I rapporti Stati Uniti - Cee Una guerra commerciale?

I rapporti Stati Uniti - Cee Una guerra commerciale? A COLLOQUIO CON PETRILLI I rapporti Stati Uniti - Cee Una guerra commerciale? (Nostro servizio particolare) Roma, 11 aprile. Alla Une di marzo si è svolta ad Amsterdam la conferenza « Europa - America », promossa dal Consiglio britannico del Movimento europeo e alla quale hanno partecipato i Consigli nazionali degli altri otto Paesi della Comunità europea, della Norvegia, degli Stati Uniti e del Canada. Argomento discusso: i rapporti economici, commerciali, anche politici, che stanno attraversando un momento di tensione, per la crisi monetaria internazionale, la polemica sui « protezionismi » di cui Stati Uniti e Cee si accusano rispettivamente, l'avvicinarsi del Nixon-round sugli scambi mondiali. Al termine dei lavori, la delegazione italiana, di cui faceva parte il presidente delTiri, Giuseppe Petrilli, nella sua qualità di presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo, non ha firmato, imitata da altre delegazioni, il documento conclusivo. Abbiamo rivolto al professor Petrilli qualche domanda sui motivi di questo « disaccordo » e sul rischio di una « guerra commerciale » tra aree economico-politiche. Quali erano gli scopi della conferenza di Amsterdam, con quali programmi vi ha partecipato la delegazione italiana e quali risultati ne sono usciti? «Intorno agli scopi della conferenza di Amsterdam ha regnato fino all'ultimo un grosso equivoco. Il Consiglio britannico del Movimento europeo, che ne prese l'iniziativa — d'intesa con un gruppo di personalità del mondo politico e culturale statunitense e canadese — vi vedeva probabilmente l'occasione di riaffermare, all'indomani della adesione della Gran Bretagna alla Comunità, la tradizionale funzione di tramite tra le due rive dell'Atlantico svolta storicamente da quel paese ». « L'esecutivo internazionale del Movimento europeo, di cui faccio parte, decise di dare il proprio patrocinio alla iniziativa, ravvisffadpv\ «soprattutto l'occasione' di un franco dibattito intorno ai molteplici aspetti dell'attuale contenzioso euro-americano. « A mio giudizio, il relativo ijisuccesso della conferenza è stato dovuto principalmente alla fretta, dimostrata ad un certo punto dai promotori americani, di giungere ad un risultato di facciata, attraverso la riaffermazione, solenne quanto astratta, dell'ideale kennediano della partnership. E', viceversa, opinione comune dei partecipanti italiani che il proseguimento di un dialogo, più che mai necessario, fra Europa e Stati Uniti debba passare inevitabilmente attraverso l'approfondimento di temi specifici, che esigono tempo e pazienza, soprattutto non consentono improvvisazioni ». Non sono risultati ben chiari in Italia i motivi della « rottura» tra alcune delle delegazioni presenti, sul documento finple. Può spiegarli? «Ad Amsterdam non vi è stata alcuna rottura nell'ambito del Movimento europeo e non vi è stata neppure una rottura tra europei ed americani. I partecipanti italiani, non erano tenuti ad osservare alcuna disciplina di delegazione. Ciò nondimeno essi si sono trovati d'accordo circa l'opportunità di astenersi dal partecipare alla votazione del documento conclusivo della conferenza ». « Tale atteggiamento, che ha ottenuto notevoli consensi da parte di altri Consigli nazionali e in primo luogo di quello francese, è stato motivato da ragioni di forma e di sostanza. Per quanto riguarda la forma, è sembrato infatti che l'adozione di una dichiarazione solenne, sia pure alquanto ridimensionata rispetto al progetto iniziale, fosse in contrasto con la natura interlocutoria d'ella conferenza, destinata soltanto a compiere una prima ricognizione dello stato attuale dei rapporti euro-americani. Circa la sostanza, si è inteso evitare che gli organi statutari del Movimento europeo chiamati a deliberare sugli ulteriori sviluppi dell'iniziativa potessero in qualche modo sentirsi vincolati a soluzioni precostituite ». E' sua impressione — come da altre parti si afferma — che, se non si riesca ad imprimere una nuova svolta ai rapporti tra le due rive dell'Atlantico, si vada verso una guerra commerciale Stati Uniti-Comunità europea? « Mi sembra difficile negare che sussista quanto meno il rischio di una evoluzione di questa natura. Al punto in cui siamo, più dei fatti conta a mio parere il clima generale che si è venuto determinando nei rapporti tra la Comunità europea e gli Stati Uniti e più delle restrizioni attuate o minacciate finora conta l'esistenza di un pericoloso piano inclinato, che A potrebbe condurci al peggio. Lo abbiamo visto anche ad Amsterdam ». « Gli americani — appartenenti, per lo più, alla vecchia guardia kennediana — hanno parlato molto di partnership, ma in realtà la loro idea di fondo era quella di una liberalizzazione generalizzata degli scambi tra paesi industrializzati non collettivisti, con la creazione di istituzioni comuni a carattere intergovernativo. A parte le cautele formali, davano della Comunità europea un giudizio sostanzialmente negativo, considerandola come una fonte di discriminazioni commerciali, incapace di evolvere verso una vera e propria unione politica ». « Anche- tra gli europei, serpeggiava del resto una certa insofferenza per le formule tradizionali della collaborazione euro-americana; queste sembrano ormai alquanto astratte rispetto a quello che taluno ha definito il "gollismo" della politica Usa degli anni nixoniani. Questo stato d'animo, che le recenti vicende monetarie hanno indubbiamente accentuato, rischia di condurci ad un dialogo tra sordi ». Che cosa si può fare, prima del Nixon-round, per prevenire questa guerra? « Si può e si deve cercare di sgombrare il terreno da taluni equivoci, affrontando realisticamente i problemi controversi e riconoscendo che gli stessi sviluppi dell'integrazione europea, indubbiamente favoriti all'orìgine dall'appoggio americano, hanno creato alcune contraddizioni oggettive e una certa divergenza di interessi, su cui non serve stendere un velo pietoso ». « Occorre che gli americani si convincano che un rafforzamento istituzionale della Comunità europea è la condizione prima di una sua politica liberale in materia di commercio estero, anche se è vero che qualsiasi unione doganale si definisce negativamente per la presenza di una discriminazione tariffaria nei confronti dei paesi terzi ». « Credo infatti, per quanto mi riguarda, che il realismo ci imponga ormai di considerare gli ulteriori progressi della liberalizzazione degli scambi come un obiettivo da conseguire attraverso negoziati tra le principali zone economiche, il cui rafforzamento polìtico-istituzionale rappresenta la principale garanzia per gli sviluppi futuri del commercio internazionale. Ciò naturalmente comporta, da parte degli europei, una accresciuta assunzione di responsabilità internazionali». La crisi del dollaro, il mercato degli eurodollari ecc., subordinano gli scambi commerciali, nel senso che gli Usa sono costretti a recuperare, nella bilancia commerciale, il disavanzo di quella dei pagamenti complessivi? « Il ruolo di moneta di riserva, assolto da un dollaro ormai inconvertibile, attribuisce indubbiamente agli Stati Uniti un ruolo di arbitri del sistema monetario internazionale, nel senso che la creazione di liquidità internazionale dipende dall'equilibrio della bilancia dei pagamenti nordamericana e quindi in definitiva da decisioni di politica interna di quel Paese ». «Nel corso delle recenti crisi monetarie gli Stati Uniti hanno finito per attribuire ai propri partners commerciali parte del costo del proprio risanamento monetario, non solo attraverso il ricorso a restrizioni commerciali agitate come mezzo di pressione, ma anche grazie alle stesse modificazioni delle parità monetarie. « Gli americani, d'altro canto, rimproverano agli europei di non volere assumersi una parte adeguata degli oneri inerenti alla loro stessa difesa e tendono a giustificare ,1'attuale stato di cose come una sorta dì compensazione indiretta degli aiuti militari e dello scudo -nucleare americano ». Mario Salvatorelli Giuseppe Petrilli (Tel.)

Persone citate: Giuseppe Petrilli, Mario Salvatorelli Giuseppe, Petrilli