La fisica povera di Amaldi di Andrea Barbato

La fisica povera di Amaldi I PROBLEMI DELLA RICERCA SCIENTIFICA IN ITALIA La fisica povera di Amaldi Dice l'ex compagno di Fermi: "In alcuni settori, come le alte energie, siamo ancora in ottima posizione, ma ho paura che scivoleremo verso il basso" Università "ipertrofiche, assediate" producono nelle peggiori condizioni studiosi senza impiego - La mancanza di leggi aggiornate e le inerzie burocratiche non consentono d'impiegare neppure i miliardi che ci sono - Non si può applicare la demagogia alla ricerca: "Tutti uguali vuol dire tutti a zero" (Dal nostro inviato speciale) Roma, aprile. Le mura scrostate delle Facoltà sembrano pareti di carta, sorrette soltanto da un sipario compatto di manifesti di protesta; fiumi di macchine premono agli ingressi e si contendono ogni spazio anche nei viali interni; nelle rare oasi d'erbetta ingiallita gli studenti cercano d'allungarsi al sole, come hanno visto fare dai loro più fortunati colleghi nei campuses americani. L'Università romana esplode nella strettezza e nella rabbia, la scalata all'educazione' e alla scienza sembra una lotta disperata fra aule ricolme e professori distratti o scoraggiati. Che faranno? « Il primo problema è questo — conferma Edoardo Arnaldi —. Un'Università colossale, ipertrofica, con 140 mila studenti, è condannata a morte. Tutti vogliono venire a studiare a Roma, o a Milano, o a Torino. Ed è comprensibile, quando gli istituti delle città di provincia o non esistono affatto o sono spesso incapaci di fornire un buon insegnamento. Ma noi, qui, non riusciamo 'a reggerò l'urto. Nella mia Facoltà, la Fisica, ci sono 1300 studenti, più di 300 per ogni corso. E alla fine di ogni anno, diamo 120 lauree. Che senso ha produrre 120 fisici all'anno, solo a Roma, e cinque volte tanto nel resto d'Italia? Dove li faremo lavorare? « Non ci sono neppure — spiega — abbastanza macchine, materiali, né banconi di laboratorio per tenerli in addestramento, figuriamoci per farli partecipare a un serio programma di ricerche. Noi cerchiamo di ammonirli e perfino di scoraggiarli, ma loro rispondono che altrove, a Medicina o a Legge, è anche peggio: e il guaio è che hanno ragione ». Edoardo Arnaldi è ancora teso e nervoso quando torna nel suo ufficio universitario. « Chissà se potrà fare lezione, oggi », aveva detto rassegnata la sua segretaria. Gli studenti chiedono il sorteggio degli assistenti e l'abolizione delle graduatorie di voto, e Arnaldi scuote la testa senza commentare: si capisce che disapprova, ma non riesce a dare ogni colpa agli studenti. « Quando un'Università è così assediata — dice —, i giovani ispirano sentimenti di pena, non di rancore. Li vediamo studiare in mezzo a mille difficoltà, e sappiamo che le possibilità per chi arriverà alla laurea sono chiuse già da oggi. Che possiamo suggerire? Non certo il numero chiuso: sarebbe la soluzione peggiore, insieme impossibile e sbagliata. Dovremmo ricorrere a dosature arbitrarie, e certamente sarebbero privilegiati i giovani che vengono dai ceti più ricchi. Da anni chiediamo alméno nuove aule e nuovi istituti, ma senza risultato ». E aggiunge: «La storia della cosiddetta seconda Università romana è quasi una farsa: i progetti ingialliscono, sono ormai sbagliati, ma non è stata ancora rimossa neppure una zolla di terra. Dovremmo credere nella riforma? Io ho un'opinione particolare. Penso che la riforma verso la quale siamo avviati sia pessima, e cambierà poco o nulla; ma agli studenti e ai docenti che scioperano contro la riforma, dico: prendiamola per quello che è, teniamocela e ricominciamo a strillare il giorno dopo. Non si riuscirà mai ad ottenere tutto e subito. Se avessimo accettato tutte le leggi e le riforme parziali e sbagliate che sono state proposte in questi anni, oggi saremmo qualche passo più avanti, enesr suno ci impedirebbe di protestare con la stessa forza. Ma mi dicono che sono un illuso, o un conservatore ». Come artigiani Con questo punto di partenza, qual è la sorte della ricerca? Alle pareti della stanza dì Arnaldi, non mancano le immagini che ci si attende di trovare, le foto di Enrico Fermi e delle ormai storiche stanzette dove quasi quarant'anni fa il «gruppo di via Panisperna» , di cui Arnaldi era uno dei protagonisti, riuscì a provocare la radioattività artificiale bombardando gli atomi dell'uranio con i neutroni, e usando come « filtro » per rallentare i neutroni l'acqua della vasca dei pesci rossi dell'Istituto di fisica. « La ricerca » dice Arnaldi pensieroso, consapevole di dire cose impopolari « è come un'arte:. non si diventa pittori per concorso o per decreto dello Stato. E non è una carriera impiegatizia. Per questo io mi scoraggio quando sento parlare di diritto alla ricerca. Capisco cosa si vuole dire, e cioè che si devono creare per tutti le condizioni di partenza, e sono d'accordo. Ma da quel momento in poi fissare dei diritti e delle regole è pericoloso ». Allora, non rimane che contare sul talento indivi- duale? E non è vero che la ricerca sia in crisi? « La crisi esiste, ed è profonda. Non in tutti i campi, s'intende. Ci sono rami della scienza dove siamo ancora in ottima posizione. Nella fìsica delle alte energie, per esempio, o nella fisica dello stato solido, la nostra grande tradizione pesa ancora, e riusciamo ad allevare scienziati, competenti e non provinciaii. L'ambiente scientifico è un fattore importante, e in Italia ci sono alcune ottime Università. Ma non basta, e anzi i nostri ritardi nascono proprio dalle leggi e dalle abitudini che circondano il mondo della ricerca. « Un organo come il Consiglio Nazionale delle Ricerche non manca di denaro, ma è asfissiato da problemi interni. C'è una burocrazia che ne rende quasi impossibile il funzionamento, e' che mi fa usare senza timore la parola sabotaggio. I comitati scientifici si riuniscono, prendono decisioni, e non accade poi più nulla, pezzi di carta, lettere morte. Quando mi laureai nel 1931 andai a chiedere un posto al Cnr e mi sentii rispondere che non c'era ancora uno stato giuridico per i ricercatori, ma mancava poco, e poi avrebbero potuto assumermi. Ebbene, lo stato giuridico non esiste ancora. Ci sono dei ricercatori con contratti speciali, ma chi li assume deve avere coraggio, andare contro le regole, rischiare d'essere magari un giorno messo sotto accusa. Chi comincia una ricerca non sa mai di quale somma potrà disporre, non può fare progetti lunghi, teme ogni giorno di dovere spegnere le luci del laboratorio e mettersi ad aspettare. Eppure, il Cnr distribuisce ogni anno un'ottantina di miliardi... ». Non emigrano Non sembra molto, è una percentuale del bilancio che ci mette molto bassi in una classifica delle nazioni evolute. « Sì » risponde Arnaldi. « Ma non è neppure poco, se si calcola che le ricerche spaziali sono conteggiate a parte. Certo, non si può rispondere a tutte le richieste, ma forse non sarebbe neppure saggio. Il problema è di uomini: c'è una lotta sindacale molto severa, per chiedere una legge che fìssi la carriera dei ricercatori, ma è una lotta spesso sterile. Solo il due per cento dei laureati ricercatori viene assunto dall'industria privata, e dallo Stato addirittura nessuno, siamo a zero. L'emigrazione dei cervelli? E' un male del passato, ma solo perché adesso stiamo tutti peggio. Emigrare è diventato difficile: succede che le Università americane si chiudono davanti agli scienziati tedeschi o inglesi, e i giovani italiani non riescono ad andare più in Germania o in Inghilterra. Qualche volta ci accade di rimpiangere i tempi recenti in cui ci lamentavamo perché i nostri laureati ci lasciavano ». Ci sembra che Arnaldi veda la scienza e la ricerca circondate e assalite da una folla che preme con giustificabile ansia alle porte dei laboratori, rendendo imposi sibile l'insegnamento e il prò- gresso. « Temo proprio che andremo all'indietro, e che scivoleremo dalle alte posizioni in cui ancora siamo, verso il basso. C'è una vera crisi, sia pure per una serie di ottimi motivi. Chi protesta ha ragione, ma non può evitare che il risultato sia la stasi. Vuole un esempio di come sia paralizzante il giusto diritto di tutti? Negli armi scorsi, il. Cnr.riusciva a dare delle borse di studio ai laureati in attesa di un posto in un laboratorio; adesso però i comitati dicono che non si possono fare scelte discriminatorie, e che bisogna dare un posto a tut¬ ti oppure sopprimere questi aiuti parziali. « Il principio è giusto, ma il risultato è che le borse di studio per l'addestramento dei ricercatori stanno per scomparire. Tutti uguali, tutti a zero. Eppure, l'entusiasmo c'è sempre, come dopo la guerra, quando tutti correvano qui a studiare fisica: è un interesse che conforta, ma che è inevitabilmente accompagnato dall'allargamento dei quadri, dalla generalizzazione della ricerca. Noi stessi non sappiamo come uscire da questa contraddizione ». L'anti-fisica Come in via Panisperna, quando i neutroni rallentati e gli atomi bombardati nella vasca del giardino aprivano l'era atomica, Arnaldi crede ancora nel futuro della « sua » scienza. « C'è stata in questi ultimi tempi un po' di anti-fisica, forse come una reazione naturale, perché si era esagerato o perché si era corso troppo. Ma la fisica è ancora la scienza destinata in avvenire ad aprire più strade nuove. Per questo il timore di restare indietro ci riguarda tutti. La paralisi di cui parlavo si vede di più qui da noi, nella fìsica, perché eravamo molto avanti; dove le cose sono sempre andate male, :1 ritardo o l'arresto si notano meno. L'assedio degli studenti, dei laureati e dei ricercatori senza laboratorio si è fatto insostenibile, specialmente perché è accompagnato da una burocrazia pessima, senza coraggio, che ignora tutto dei problemi della scienza». Ma non basta. Arnaldi incalza: « Qui all'Università, poi, c'è la lotta fra i giovani e gli anziani, i cosiddetti baroni: questi ultimi vogliono fermare le riforme, e i giovani vogliono prendere più potere. Il risultato anche qui è l'inerzia, due forze che si annullano. Io sono un professore all'antica, è tardi per scendere dalla cattedra, e ho passato anch'io i miei momenti difficili. Ma non ho mai smesso di dire agli studenti che bisogna avere le idee chiare prima di domandare più potere. Altrimenti,, potrebbero anche riuscire a fare peggio di noi: è difficile, ma non impossibile ». Andrea Barbato Frascati. Sala di controllo in un laboratorio del CNEN, destinato a ricerche di alta fisica atomica (Foto Team)