Dalla stalla al consumatore il difficile viaggio del latte

Dalla stalla al consumatore il difficile viaggio del latte DOPO LA LIBERALIZZAZIONE Dalla stalla al consumatore il difficile viaggio del latte Con il primo di aprile è caduta ogni barriera - Dall'estero un prodotto peggiore, ma più a buon mercato, rischia di soffocare le aziende piemontesi - Sono troppo piccole: meno di tre vacche ciascuna, mentre sopravviveranno solo quelle con oltre 70 bestie Il primo aprile è caduta la diga di misure protezionistiche che condizionavano il mercato del latte nei Paesi della Cee. Un'alluvione di latte estero, più economico, potrebbe sommergere i nostri produttori condannandoli ad una morte sicura. Nella nostra regione la preoccupazione è viva, sindacati e produttori se ne sono fatti portavoce. Un comunicato delle Acli diffuso alcuni giorni fa definisce la liberalizzazione del mercato un « colpo mortale » alle aziende del settore, già in crisi. « I costi di produzione in questi ultimi mesi sono cresciuti di almeno il 10 per cento a causa dell'aumentato costo del mangimi (mille lire al quintale) e delle attrezzature zootecniche. Il pubblico potere non ha realizzato una politica delle strutture capace di rendere produttivo e competitivo il settore. Il latte importato, che Ita su. b'ito almeno due trattamenti per la conservazione e ha quindi un valore ìgienlco-alìmentare scarso rispetto a quello prodotto nelle nostre zone, costa 10-15 lire in meno al chilogrammo del latte italiano ». Si teme che i consumatori preferiscano il latte più a buon mercato, anche se di qualità peggiore. Dal lo aprile, continua il comunicato delle Acli torinesi, finisce anche l'esclusiva di vendita del latte nelle aree cittadine da parte delle Centrali, e con essa il relativo obbligo di rifornirsi nelle « zone bianche » fissate dal decreto prefettizio: « Ipoteticamente chiunque può vendere latte a Torino. Senza il vincolo della "zona bianca" gli industriali pagheranno ai produttori l prezzi che vorranno: si parla già di una riduzione del 10 per cento. Ciò significa via Ubera all'importazione e alla vendita di un prodotto senza controlli sulla freschezza e la qualità. Le conseguenze si riflettono ancora una volta sul produttori, con una ulteriore compressione dei redditi che provoca l'abbandono di molte aziende, soprattutto da parte dei giovanti). In Piemonte le aziende minacciate da questa situazione sono 279 mila, con circa 800 mila capi ed una produzione annua approssimativa di 24 milioni di quintali. Da noi come nelle altre regioni italiane quella dell'allevamento bovino da latte è un'attività « polverizzata », economicamente debole: il 27 per cento delle stalle conta da 2 a 5 capi, e soltanto il 14,6 per cento ne conta da 50 a più di conto. Il u memorandum » di Mansholt considerai'queste aziende! .destinate a scomparire; è del 1969 l'adozione nei Paesi della Comunità del « premio di abbattimento » di 125 mila lire per ogni vacca da latte proveniente da allevamenti con meno di 5 capi. Nel corso di un convegno svoltosi domenica scorsa alla Camera di commercio e organizzato dal Ciacap (Consorzio interprovinciale autonomo cooperative agricole Piemonte), il dottor Motti, direttore della Cooperativa Cascarla Bresciana, ha ricordato che « indagini tecnicoeconomiche nella Pianura Padana hanno stabilito economicamente validi allevamenti con 70 e oltre capi ». Il primo colpo ai produttori è venuto nel dicembre scorso, quando il prezzo del latte è sceso da 96 a 94 lire al chilogrammo. Oggi gli industriali pagano un chilogrammo di latte 95,40 lire, compresa l'Iva nell'aliquota del 6 per cento. Il latte che proviene dall'estero — Germania, Francia, Olanda —- costa 85 lire. « Per non dipendere dalle importazioni — ha detto al congresso di domenica scorsa il professor Petrucco dell'Istituto professionale per la agricoltura di Castelfranco Veneto — bisogna produrre a prezzi più convenienti ii. E' una questione di strutture. Piero Ganglio, cho gestisce con il fratello un'azienda agricola di Piobesi con 50 capi da latte, spiega che « un chilogrammo di latte costa alla stalla 100 lire, compresa la manodopera. Non lavoriamo in perdita perché non tacciamo caso al numero di ore straordinarie quotidiane ii. Nel '61 Gariglio, un uomo intraprendente, finanziato da crediti agricoli, ha impiantato quella che allora era la più moderna stalla del Piemonte. Ha sostituito le vecchie bestie con vacche canadesi, olan¬ desi e svedesi « risanate ». Ha una produzione di 40 quintali di latte per capo all'anno. Dal '69 è associato ad una grande cooperativa che ora, con la liberalizzazione del mercato, ha comprato una macchina impacchettatrice e tre camion frigoriferi ed ha lanciato il proprio prodotto. « E' un esperimento — dice —, potrebbe andar bene, ma potremmo anche andare a rotoli ii. La cooperativa continua a vendere una parte del latte agli industriali: ii Ci pagheranno a fine mese — dica — e certamente il prezzo al chilogrammo sarà inferiore a quello di marzo. E non è giusto che un latte sterilizzato, cotto e stracotto come quello straniero venga venduto ad un prezzo uguale o inferiore al nostro, che è un latte genuino ». Sulle conseguenze che deriveranno dalla « marea » di latte entero il dott. Wild, amministratore della Centrale del latte di Torino, è esplicito: « Oggi è il libero mercato che fa ti prezzo, non l'agricoltore. Il potere contrattuale dei contadini è sceso, il prezzo non è più quello "politico" fissato dal Comitato prezzi li. C'è il rischio che la Centrale, che produce ogni giorno 200 mila litri di latte, non compri più in Piemonte? « Non si può — dice Wild — basare tutto il rifornimento sulla produzione estera: potrebbe interrompersi per una semplice nevicata. Certamente la libera Importazione potrebbe andare a danno di tutti coloro che non sono in grado di produrre economicamente. Occorre che i nostri produttori capiscano che bisogna arrivare alle stalle sociali, come in Canada ii. Stalle sociali e cooperative sembrano l'unica via d'uscita per il settore. Ma la mentalità conservatrice ed individualistica della maggior parte dei nostri agricoltori e le carenze della politica agricola italiana non ne fanno certo mète facili o vicine. Ci sarebbero i mille miliardi stanziati per l'agricoltura dall'apposito fondo della Cee, il Feoga. Ma, ha detto il professor Petrucco, « guest! /inanziamenti non sono ancora applicabili: siamo in una fase di transizione, e inoltre non è ancora stato deetso se l'assegnazione sarà di competenza dello Stato o delle Regioni ». Finanziare la formazione di cooperative, adeguare gli impianti già esistenti è l'unico modo per salvare i piccoli agricoltori e rlsr*zere il nostro problema che, come ha detto il dottor Motti, « non è un problema produttivo ma di costi di produzione n, cioè di competitività. Quella che nel 1961 era una « stalla modello » dice Piero Gariglio, « è ora superata in buona parte: in dodici anni si è scoperto che sullo stesso ettaro di pascolo coltivato a mais anziché nel modo tradizionale si può triplicare il bestiame. La vacca di razza {risona è abituata alla stabulazione Ubera: nella mia stalla gli animali stanno sempre fermi, si sono ammalati tutti di zoppimi ed artrosi. Dovrei sostituire le mucche, cambiare le colture. Se nessuno mi aiuta, rinuncerò a produrre latte». Chiamato in causa da un agricol'ire al convegno di domenica scorsa, l'onorevole Bodrato ha dichiarato di assumersi, in qualità di parlamentare, la sua parte di colpa: come partners della Cee, ha detto, « siamo in ritardo nell'applicazione delle norme e dei finanziamenti comunitari: dovrebbero già essere in funzione, ed abbiamo soltanto uno schema di legge. Certamente, se non si interviene in questo settore entro pochi anni il problema sarà risolto dal punto di vista statistico (poiché non ci saranno più giovani in campagna), ma non dal punto di vista economico e sociale ii. Mario Varca

Persone citate: Bodrato, Gariglio, Mario Varca, Motti, Petrucco, Piero Ganglio, Piero Gariglio