Verdi suggestivo del "grand-Opera" di Massimo Mila

Verdi suggestivo del "grand-Opera" Verdi suggestivo del "grand-Opera" Inaugurare la bellissima sala del nuovo Regio con una rappresentazione del Don Giovanni — che e un'opera italiana — o con l'Orfeo di Montcverdi, o con L'incoronazione di Poppca, avrebbe significato pone un'ipoteca sull'avvenire del teatro in una direzione d'alto livello di gusto artistico. Oppure si sarebbe potuto avvicinate a uno dei glandi capolavori verdiani un'opera nuova, come aveva fatto la rinata Opera di Vienna, che inauguratasi col Pidelio, com'era giusto, vi aveva l'atto subito seguire la prima esecuzione assoluta della Tempesta di Frank Martin. L'occasione non sarebbe mancata, bastava saperla cogliere: fra due mesi si avrà in Inghilterra la prima esecuzione mondiale della nuova opera di Benjamin Brittcn, Morte a Venezia. Per la fama dell'autore, un'opera simile avrebbe fatto convergere su Torino tutti i riflettori della critica mondiale, e con quel soggetto, collaudato dalla fortuna di un film recente, avrebbe attirato anche il grande pubblico, rendendo un servigio ragguardevole alla musica moderna. Scartate, o piuttosto ignorate queste soluzioni ottimali, la scelta dei Vespri siciliani non è poi così strana e inesplicabile come alcuni pensano. Non è una delle più belle opere di Verdi, d'accordo, ma non è spregevole come certi prodotti degli «anni di galera», che ora è di moda portare alle stelle per una forma di' snobismo alla rovescia. E' un'opera a grande spettacolo, destinata ad una solenne circostanza l'estiva, perciò va benissimo per una cerimonia di «consacrazione della casa», come beelhovenianamentc si potrebbe chiamare l'inaugurazione d'un teatro. Vi è incluso un fastoso spettacolo di balletto; dura un'eternità; mancava sulle scene di Torino da quasi vent'anni. Insomma, quel che ci vuole per uno spettacolo di gala. Lo spettacolo Sul piano dell'interesse storico e stilistico l'opera è molto importante. Ci mostra Verdi all'indomani dei trionfali risultati conseguiti con Rigoletto, Trovatore e Traviata, nella situazione pericolosa dell'artista che ha finalmente sfondato, e che si trova esposto alla tentazione di continuare allo stesso modo, ripetendo la formula che gli ha dato il successo. Invece Verdi niente: non cade nella trappola, e proprio coi Vespri siciliani inizia faticosamente un nuovo corso. Un nuovo corso in capo al quale ci saranno le riuscite trionfali del Bullo in maschera, del Don Carlo, dell'Aida c di Otello e Falstaff, Per il momento, certo, è un arduo travaglio di ricerca e di studio sulle vie d'un dramma non più schematico, non più «univoco», come ha detto bene il Casini, partecipante al convegno di studi verdiani che si accompagna a questo nostro avvenimento teatrale, bensì d'un dramma shakespearianamente completo c polivalente. Perciò I Vespri siciliani non sono un'opera cosi bella come Rigoletto, Trovatore o Traviata, ma sono un'opera che sta un gradino più in su: vi si opera una modulazione di guslo. Stabiliti questi meriti dell'opera sul piano del così detlo «interessante», resta poi che anche sul piano estetico della riuscita artistica I Vespri siciliani non sono affatto da buttar via. L'importante è di saperli prendere per il loro verso c di non chiedere loro d'essere quel che non vogliono e non possono essere. I Vespri siciliani non sono un ' dramma d'amore e non sono nemmeno un'opera patriottica. Sono un dramma dell'amor paterno: padic c figlio che si ritrovano nemici da una parte e dall'altra della barricala. L'opera rientra nella prediletta tematica verdiana della solitudine del soglio: la ragion di Stato che condanna il potente alla perdita degli affetti privati. Ogni altra interpretazione dell'opera è sbagliata. I Vespri siciliani sono una di quelle opeic sghembe, dove il protagonista non va cercato dove parrebbe indicarlo la distribuzione delle parli vocali. Come nel Trovatore protagonista non è Manrico, bensì Azttcena, cosi nei Vespri protagonista è Montone, il governatore francese di Palermo, contro cui muove, tra gli insoni siciliani, suo figlio Arrigo. Di questa posizione privilegia¬ ttcpsgehGCpSittpppdepdtsarlpz ta ha tratto buon parlilo il baritono Licinio Monlcfusco, che con ottima emissione vocale ha pure colorito sobriamente il personaggio con quei tratti di eleganza signorile e spavalda che erano fortissimi — a quanto ci ha detto nel convegno Leon Guichard — nella tragedia di Casimir Dclavignc, ma di cui sopravvive qualcosa nel libretto di Scribe, e che Verdi ha colto con impreveduta finezza di recitativi. Bella voce Bravissima, e in qualche tratto veramente commovente è apparsa Raina Kabaivanska nella parte di Elena, lauto per meriti propriamente vocali quanto per dignità e appropriatezza scenica. Il giovane siciliano Arrigo era Gianni Raimondi, tenore per il quale la mia stima non è di oggi né di ieri. I suoi detrattori — ne ha — dicono che è soltanto una bella voce e basta. Intanto, dici niente, con certi tenori che ci tocca sopportare ed accettare, e magari anche elogiare, in mancanza di meglio. E poi non e vero: pronuncia bene, ha l'aria di capire quello che dice, in scena non sta male, non compie gesti ridicoli con le braccia, si muove con una certa prontezza c vivacità di scatti. Cosa si vuole di più? Il resto, se mai, dev'essere opera del direttore e della regìa. II cantante è soltanto uno strumento nelle loro mani e lo strumento è buono. Non so se alla prova generale abbia cantato tutto a pieno regime, come ha certamente fatto nella bella romanza «Giorno di pianto». Bonaldo Giaiotti e il tipo di basso, di voce rotonda, piena, che par l'atto apposta per il personaggio retorico e «univoco» di Precida: c'era da temere che volesse strafare, abusando dei mezzi di cui l'ha dotato madre natura; invece — sia merito suo o di chi ha impostalo c guidalo lo spettacolo — ha mantenuto il personaggio entro limiti accettabili di buon gusto. Se si aggiunge che le cosiddette parli minori andavano bene (erano sostenute da Alessandro Cassis, Angelo Nosotti, Anna Di Stasio, Giampaolo Corradi, Augusto Vicentini, Franco Ventriglia o Ottorino Begali); che il maestro Fulvio Vernizzi, un «verdiano» di esperienza e di origine, ha raccolto degnamente l'eredità di Vittorio Gui, realizzando con devozione le intenzioni interpretative già chiaramente indicate dall'illustre Maestro in sede di concertazione, si può concluderà senz'altro che la qualità dell'esecuzione musicale non e stata da meno dell'importanza dcll'avvenimenlo. Anche il coro, istruito dal maestro Francesco Prestiti, si è giovato d'un lavoro di preparazione indubbiamente lungo e accurato: questo benedetto coro del Regio che, tulto sommato, non se la cava poi male quando canta tutto unito, e invece ci lascia perplessi quando canta — come spesso è necessario — per sessi divisi. Un'attrattiva non indifferente dello spettacolo sono stati i balletti, affidati alla coreografia del famoso, anzi leggendario Serge Lifar. E di tatti si sono visti dei balletti d'alta classe e' di levatura internazionale, dove ha primeggiato Natalia Makarova, una di quelle danzatrici il cui corpo è poesia dalla testa ai piedi. Ma attorno a lei, bravissimi, Attilio Labis e Flavio Bennati, la nostra Loredana Fumo, che oltre a prendere parte al ballcttone delle Quattro stagioni nel terz'atto e protagonista graziosissima della Tarantella nel secondo, e Leda Lojodicc, Elisabetta Terabust e Woytek Lowsky, che a me, profano, ha fatto grande impressione. I ballerini Il balletto ci introduce all'aspetto visivo e registico dello spettacolo, affidato alle scene di Aligi Sassu e alla regìa di Maria Callas, affiancata da Giuseppe Di Stefano, in qualità di aiuto, dall'italo-americano Fabrizio Melano. Le scene e il siparietto sono del buon Sassu, coi suoi famosi colori «favolosi» e un poco deliranti; non per questo sfuggono ai doveri teatrali d'inquadramento dell'azione, non si prendono libertà indébite e, specialmente negli interni, raggiungono lo scopo. I costumi sono pure opera di Sassu, e l'assortimento cromatico con le scene è garantito. La regìa, questa famosa regìa di Maria Callas e C, che ha rischiato di' méttere in crisi lo spettacolo, privandolo del direttore d'orchestra designato, e fu gran fortuna che si trovasse poi un artista «au dessus» di tutte le «mèlées», come Vittorio Gui, disposto a prendere in pugno le redini dello spetlaeolo. Proprio a proposito dei Vespri siciliani Verdi ebbe a scrivere: «Les debuts sont dangereux et incertains». Può essere un criterio ingeneroso e se tutti la pensassero così, non si sa come i giovani potrebbero iniziare la carriera artistica. Inoltre Verdi si riferiva a cantanti. Ma la dura affermazione si applica anche benissimo a cantanti che debuttino nella regìa; e in genere a tulli coloro che considerano la regìa come un'impresa facile e aperta a chiunque abbia esperienza di teatro. La regìa di questi Vespri è comune e convenzionale, con alcuni mancamenti ed alcuni grossi errori. Dicono che Maria Callas abbia accuratamente insegnato, uno per uno, agli artisti come debbano pronunciare le loro parole, alle comparse come debbano stare in scena. Possiamo crederlo, soprattutto per quanto riguarda gli artisti di canto: è vero che pronunciano bene e stanno discretamente in scena, e non abbiamo difficoltà a credere che l'enorme esperienza, e soprattutto l'enorme vocazione teatrale dell'insigne cantante-regista abbia loro grandemente giovato. Ma per quello che riguarda le masse, l'attuazione del dramma collettiy* sulla scena, ohimè! non c'è da rallegrarsi. I due momenti culminanti dell'azione sono completamente falliti. 11 tentato assassinio del governatore nel corso del ballo mascheralo avviene in una staticità totale della scena, con tutti i cortigiani, che dovrebbero partecipare a una festa danzante, schierati sul fondo della scena, schiene rivolte al pubblico, che pare assistano a una funzione religiosa, leggendo nel libro da messa, anziché dar vita all'animazione della festa. Siparietto Ma l'arbitrio imperdonabile è quello commesso nella chiusa del second'atto. Qui Scribe e Verdi avevano preparato uno di quei contrasti tipici del «grandOpera», che il 15 giugno 1855 lasciò Parigi a bocca aperta- e produsse nel pubblico un entusiasmo trionfale. Si traila di questo: mentre i Siciliani, cui i Francesi hanno sottratto le spose, manifestano la loro rabbia e il loro avvilimento in un coro a voci ione, affrante e minaccio¬ se, ad un tratto — cito la didascalia: «In mezzo alle grida tumultuose che s'innalzano, una musica graziosa ed allegra si fa sentire. 1 Siciliani corrono sulla sponda del mare e veggono avanzursì una barca splendidamente adorna, che costeggia la riva. De Vaudemont, uffizioli francesi e nobili dame francesi e siciliane, elegantemente abbigliate, siedono in essa. I battellieri indossano ricche livree: dame adagiale su molli cuscini, alcune tengono alle mani chitarre, altre pigliali rinfreschi, ecc.». Cioè la scena rende evidente l'insulto recato dalla felicità dei vincitori alla miseria degli oppressi. Mi piace aggiungere quello che scrisse di questo passo il compianto Gabriele Baldini: « La situazione sembra promettere chi sa che. Ma si tratta appena d'una didascalia, e la musica, a questo punto, mettendo a contrasto il coro spezzato con una graziosa barcarola, non fa che rilevare, per l'appunto, l'ufficio appena illustrativo della didascalia. L'effetto che tanto commosse i primi spettatori — non c'è dubbio — dovette essere tutto inerito della inessa in scena: si tratta, insomma, d'una situazione risolta dalla scenografia, dai costumi, dai movimenti delle masse e da un sapiente impiego delle i — e e luci...: un effetto al quale la musica e le parole fanno appena da accompagnamento ». Bene, in questo spettacolo di gala, la barca non c'è. Appena risuona nell'aria il fa diesis con cui i soprani danno il via alla barcarola, il coro dei Siciliani in scena fa dietro front, per osservare, sull'azzurro, mare di Sicilia qualche cosà che non apparirà mai, e volta al pubblico una fila di sederi, come avviene sui campi di calcio, quando una squadra fa barriera contro un calcio di punizione dai limiti dell'area di rigore. La barcarola Non ci si venga a dire che si è voluto riportare l'opera dentro un binario di sobrietà. I Vespri siciliani sono un «grand Opera», rappresenlato in occa sionc della Esposizione Universale di Parigi del 1855. Qui rappresentiamo per l'inaugurazione solennissima d'un nuovo teatro, con partecipazione del Presidente della Repubblica e della sua graziosissima consorte. E' questa l'occasione di mettersi in vena d'economie spartane? E non ci si venga a dire che c'erano difficoltà tecniche. La cosa si è fatta benissimo sul mediocre palcoscenico del Nuovo. Dovremmo davvero intonare anche noi il solito, frusto ritornello del « teatro da otto miliardi », se saltasse fuori che in questo teatro non si può far passare una barca. Se domani vorranno fare 11 Vascello fantasmi!, allora come faranno? L'Olandese volante lo faranno arrivare a piedi? Si presenterà a casa di Dalando e dirà: «Passavo di qui: ho pensato di fare una visitino ». La decurtazione di questo effetto, essenziale nel l'estetica del « grand-Opera » in cui l'opera è stata concepita, è una vergogna, che non ci si spiega come abbia potuto accadere, altro che con l'ignoranza generale che regna nella ge stione del teatro. Con un eventuale criterio di sobiieià registica contrasta poi la pacchianeria di accendere le luci di sala a giorno durante il canto eroico che costituisce il finale terzo. Sorvoliamo su altri particolari incongrui della messa in scena. Sono « maladresses » dell'inesperienza, che bastano purtroppo a rendere sfuocato uno spettacolo, per tanti versi degno, anche dal punto di vista registico e scenografico, del massimo rispetto, e segnato da ottime riuscite, e soprattutto da un livello molto allo e degno di recitazione. Il pubblico, non interamente persuaso della messa in scena e dei colori sgargianti impiegati nei costumi, ha decretato un vivo successo ai cantanti (e ai danzatori), con frequenti applausi a scena apena ai quattro protagonisti vocali. Massimo Mila mdsatarTavola rotonda .sul «Vespri» — Si terrà oggi alle 16,30 in Palazzo Madama con i cooperatori dello spettacolo. Interverranno Maria Callas, Di Stefano, Serge Ligar, Aligi Sassu e Vernizzi.

Luoghi citati: Inghilterra, Montone, Parigi, Sicilia, Torino, Venezia, Vienna