Nostre sorelle carbonare

Nostre sorelle carbonare BREVE VIAGGIO TRA LE FEMMINISTE ITALIANE Nostre sorelle carbonare Il movimento, importato dal mondo anglosassone, ha tre anni e sta crescendo: una ventina di gruppi conduce la battaglia contro l'imperialismo maschile "senza più ambiguità o vittimismi da gineceo" - Nei circoli dai nomi polemici o strani, senza burocrazia né tessere, prevale un'atmosfera combattiva da società segreta - Ma le militanti si trovano d'accordo solo nella rivolta; divise da forti dissensi teorici e pratici, inclinano al frazionismo (Dal nostro inviato speciale) Milano, aprile. « La nostra attività? parlare. Ci riuniamo una volta alla settimana, e parliamo insieme ». Di cosa? « Di tutto. Noi stesse, di cui sappiamo poco o niente: siamo personaggi inventati dagli uomini. Il mondo, che dobbiamo imparare a guardare con occhi nostri, liberandoci dalle categorie astratte della cultura maschile. I rapporti tra noi, per superare le rivalità e l'inimicizia cui il mondo virile ci vorrebbe condannate. Le nostre esperienze personali, per ricreare un nuovo modo di vederle. Ci analizziamo, tentiamo di prendere coscienza di noi stesse ». Questo gruppo femminista si chiama infatti « Autocoscienza di via CaminadeUa ». Una strada della vecchia Milano popolare; uno stabile grigio e cadente, ballatoi sul cortile e cartelli che ammoniscono « E' vietalo lavare sul pianerottolo »; una stanza scialbata da studentessa, molti libri, il manifesto di una mostra di Burri alla parete, troppo fumo di sigarette, torrone da mangiucchiare con nervosismo. In jeans e maglioni, sedute sul pavimento in posizione yoga o distese sul letto, le facce bianche di pallore urbano e di fervore intellettuale, le universitarie del gruppo parlano tra loro: come loro, quasi tutto il movimento femminista milanese, è organizzato in piccoli nuclei di «autocoscienza» che reinventano la psicoanalìsi di gruppo, ma fatta dalle donne e per le donne. Adesso — illustrano — hanno deciso di affrontare insieme l'analisi della sessualità: durante le riunioni ciascuna descrive tutte le proprie esperienze e fantasie sessuali, mentre le altre avanzano domande molto precise e prendono appunti; alla fine confronteranno i risultati con lo studio di Freud e di Lacan. Ma perché esaminare innanzi tutto proprio le esperienze sessuali? « E' il punto base », spiega una. « Questa società è-omosessuale: il fatto che più determina la situazione della donna è di non possedere neanche il proprio corpo, né individualmente né socialmente ». « Se dai per scontato che la sessualità femminile sia passività sei fritta », dice un'altra. « di autonomia non si parla più: controlliamo invece un po' se è vera, questa storia della passività ». D'accordo, ammettono, le donne hanno sempre parlato tra loro di sesso: « Ma il nostro atteggiamento oggi è diverso. Niente complicità, malizie, compiacimenti, ambiguità o vittimismi da gineceo: quando la mia storia sessuale non è più una fac- cenda intima e personale ma un problema collettivo da studiare, il discorso si fa scientifico. Sinora parlare di sé veniva considerato futile, indiscreto: addirittura maleducato. Le " cose serie " di cui discutere erano questioni universali, ideologie, teoria, politica. La vita reale, e quello che realmente ti capita nella vita, diventavano confidenze .da donnette, ciarle, debolézze. Be', noi queste " chiacchiere tipicamente femminili " le' riconosciamo importanti, anzi essenziali ». Nuova sfida Essere donne è bello, voler imitare gli uomini è una ambizione da scimmie servili, non bisogna vergognarsi di sé né rinnegarsi: l'orgogliosa rivalutazione della femminilità distingue il movimento femminista d'oggi da quelli di ieri, e non è la sola novità. Il nuovo femminismo si è manifestato in Italia ormai da più di tre anni. Nato su ispirazione degli analoghi movimenti americano o inglese, rappresen¬ ta un fenomeno del tutto inedito. Nella società italiana patriarcale, mediterranea, cattolica, in cui le donne hanno sempre preso ordini dagli uomini e non solo il padre o il marito ma persino i fratelli e anche i politici o i sacerdoti si attribuiscono, insieme al dovere di proteggerle, il diritto di stabilire cosa debbano fare o pensare e per chi debbanovotare, ^ il nuovo femminù smo introduce l'idea della: completa autonomia: possia^ mo decidere da sole, non abbiamo bisogno degli uomini come intermediari né come interpreti, e tanto meno come padroni. Nel mercato del lavoro italiano, che negli ultimi anni ha visto diminuire l'occupazione femminile di un milione e 450.000 unità, alcune correnti del neofemminismo avanzano rivendicazioni come quella del salario domestico che compensi il lavoro delle casalinghe, pongono in discussione il concetto dell'emancipazione ottenuta attraverso l'indipendenza economica data dal lavoro: non vogliamo —- dicono — una donna pederasta che pretenda di assumere il ruolo maschile e quello femminile insieme; non vogliamo un progresso che trasferisca le donne dall'acquaio alla catena di montaggio o alla macchina per scrìvere, ma un mutamento che le liberi da entrambi i destini. Una trappola Nella contemporanea - atmosferadi'Xutta superficiale permissività, alcuni gruppi neòferrimìnisti giudicano la libertà sessuale « soltanto una trappola per indurre le donne a prostituirsi gratis », rifiutano « il concetto di sessualità imposto dalla cultura maschile » e a volte gli stessi rapporti eterosessuali, rivendicano il diritto di scelta nell'amore e nella maternità. Estremismi, dilemmi, utopie, intolleranze, astrazioni e polemiche sono tipici di ogni movimento intellettuale borghese, specialmente agli inizi. Il nuovo femminismo ha il merito di discutere idee nuove, e il suo sviluppo è certo il sintomo di i e una rivolta più vasta: la rivolta delle donne contro il disagio della propria condizione, la loro esasperazione e insoddisfazione, la fine della rassegnata obbedienza femminile. Non sono in molti ad ammetterlo. Tre anni dopo, le femministe restano poco conosciute o male intese, ridicolizzate soprattutto dagli uomini, giudicate con sdegnosa ironia dalle associazioni femminili legate ai partiti di mdssà, considerate con imbarazzo e anche infastidita impazienza dalle rare donne «arrivate», ignorate dalle forze politiche tranne che dai radicali e dai socialisti, isolate per propria volontà e per arroganza altrui. Eppure, in tre anni, il movimento è cresciuto. Il numero non esattamente calcolabile delle militanti, pur aumentato, non supera le poche migliaia: ma l'interesse delle donne verso il femminismo è diventato largo e appassionato, testimoniato dalle molte presenze ai dibattiti e alle manifestazioni pubbliche, dalla ricerca costante di contatti e informazioni, dalla nuova curiosità, dalle discussioni private. E' un interesse visibile anche nella società: un gruppo femminista riesce a trovare un editore che finanzi la pubblicazione del mensile Effe, dedicato al grande pubblico femminile; si girano film « femministi », magari con Marisa Berenson; i giornali femminili e no si occupano del movimento e dei problemi che esso solleva. «La. mercificazione è già cominciata», si rammaricano le militanti. I gruppi femministi si moltiplicano: nel 1970 erano essenzialmente tré. oggi sono più di venti. Portano a volte denominazioni immaginose o pedanti: un gruppo di Napoli si è vendicativamente battezzato « Le Nemesiache » o « Nemesiadi »; un gruppo di Milano si chiama « Anabasi », ad evocare « la grande risalita »; il « Cerchio Spezzato », gruppo di Trento, prende nome dal simbolo biologico femminile, appunto un cerchio completato da una crocetta, e dalla aspirazione a spezzarlo, simbolicamente infrangendo il pregiudizio freudiano secondo cui il destino della donna è la sua condizione biologica. Tra "ragazze" Più spesso i gruppi si definiscono semplicemente « movimento », « collettivo », « lotta femminista », « lotta femminile ». In nessun caso esistono tessere, contributi annuali o strutture organizzative tradizionali: i veicoli di comunicazione e di contatto sono gli incontri personali, la posta, il telefono, volantini o pubblicazioni ciclostilate, qualche libro o numero unico di giornali, ogni tanto un convegno unitario come quello convocato tra breve a Bologna. Tutte si chiamano per nome, si apostrofano nelle riunioni con i termini « ragazze » o « compagne »; tutte si danno del tu. Il clima che regna in alcuni gruppi è a volte un poco clandestino, da società segreta: vi si ritrovano il fervore, la complicità, l'intolleranza di interventi estranei, la superbia da élite che ca¬ ratterizzavano nel 1968 il movimento studentesco. Ma tra le femministe c'è anche una nuova solidarietà che vuol cancellare le tradizionali rivalità e competizioni femminili: si aiutano reciprocamente a trovare lavoro, si ospitano a vicenda, si prestano vestiti, automobili e soldi, organizzano collette per le più povere, si occupano dei bambini per consentire alle più affaccendate qualche ora di libertà. In nome della « sorellanza », brutta parola tradotta dall'inglese « sisterhood » che non sono ancora riuscite a sostituire, tutte sono impegnate a non parlare mai male all'esterno (cioè con gli uomini, con le donne « collaborazioniste » o con i giornalisti) delle donne in genere o di gruppi diversi dal proprio. Non sempre ce la fanno. I gruppi risultano infatti divisi da forti dissensi teorici e pratici: alcuni sono di osservanza marxiana, altri no; alcuni propugnano l'azione, altri trovano invece più utile la riflessione e l'analisi. Come la democrazia cristiana e il partito socialista, il movimento femminista è contraddistinto da un grande frazionismo: i gruppi si scindono e proliferano in altri gruppi, correnti e amicizie si formano e dissolvono, le militanti fluttuano costantemente da un nucleo all'altro. Non sarebbe più ragionevole l'unità? E come mai sembra tanto difficile raggiungerla? « Molte di noi vengono dai partiti o dai gruppuscoli », spiega Lara Foletti, del movimento femminista romano, « siamo ancora legate ai condizionamenti, ai metodi e alla competitività politica degli uomini. Dobbiamo inventarci organizzazioni mai esistite prima, che escludano gli inconvenienti di quelle maschili: gerarchia, autoritarismo, dittature personali. Non è tanto semplice ». Riconosce Virginia Visani, del Fronte di liberazione femminile di Milano: « Quando in un gruppo nascono dissensi, il gruppo si spacca in due: l'autonomia appena scoperta sembra rendere intollerabili anche compromessi modesti o magari necessari. Quando una non riesce a superare la sua ansia di primato o mania di leadership e ad accettare le decisioni del collettivo, capita che se ne vada a capeggiare un altro gruppo: in qualche caso, superare il masochismo femmineo può purtroppo voler dire approdare al sadismo virile ». Sostiene Adele Cambria, redattrice del prossimo Effe: « Il frazionismo non è un segno di sterilità, ma di fecondità. Se avessimo già le idee chiare tutto sarebbe fatto, saremmo già al potere. Qualsiasi rivolta, all'inizio, è un balbettio. Poi s'impara ». Ma s'impara da sole. Il nuovo femminismo, come vedremo, è l'unico movimento, iniziativa od organizzazione di cui, per la prima volta in Italia, gli uomini non abbiano il dominio: e da cui risultino anzi quasi totalmente esclusi. Lietta Tornabuonì Napoli. Durante il convegno femminista del marzo scorso, dedicato al salario delle casalinghe (Foto De Donato)

Persone citate: Adele Cambria, Burri, Foto De Donato, Freud, Lacan, Lara Foletti, Lietta, Marisa Berenson, Visani

Luoghi citati: Bologna, Italia, Milano, Napoli