Il grosso accusatore di Sandro Viola

Il grosso accusatore L'INDAGINE SUI TELEFONI INTERCETTATI Il grosso accusatore L'inchiesta sullo scandalo sembra volersi arrestare al tradizionale "volo degli stracci" - Ma un detenuto come Tom Ponzi fa sperare colpi di scena: è ben lui che ha tirato fuori i nomi grossi, non certo per ingenuità o incontinenza verbale - Da vecchio fascista, ha interesse a svilire e denigrare la democrazia; ma nel Paese esistono anche "oscure trame di spionaggio" (Dal nostro inviato speciale) Roma, aprile. Uno scandalo come questo delle intercettazioni telefoniche, si sente ripetere da qualche giorno, non può andare aitanti oltre un certo limite: più o meno il limite cui è già giunto, la fase detta del «volo degli stracci». I segni d'una manovra di frenaggio non mancano. L'inchiesta parallela Roma-Milano (da cui l'indagine complessiva non ricava certo speltezza e,lucidità), la scarsa collaborazione di' certi ór-' ' ganismi (la Sip,, per esempio, che pjir.e potrebbe fornire elementi decisivi per l'accertamento dei fatti), una aria di disarmo che comincia a notarsi, almeno a Roma, negli uffici dei magistrati che seguono le varie piste dell'« affare ». In politica D'altra parte, argomentano alcuni, il « caso » ha ormai prodotto i suoi risultati politici. Ha fatto segnare un punto ad Andreotti, nella misura in cui un'inchiesta sacrosanta come quella sulle intercettazioni è stata approvata, se non stimolata, dal presidente del Consiglio. Ha ridimensionato — facendone circolare il nome a fianco di quelli d'un gruppo di lestofanti — un policymaker della taglia del presidente della Montedison, Eugenio Cefis. E forse ha persino mutato, nella prospettiva del congresso di giugno, certi rapporti di forza all'interno della de. A questo punto, poiché andare avanti diventerebbe pericoloso per tutti, è arrivato il momento di chiudere. Sono discorsi, è vero, di una qualche consistenza. Ma essi non tengono conto di due elementi-dai quali il «casali pilo trarre una nuova vitalità, altra virulenza, al puntò-da rendere difficile ^-ì.a chi rie abbia interesse — di comporlo il più in fretta possibile. Il primo di questi elementi è rappresentato dal personaggio Tom Ponzi, e dal ruolo assai nebuloso che costui ricopre nell'intera vicenda. Il secondo da un brusco sviluppo che lo scandalo sta conoscendo, e che potrebbe finire col costituire il suo aspetto più clamoroso: una contrapposizione, se non uno scontro, tra i principali corpi di polizia, la polizia propriamente detta, i carabinieri e la Guardia di Finanza. Al Viminale, il timore di un simile scontro viene espresso in modo esplicito. « Stiamo assistendo ». dicono al ministero dell'Interno, « a ' u una manovra abbastanza scoperta. Le cosiddette "indiscrezioni" che escono dai due palazzi di giustizia, a Roma e a Milano, chiamano in causa quasi soltanto la polizia. Così, è ormai il momento di chiarire qualche punto. La Sip esita a fornire al pretore Infelisi una documentazione sugli allacciamenti richiesti dai corpi di polizia? Be', dietro queste esitazioni non c'è il ministero dell'Interno: noi abbiamo anzi detto alla Sip che dia pure. alcmagistrato i tutti, gli elementi che necessitano all'inchiesta. Le pressioni sulla società telefonica vengono quindi da altre direzioni. Quanto alle sessanta linee che sarebbero state messe a disposizione della questura, a Milano, anche qui c'è qualcosa di inesatto: le linee allacciate alla questura non erano più d'una ventina, il resto dev'essere servito ad altri corpi di polizia ». Al Viminale, insomma, si ha l'impressione d'un tentativo di addossare a certi settori della P. S. la maggior parte delle responsabilità circa il cosiddetto « spionaggio di Stato », che insieme agli ascolti abusivi dei privati e alle intercettazioni «politiche » compiute dalla banda di detectives che lavoravano per i grandi centri del potere economico-finanziario, è uno dei tre « rami » dello scandalo. Ne nasce naturalmente un moto di difesa, l'impulso a « mettere le carte in tavola». Si fanno perciò delle ammissioni (ecco confermato così che a partire dal 1966 vennero organizzate «centrali d'ascolto» nelle questure d'una dozzina di città italiane), ma nello stesso tempo si lascia intendere che questo era l'uso generale, di cui tutti, magistrati compresi, erano a conoscenza, e che quindi è assurdo assumere come bersaglio la sola polizia. Su questo terreno e da questo nervosismo, la vicenda delle intercettazioni telefoniche potrebbe ricevere un nuovo impulso. E' probabile, chissà, che si stia davvero mirando a colpire la polizia, e questo — come dicono al ministero dell'Interno — « per ragioni politiche sin troppo evidenti ». Verrà dunque deciso di contrattaccare? Rispondere è difficile. In compenso, è facile immaginare quel che di clamoroso potrebbe uscire da una specie di braccio di ferro (a base di « indiscrezioni ») tra i corpi di polizia dello Stato: le dimensioni dello scandalo ne risulterebbero decuplicate. Anche in tv L'altro elemento che lascia aperto ai colpi di scena il decorso de^'affaire, è la presenza del detenuto Tommaso Ponzi detto Tom. Tom Ponzi sarebbe comunque, non foss'altro che per ragioni di mole, una figura dominante nella vicenda delle intercettazioni telefoniche. I suoi centotrenta chili (tenuti agili, dice lui, con la ginnastica e lo judo) basterebbero da soli a farlo spiccare in mezzo agli altri comprimari. Ma il fatto è che Ponzi si staglia sullo sfondo della vicenda per ben altre ragioni che il suo peso eccezionale. Intanto la leggenda dell'in¬ fallibilità professionale (cui ha trovato il modo di dare un contributo persino la televisione di Stato facendone il protagonista « positivo » d'una serie di telefilm), poi lo status sociale (le ville, lo yacht, le fotografie coi potenti), infine una biografia alla quale conviene — dato che il personaggio ha un ruolo da protagonista — dare una scorsa. La giovinezza di Tommaso Ponzi (nato a Pota 52 anni fa) non è stata facile. Impiegato;, rìiprefettura nella' Repubblica di Salò, quindi epuratoci' primi anni del 'dopoguerra io vedono al centro d'una serie di vicende giudiziarie: nel '48 si busca una condanna a diciotto mesi per furto, nel '49 nove mesi per vilipendio delle forze di Liberazione, nel '51 una denuncia per lesioni personali, nel '52 c'è una storia di assegni a vuoto, l'anno dopo una condanna a due mesi per truffa, e più di recente una condanna della pretura di Roma per esercizio abusivo della professione. I "fondi neri" Anni difficili, appunto, e oscuri. Poi, verso la metà degli Anni Cinquanta, Ponzi inizia la sua carriera d'investigatore privato. Non potendo ottenere, a causa dei precedenti penali, la licenza necessaria a tale attività. Ponzi aggira l'ostacolo e la fa chiedere a sua moglie. Le autorità competenti (la prefettura, col parere del questore) la concedono. La notorietà non tarda ad arrivare perché l'uomo è furbo, efficiente e dotato d'un forte senso della pubblicità. Ma i guadagni, tutto sommato, si mantengono modesti. Nel 1964 Ponzi è ancora, sul piano finanziario, a zero o quasi. Neppure dieci anni dopo, la sua fortuna viene valutata attorno ai tre miliardi. Questo solo dato dell'impennata finanziaria dà alla . biografia dell'investigatore un interesse particolare. Ora, a scandalo scoppiato, sappiamo molte cose, i miliardi dei « fondi neri » e il fatto che tanto Ponzi quanto Beneforti avessero tra i propri clienti la presidenza d'un gruppo prestigioso come la Montedison. Ma resta che mettere insieme qualche miliardo in meno di dieci anni non è un'impresa da tutti, come non è da tutti procurarsi le protezioni di cui Ponzi ha goduto in questi anni. C'è un periodo, diciamo all'incirca tra il '69 e il '72, in cui nulla sembra impossibile al nostro investigatore. Ottiene per esempio la cosiddetta « riabilitazione », vale a dire un certificato penale nettato di ogni macchia. Quindi gli danno la licenza d'investigatore, benché a Milano — nel momento in cui si fa l'eccezione per Ponzi — non ne vengano rilasciate da oltre tre anni. Contemporaneamente riesce a spuntarla anche con gli svizzeri, che pure hanno fama di pignoli, ottenendo la licenza per aprire un ufficio a Lugano. Sinché non si giunge a quello che (stando a un'interrogazione parlamentare) è senz'altro fexploit più sbalorditivo: Ponzi riceve dallo Stato un finanziamento, o sovvenzione, per una scuola di preparazione per investiga¬ tori privati frequentata da un paio di centinaia di giovanotti, tutti fascisti notori. Una sola cosa gli va storta, anche se è roba da poco. Tommaso Ponzi vuole diventare cavaliere della Repubblica, e briga coi suoi amici per ottenere la nomina. Ma quando la faccenda è ormai quasi in porto, un signore, a Roma, si oppone: è Angelo Vicari, allora capo della polizia, che deve mettersi a gridare perché alla Repubblica venga risparmiato un cavaliere a dir poco - imbarazzante. Gli amici di Ponzi rinunceranno al tentativo; il cavalierato sfuma; "' Se il personaggio non è af¬ fatto comune, il suo ruolo nella vicenda delle intercettazioni telefoniche lo è anche meno. A guardar bene, lo scandalo ha tre vettori: uno politico (l'iniziativa socialista contro la Guardia di Finanza), il secondo giudiziario (l'inchiesta del pretore Infelisi), il terzo costituito dalle accuse e dalle rivelazioni di Tom Ponzi. Ancora oggi, il binario delle indagini è quello tracciato dall'investigatore. E' lui. quando l'inchiesta Infelisi ha appena toccato qualche pesce piccolo, a tirare in ballo Eugenio Cefis e Beneforti, e con Beneforti un questore, un prefetto, un viceprefetto, insomma il ministero dell'Interno. Lui che farà il nome di Fabbri, ridando velocità alla faccenda Anas-Pontedera-aste truccate. Con preavviso Perché Ponzi parla, e in modo tanto preciso, dando così il via definitivo allo scandalo degli spionaggi telefonici? La domanda è per ora senza risposta, perché questo è uno dei nuclei più foschi di tutto l'« affare ». Certo non è per ingenuità o per incontinenza verbale. Le sue rivelazioni rappresentano, è vero, un momento tattico: grazie ad esse Ponzi guadagna infatti quasi un mese di tempo prima che lo raggiunga il mandato d'arresto, ed è un tempo che gli è prezioso per sistemare le cose negli archivi di Lugano. Ma questa non è la sola ragione. C'è altro. In attesa che l'inchiesta lo riveli, o che luì stesso dia vita a un altro coup-de-théàtre, si può solo tentare una ipotesi generica. Ponzi è un fascista, un esponente del msi legato ad alcuni dei maggiorenti di questo partito, e l'occasione (l'inchiesta sui telefoni controllati) si presta a svilire la democrazia, a una violenta denigrazione del sistema. Egli non se l'è quindi lasciata sfuggire. Ma neppure questo è tutto, se è vero che sul fondale della politica italiana s'intrecciano — come ha detto l'altro ieri l'onorevole Andreotti — «oscure trame -di spionaggio ». Sandro Viola