Regio: tante discussioni di Giorgio Calcagno

Regio: tante discussioni Dopo la prima rappresentazione dei "Vespri siciliani,, Regio: tante discussioni Maria Callas, Di Stefano e Sassu difendono, polemici, il loro allestimento dell'opera verdiana in un affollato incontro con gli appassionati della lirica - L'aspetto della grande sala affollata di spettatori - Scomparirà il colore viola del boccascena Maria Caltbs, discussa come regista, ha cercato la rivìncita come aratrice. Al Teatro Regio, l'altra sera, aveva esitato a presentarsi alla ribalta, dopo la serie di imprevisti tecnici che avevano compromesso l'esito dell'ultimo atto; ed era poi venuta al proscenio, con Di Stefano e Vernizzi, quando la maggior parte degli spettatori era già uscita, raccogliendo un diradato applauso. A Palazzo Madama, ieri pomeriggio, ha avuto tutti i consensi che le erano mancati in teatro, durante e dopo la tavola rotonda sui «Vespri» promossa dall'ente lirico. Cambiata la scena, cambiato, in parte, anche il pubblico. Anziché i signori in smoking e le dame ingioiellate della «prima», dalle narici sottili e dal gesto parsimonioso, c'erano gli appassionati dell'opera, pronti a battere le mani con frequenza, in attesa dell'autografo finale. Le "unghiate" Il dibattito, almeno alle origini, era stato pensato come un'occasione per una verifica critica dello spettacolo, con l'intervento dei suoi responsabili. Tanto è vero che, a presiederlo, era stato chiamato il direttore dell'Istituto di studi verdiani di Parma, Mario Medici. Ma si è trasformato presto in un tribunale a senso unico, con tanti avvocati difensori e senza alcun pubblico ministero. La serata inaugurale del Regio, ancora nell'aria, si era vari interrogativi. L'esito dello spettacolo con le critiche raccolte, sembrava avere amareggiato gli animi, in chi aveva cooperato a crearlo. Ma, almeno all'inizio, il discorso si è avviato con pacatezza. Lei, la divina, per la prima volta giudicata con tanta durezza, è entrata sorridente, da una porticina laterale, quasi in orario, insieme con Giuseppe Di Stefano e Aligi Sassu. E, con sorpresa di tutti, ha cominciato ringraziando. Ha ringraziato i tecnici, i collaboratori, il coro. La insistenza iniziale sul coro è parsa a qualcuno un po' sospetta, ma, poco dopo, sono arrivati anclyg i ringraziamenti per i cantanti. «Tut;ti hanno collaborato, ad accorciare le distanze — ha precisato Di Stefano — a farci dimenticare che i giorni per l'allestimento erano pochi, in un teatro non ancora pronto ». La prima unghiata della tigre è arrivata col secondo intervento, quando la Callas ha ricordato le difficoltà oggettive dello spettacolo. « Abbiamo avuto dieci giorni per le prove, i fari che dovevano illuminare i cantanti e il balletto devono ancora arrivare adesso. Noi, con la nostra esperienza, abbiamo aiutato a superare tante difficoltà, e abbiamo consentito l'andata in scena ». E, subito dopo, arriva la seconda unghiata, la più decisa: « Se avessimo voluto interrompere tutto e partire, avremo avuto tanti motivi per farlo: come ha fatto, molto arbitrariamente e capricciosamente il signor Gavazzerà, che ci ha lasciato uno spettacolo per aria, con gli impegni già presi da lui ». "Sforzo immane" chuncolebedsidestsecamscbAoptusisechrecI « nuarcGbcnnimttptarlptctcctzzsgilrddotspaogcnCvIl nome di Gavazzeni ricorda a tutto il pubblico la famosa querelle esplosa lo scorso ottobre: il musicista, già. designato a dirigere i «Vespri», rinunciò all'incarico dopo aver saputo che accanto alla Callas ci sarebbe stato Di Stefano. E Di Stefano carica subito la misura: « Gavazzeni era regolarmente scritturato. Ha creato attorno a noi uno stato di diffidenza, specie fra i musicisti. Noi riteniamo che un maestro tanto famoso non potesse far questo. Ci ha dato un grave handicap. Siamo arrivati alla firma dei contratti solo a fine gennaio ». Nessuno, fra il pubblico, fa rilevare che ci fu un momento di incertezza anche da parte dei due registi, tanto da costringere il consiglio di amministrazione dell'ente lirico a porre un termine preciso per la loro scrittura. Oggi la Callas preferisce ricordare che non volle rinunciare all'impegno preso, pur in condizioni così precarie. « Se avessimo interrotto le prove avrebbero detto: "I soliti capricci. Che cosa potevo fare? C'era un teatro nuovo da aprire, un fatto unico al mondo; c'era già annunciato l'arrivo del presidente della Repubblica ». Per non mancare al capo dello Stato italiano, la Callas ha voluto affrontare la prova, così rischiosa, e portarla fino in fondo. Il risultato è quello che i milleottocento spettatori della « prima » hanno visto, l'altra sera, e sulla quale ì critici di tutta Italia hanno espresso il proprio giudizio. I protagonisti dello spettacolo hanno una parola da dire anche per loro. La Callas di- chiara a più riprese di volere una critica « libera », ma a condizione che non sia « sleale»; secondo un criterio non bene chiarito che, durante il dibattito, porta a varie estensioni del concetto. « Ci hanno detto che la nostra regìa è statica — osserva —. Può essere vero. Ma noi siamo stati cantanti, sappiamo che far muovere troppo la gente in scena può non essere cosa buona, rispetto alla musica. Abbiamo voluto far muovere ogni cantante secondo le proprie possibilità. Ho fatto di tutto per mettere a fuoco la signora Kabaivanska. Se avesse avuto un altro regista, anche di gran nome, non sarebbe arrivata in porto, perché nessuno meglio di noi sa I problemi della voce ». Anche Sassu si difende: « Dopo aver lavorato tanto, non credevamo di meritare un giudizio così severo. Mi accusano di avere usato colori caramellati. Sono i miei colori, e tutti li conoscono. Gui aveva approvato i miei bozzetti, perché si sposano con l'opera di Verdi. Io conosco l'opera lirica, non sono uno di quei pittori che si improvvisano scenografi vantandosi di non essere mai stati in un teatro ». Vernizzi, con più pacatezza, ricorda la situazione difficile in cui venne a trovarsi il teatro dopo la rinuncia di Gavazzeni e quella, drammatica, dopo l'improvviso malore di Gui. Il sovrintendente Erba sottolinea lo « sforzo immane » compiuto per portare lo spettacolo in scena in un teatro che l'ente lirico ha avuto in consegna « non pronto » soltanto dopo la metà di marzo « Dobbiamo dire un grazie a quanti hanno dato il sangue, negli ultimi venti giorni, per la regìa, le luci, il balletto, i cori, l'orchestra». Quando il dibattito si allarga al pubblico, la tavola rotonda diventa una specie di giostra, col « Saracino » della critica da abbattere a ogni colpo. Alcuni interlocutori raccolgono facili applausi esaltando la celebre soprano, la quale ne raccoglie altri respingendo le poche obiezioni presentate. Un signore della platea ha qualcosa da dire sulla conduzione politica, de} teatro, ma la Callas lo interrompe: « Lei ha visto lo spettacolo? ». « No »: « E allora non ha diritto di parlare. Esca subito di qui ». Un giornalista americano, critico del New York Times dall'Europa, viene al microfono, rivolge una domanda ad Aligi Sassu sulla scelta dei colori. Ma « lei » non lascia neppure arrivare la parola allo scenografo: « Signor Fitzgerald, ha guardato lo spartito di Verdi? E se non lo ha guardato, non si pongono certe domande ». Fitzgerald cerca di replicare, con educazione: « Io, veramente », ma la Cailag, non tossente. «Nqj.,conL Sassii, lo abbiamo fatto ». -Im Callas, in risposta - alle obiezioni ricevute, comincia a | leggere i telegrammi di au¬ gurio che le sono arrivati da Luchino Visconti (che la chiama « collega »), da Zeffirelli, da famosi cantanti. Li mette a paragone con un «affronto» che le avrebbe fatto poche ore prima il Sovrintendente di un'altra città, ignorando il suo nome durante un discorso ufficiale. «I grandi sono grandi. I piccoli non possono essere grandi. Sono fatti così, bisogna che noi abbiamo pazienza, molta pazienza ». Tutti coloro chp.rion si sentono « grandi », fra il pubblico presente, rinunciano a porre altre domande. Giorgio Calcagno Maria Callas durante l'incontro col pubblico (Foto Moisio)

Luoghi citati: Europa, Italia