Il Belice non vuol diventare una "vallata dei fantasmi" di Filiberto Dani

Il Belice non vuol diventare una "vallata dei fantasmi"Cinque anni dopo il terremoto in Sicilia Il Belice non vuol diventare una "vallata dei fantasmi" La notte del 14 gennaio 1968 migliaia di case furono distrutte - Ne sono state ricostruite 240, venticinquemila persone continuano a vivere in baracche cadenti, tra malattie e disagi - La lunga storia di promesse non mantenute e di ire represse (Dal nostro inviato speciale) Santa Ninfa, 21 aprile. Valle del Belice, cinque anni dopo. Le ferite del terremoto che la notte del 14 gennaio 1968 colpi una delle zone più depresse della Sicilia occidentale, sono ancora aperte; delle decine di migliaia di case distrutte dal sismo solo 240 sono state ricostruite, 25 *nila persone continuano a vivere nelle baracche, in condizioni sociali avvilenti. Il terremoto, che provocò 316 morti, rase completamente al suolo Gibellina, Santa Ninfa, Salaparuta, Montevago, Poggioreale, S. Margherita Belice. Altri centri furono gravemente danneggiati: Menfi, 'Sambuca, Roccamena, Camporeale, Contessa Entellina, Calatatimi, Vita, Salenti e Partanna. Quindici comuni, in totale, quasi tutti della provincia di Trapani, una delle più povere dell'isola. Pino ad oggi sono stati certamente spesi più di 200 miliardi di lire, ma la ricostruzione dei paesi colpiti dal cataclisma è appena agli inizi. Il coordinamento tra le funzioni dello Stato e quelle della Regione siciliana è risultato così frammentario e disorganico da creare il caos: sovrapposizione di competenze, carenze di poteri, incertezze giuridiche. Cinque anni fa, dopo il disastro, ci fu quella ventata di solidarietà che nei momenti drammatici unisce sempre il Paese: soldati, studenti, volontari di ogni età, accorsero a recare il loro contributo; il governo stanziò, con un decreto legge, 162 miliardi e mezzo di lire per la ricostruzione edilizia, la Regione approntò altri provvedimenti legislativi, ma non fu deliberata una sola lira per la rinascita della Valle del Belice. Il progetto di ricostruzione rimase per lungo tempo in un cassetto, a causa della mancata elaborazione dei piani comprensoriali da parte dell'assessorato regionale all'urbanistica. Inoltre la gente di tre dei sei paesi distrutti non era disposta a trasferirsi nella zona scelta e ci vollero due anni di interminabili discussioni per raggiungere un accordo. A questo si aggiunsero le lotte «clientelavi» dei partiti politici, che sfruttarono la comprensibile esasperazione dei terremotati. Restava poi irrisolto il problema di fondo, quello del piano di rinascita, senza il quale si sarebbero ricostruiti paesi abitati da una popolazione anziana e improduttiva, perché i giovani tendevano ad andare via, al Nord, in cerca di lavoro. Era il febbraio 1968. Una delegazione di sindaci e di terremotati della Valle del Belice si accamparono a Roma davanti a Montecitorio, parlarono senza mezzi termini «del vergognoso disinteressamento da parte di tutti», ottennero che, in sede di conversione in legge del decreto per la ricostruzione edilizia, venissero previsti finanziamenti anche per la creazione di industrie, strade, servizi. L'articolo 59 di questa legge stabiliva una scadenza: «Entro il 31 dicembre 1968, il comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) appronterà un piallo per la rinascita socio-economica della Valle del Belice». Oggi, aprile 1973, il piano ancora non c'è. Ma nel frattempo, qualcosa si è mosso. Dieci giorni fa il Parlamento ha approvato una nuova legge che stanzia per la Valle del Belice altri 216 miliardi di lire ripartiti negli esercizi finanziari del ministero dei Lavori Pubblici dal 1973 al 1980. Il relatore della legge ha ammesso che l'insieme dei lavori di ricostruzione è stato realizzato solo per il 40 per cento, anche «se è prevedibile che il ritmo sia più rapido d'ora in avanti essendo stati superati alcuni adempimenti più difficili, come quelli relativi al trasferimento totale, o quasi, di interi paesi». C'è, invece, chi ha parlato di «sperperi, corruzioni, malcostume», di «oppressiva burocrazia» Probabilmente hanno ragione un po' tutti. E' l'unica spiegazione che si può dare al protrarsi di un'incredibile situazione che si trascina a cinque anni dal terremoto, visto che finora l'impegno finanziario dello Stato per la ricostruzione della Valle del Belice ammonta a 673 miliardi di lire (senza contare gli fì7 miliardi mobilitati con tre leggi della Regione siciliana e i 288 miliardi spesi o accantonati dall'Anas per strade e autostrade). Dove sono finiti tutti questi soldi? Un po' sono stati spesi (ma un conto esatto, almeno acpttszlssstqcimcndssGrnhot«diupslcvbsTper il momento, non c'è), un I po' sono rimasti sulla carta, ; gli altri non si sono potuti ; spendere a causa di complica- 'zioni burocratiche e ammini-1 strative o, peggio ancora, di ] inefficienze manifestate da |organi pubblici. Un esempio jtra i tanti: a Gibellina erano jstati progettati lavori per tre Imiliardi di lire, ma al mo- mento della consegna degli i appalti si è constatato che occorreva raddoppiare la cifra perché i terreni erano di natura diversa da quella descritta, occorrevano maggiori sbancamenti e opere di protezione e così via. Per non parlare degli ex proprietari di case private colpite dal cataclisma: quelli che devono ricostruirla non hanno ancora ottenuto il lotto urbanizzato sul quale edificare. Intanto, chi ha perduto la casa continua a sognarla, ma il sogno per molti si è trasformato in un incubo. Le baracche, pur avendo tutte l'antenna televisiva, sono cadenti, d'inverno vi si gela, d'estate il sole arroventa le lamiere, i servizi igienici non esistono. Gli ufficiali sanitari dei cornimi della Valle del Belice hanno e da tempo declinato ogni responsabilità per la tutela della salute pubblica. «Quelle baracche -1- dicono — dovevano durare pochi mesi e invece sono lì da cinque anni. C'è un aumento costante delle malattie e dei disturbi nervosi e mentali, causati dallo stato di insicurezza nel quale questa gente è costretta a vivere». Occorrono cinquemila case, ma fino ad oggi ne sono state costruite solo 240. Sono state promesse nuove industrie, e fra esse un centro elettro-metallurgico nella piana di Capo Granitola, tra Sciacca e Mazara del Vallo, ma sono promesse ancora generiche. Le opere previste dal piano straordinario dell'ente di sviluppo agricolo sono state appaltato solo per un terzo; molti piani comprensoriali non hanno ancora visto la luce. L'altra sera, a Santa Ninfa, il presidente della Regione siciliana, onorevole Vincenzo Giummarra, democristiano, è intervenuto ad un'assemblea popolare tenuta dalla gente della Val Belice fra le baracche che sorgono a ridosso di un colle. Il sindaco del paese, Vito Bellafiore, ha illustrato con una cruda documentazione la realtà che stringe la vita di una vasta zona della Sicilia: un vero e proprio atto di accusa su tutto quello che non è stato fatto, le promesse non mantenute, l'incredibile cecità da parte delle autorità centrali e regionali. «Prendiamo atto — ha detto Bellafiore a nome degli altri 15 sindaci della vallata — del nuovo stanziamento di 216 miliardi a favore delle nostre popolazioni; ma prendiamo anche atto che dovremo aspettare il 1980 per riavere le nostre case». Non è più tempo di palliativi, ma di interventi decisi, in una visione ampia che affronti la realtà di una situazione sempre più insostenibile. In questo senso si è pronunciato il presidente della Regione annunciando che «le maggiori opere di ricostruzione sono in fase di esecuzione»; entro l'anno saranno pronte un migliaio di case, il resto del programma proseguirà celermente. Anche il piano agricolo «può essere considerato in fase esecutiva», cosi come sono in via di soluzione i problemi relativi all'insediamento di due nuove industrie (ci sono, invece, difficoltà per il centro elettro-metallurgico di Capo Granitola che prevede cinquemila posti di lavoro). L'onorevole Giummarra ha concluso con un impegno: «Se costruissimo soltanto le case creeremmo una valle di fantasmi. Vogliamo invece fare del Belice una valle viva». Filiberto Dani 11111.11 ""' y . -,; ——T». wmm-\k TIRRENA

Persone citate: Camporeale, Giummarra, Roccamena, Vincenzo Giummarra