Càmpora, cresciuto è vero sotto la sua ala, ma ora presidente eletto dell'Argentina e, chi sa, forse con ambizioni di maggiore autonomia. E' difficile prevedere il futuro prossimo dell'Argentina; e non si può nemmeno giurare, benché i. generali lo abbiano assicurato a più riprese, che ci sarà il 25 maggio, cioè la consegna del potere ad Hector Càmpora. Francesco Rosso Buenos Aires. I cadetti dell'accademia militare: battuto alle elezioni, l'esercito è sempre un protagonista nella politica del paese (Foto Grazia Neri)