Il giudice Terranova parla di Mangano dei probabili attentatori e della mafia di Fabrizio Carbone

Il giudice Terranova parla di Mangano dei probabili attentatori e della mafia Doveva incontrare il questore il giorno dopo l'attentato Il giudice Terranova parla di Mangano dei probabili attentatori e della mafia "E' grave, per gli esecutori, che l'agguato sia fallito", dice il magistrato che ha lavorato a lungo con il questore - Chi aveva motivi per uccidere Mangano? - "Liggio ha altri problemi, la sua latitanza è costosa" (Nostro servizio particolare) Roma, 12 aprile. «Dobbiamo tenere i piedi puntati per terra: sul caso Mangano si sono dette troppe cose. Bisogna indagare a fondo su una sequela di episodi e innumerevoli personaggi, partendo dal presupposto che l'attentato al questore ha tutti i crismi dell'agguato mafioso». Cesare Terranova, magistrato palermitano, oggi deputato della sinistra indipendente, aveva un appuntamento con Angelo Mangano venerdì 6 aprile, il giorno dopo la fallita imboscata di quattro killers al funzionario di polizia, davanti alla sua abitazione di via Tor Tre Teste. Lo abbiamo intervistato perché Terranova è un siciliano che combatte la mafia, conosce tutte le «cosche» dell'isola, gli intrecci e le rivalità che legano e dividono i loro «boss». Terranova e Mangano erano a Partinico dall'autunno del '63 alla primavera del '64. Il 16 maggio dello stesso anno Luciano Liggio venne arrestato. «Dirigemmo le indagini insieme ». Il discorso con il magistra¬ to è difficile: Terranova è uomo di legge; ha già avuto un lungo colloquio in ospedale con Angelo Mangano; si trincera dietro il segreto istrutto- rio. Andiamo avanti per esclusione. «Partiamo dall'attentato. Come mai è fallito? E' possibile che l'organizzazione che voleva eliminare il questore si sia servita di sicari della "mala" romana?». Risponde: «Premetto che la mafia è soltanto un concetto; in realtà esistono le mafie e i loro capi. E loro non si fidano se non dei "picciotti". Al massimo si possono servire di appoggi di altre località. Ricordiamoci che nel '56 il vice del capomafia Galatolo, fuggito a Como, venne giustiziato da killers venuti dalla Sicilia. E' grave, per gli esecutori, che l'attentato a Mangano sia fallito. Hanno sparato con piombo dolce e avevano fretta. Quando Scaglione fu ucciso il killer sfondò con un mitragliatore il lunotto posteriore della macchina del procuratore e poi centrò il magistrato e l'autista con precisione assoluta». «Lei è a conoscenza del lavoro di Mangano di questi ultimi tempi? Si interessa a Luciano Liggio?». «So che l'ufficio di Angelo Mangano è quello degli "affari riservati". Credo si interessi a Liggio come tanti altri». «E la "Primula di Corleone" aveva motivi per ucciderlo?». «Credo di no. Mangano lo arrestò dieci anni fa. Liggio ha altri problemi: la sua latitanza è costosa; deve curarsi e farsi proteggere. Non credo che Liggio sia all'estero: per me è in Italia, al sicuro. C'è il clan dei Greco che lo aiutò a sgominare la "cosca" dei Navarrà e lo continua ad aiutare. Ma Liggio non è il mandante, à mio avviso». «Si è parlato del vecchio Frank Coppola. Può essere stato lui?». «Coppola è in pensione, anche se ha costituito un suo "clan" a Pomezia. Fu potente quando tornò dall'America. Le faccio un esempio: Michele Alduino, un assassino spietato oggi all'ergastolo, riuscì a farsi mandare a Pomezia in soggiorno obbligato, per stare vicino all'amico. Ma oggi Coppola è controllato e non ha alcun interesse ad eliminare un uomo della polizia». «Allora dove si deve guardare, per arrivare ai mandanti?». «Alla Sicilia. Il motivo può essere vendetta o interesse. La cosca che ha fallito il colpo può avere agito tramite personaggi confinati o al sor/ giorno obbligato. Sono tanti, sd sparsi dovunque. Un tempo si giustiziavano persone partendo da Misilmeri e andando a Palermo. Oggi si prende l'aereo e si torna nella stessa giornata, in tempo per firmare il registro di presenza dei carabinieri ». «Pensa che il tentato omicidio del questore avrà un seguito?». «Non mi stupirei se si ritrovasse il cadavere di uno sconosciuto nelle campagne della Sicilia o del Lazio. E' lo stile mafioso». «Chi voleva Mangano morto, ci riproverà?». «E' un grosso punto interrogativo. A Palermo, Ciuni, un mafioso, subì un attentato e fu poi finito in ospedale da sicari in camice, bianco. E c'è il caso Cucciardi, ferito una prima volta e ucciso a 5 mesi di distanze». Fabrizio Carbone