Il teatro con il pubblico di Marziano Bernardi

Il teatro con il pubblico Il teatro con il pubblico Un teatro, se non è una sopravvivenza archeologica come quello di Siracusa, o un documento d'arte scenica come l'Olimpico di Vicenza, non è un'architettura da contemplare ed eventualmente ammirare a, sé stante, al pari di un monumento che esiste in virtù delle sue proprie strutture, palazzo o tempio, ponte o grattacielo o viadotto che sia. Un teatro, se il paragone non offende l'architetto che l'ha progettato, è un «recipiente» che vuole essere riempito. Di che cosa? Della presenza umana degli spettatori convocati allo spettacolo. Giorni addietro il Rotary convocò un centinaio di soci e d'invitati ad una visita al rinato Teatro Regio ancora in fase del definitivo allestimento. Naturalmente il pubblico mancava sia nella grande platea digradante dalla corona dei palchi alla fossa dell'orchestra, sia lungo il mirabile gioco delle scale fisse e mobili adducenti ai vari livelli della sala, all'immenso foyer ricavato nella manica settecentesca, ai ridotti minori, ai bar, alle due gallerie vetrate sovrastanti l'ingresso coperto, insomma a tutto quell'ardito ed insieme armonioso complesso di linee, di volumi, di' spazi con cui la genialità di Carlo Mollino ha saldato, con un continuo gioco di colte « trovate ». Si girava dunque per codesti vani semi-deserti, si saliva, si scendeva, si guardava, si discuteva; e chi diceva « magnifico », chi avanzava dubbi e riserve, chi condannava i colori, specie quell'inspiegabile violetto del boccascena modulato a «video», in urtante contrasto con il rosso dominante della gradinata, dei palchi, dei retropalchi, di tutti i vani circostanti. Ma eravamo un gruppetto di persone riunite per un semplice sopralluogo, e probabilmente nessuno si rendeva conto di trovarsi in un «recipiente» quasi per intero deserto: sì che in una rapida nota di cronaca ci venne spontaneo di osservare a proposito di quel gran giro di palchi, che., sospesi a sbalzo al sommò della platea possono dar l'impressione di una serie di scatole, «forse a teatro pieno il colpo d'occhio migliorerà ». Colpo d'occhio migliorato? Correggiamo subito: completamente cambiato. Coi suoi 1800 intervenuti, ieri l'altro, nella grande serata inaugurale, a parte ciò che avveniva sulla scena, il Regio, di colpo, aveva trovato la sua verità di « teatro ». La platea colma, sotto la pioggia di luce « levitata » all'intradosso della cupola negli intervalli, s'era fatta sterminata, decuplicata, si sarebbe detto, nel suo lento declivio ' e ne saliva un'indistinta, brulicante animazione, un calore umano, un alito lieve di festosità. L'astrazione era divenuta vita, concretezza di forme statiche o in movimento, insomma, scambio d'impressioni, e soprattutto compiacimento di comunità. Da sé sola questa folla costituiva « spettacolo », realizzava il « teatro », E lo spettacolo, il « teatro » continuava fuor dalla sala, nelle pause dei « Vespri », nello splendido foyer, intorno ai capaci bar, e su e giù per quelle salite e discese delle aeree terrazze da cui l'occhio spazia senza interruzioni. Non sfoggio di particolari eleganze mondane, anzi, nella massa una semplice cura di doveroso decoro. Piuttosto un senso di agio, di soddisfazione per un risultato di cui una grande città può andare orgogliosa; e tutto questo perché adesso le sapienti architetture progettate sulla carta da disegno, eran divenute cose vive per 1800 persone che con la loro presenza ne giustificavano la costruzione. Il rapporto umano s'era stabilito come forse mai vedemmo in altra occasione, e c'è da credere che non si interromperà. Un giornale ha definito il nuovo Regio « il fiore all'occhiello della vecchia città sabauda », domandandosi se sarà destinato a restare «un'isola di velluto rosso in mezzo a una città esclusa dall'avvenimento ». E' un errore di valutazione, quasi che il Regio continuasse ad essere quello costruito da Benedetto Alfieri coi suoi cinque ordini di palchi per i nobili ed i ricchi, ed il « loggione » per i poveri ed i domestici dei palchettisti. Non si deve dimenticare che Torino finora non aveva una sede per manifestazioni varie culturali e di rappresentanza ufficiale. La sala della Galleria civica d'arte moderna oltre ad essere d'una rara bruttezza è di capacità insufficiente; e il salone di Palazzo Madama appartiene a un museo. Il Regio, con il suo « Piccolo Regio » non è un fiore all'occhiello: è un magnifico complesso di ambienti per tutti — diciamo tutti, e non soltanto privilegiati — i torinesi, se quelle manifestazioni e quelle rappresentanze saranno opportunamente organizzate. Non vogliamo certo chiudere trionfalisticamente queste poche righe. Anche l'architettura del nuovo Regio non è immune da errori. Il più grave, a parer nostro, è l'aggetto dei palchi sulla platea. Se, sacrificando un poco di spazio esterno alla sala, essi fossero stati defilati a livello dell'elissoide perimetrale, non darebbero l'attuale impressione di appiccicatura. E' chiaro che a ciò non si può più rimediare. Ma se dobbiamo credere a quello che Carlo Mollino ci ha detto in un orecchio, la stonatura del boccascena violetto sparirà. ;t Io penso a un color perla ». ci ha confidato. Confortiamolo in questo saggio proposito. Marziano Bernardi

Persone citate: Benedetto Alfieri, Carlo Mollino

Luoghi citati: Siracusa, Torino, Vicenza