Cremona

Cremona FRA I PITTORI Cremona « Non espongo più da quattro anni. La civiltà della pittura cui appartengo, nella quale sono cresciuto, è sparita. Non espongo per via di un certo scetticismo da cui sono preso». Italo Cremona sorride leggermente, la cenno di no con la testa. Dice d'essere malato, e lo è. « Mi sono ridotto alla scrivania. Scrivo ». Il suo volume sul Liberty, stampato qualche anno fa, si legge benissimo, e nel '68 ha pubblicato anche un romanzo, La coda della cometa. « Dipingere? E' passata, è passata ». Ancora un sorriso. A questi dinieghi non ci credo. Troppo sottile ironia c'è nelle scure c brillanti pupille di Cremona. « Sono nato nel 1905. Si è giovani e interessati alle cose in un periodo solo della propria storia. Appartengo alla generazione che ha subito la frattura della guerra ». Crede alle generazioni? gli domando. « Si e no. Certuni, per uno scarto di tre o quattro anni sono stali o non sono slati qualcosa ». Poi insiste: « Sono vecchio ». * * Eppure la pittura di Italo Cremona non è per nulla vecchia. Al contrario, è pronta per essere riportata al fuoco della ribalta col fervore di un'ultima scoperta, dell'ultima modernità. Salite all'ultimo piano i.Jla Galleria civica di Arte moderna, a Torino: ci troverete una tela di non grandi dimensioni. Una finestra chiusa, il muro d'un palazzo frontalmente ripreso dal pennello. Sopra la finestra chiusa, una aperta: una ragazza è china all'interno. Uno spezzone di casamento, inquadrato con geometrica esattezza: una realtà che diventa, come riflessa in un'acqua immobile, il doppio dì se stessa, tanto i suoi contorni sono marcati e netti. Su tutto, il sole estivo di Torino: una luce gialla che mette in rilievo le ombre nere. Si parla di nuovo di « realismo »; i realisti americani hanno passato l'Atlantico e molti li prendono ad esempio: ebbene, Italo Cremona ha dipinto quadri, fin dall'anteguerra, da mettere in parallelo con quelli di Edward Hopper. « Hopper. Ha ragione. Il palazzo che ho dipinto sta in via Po. Avevo li il mio studio. Mi hanno detto poi che quella ragazza che si vede all'interno è moria sotto un bombardamento. Non la conoscevo ». Penso tra me che solo Gadda può perdersi in tante precisazioni, e preoccuparsi se quel personaggio che dice « boh » in una sua pagina ha poi avuto o non avuto l'asiatica l'anno tale o il talaltro Cremona prosegue: « Ho dipinto Torino. Strade e palazzi ». Gli dico che lo strano, il moderno della sua ottica è la frontalità con cut l'immagine è inquadrata. « Nei miei qua dri c'è sempre qualcosa che tappa. Un tappo che chiude » E qui Cremona sorride capziosamente di nuovo. Un tappo, dico io, ma anche uno specchio, cosi che lo spettatore abbia il senso di qualcosa che gli occlude la vista, ma insieme lo rimanda a visioni ipoteticamente situate alle sue spalle. Per esempio: vediamo un interno, l'angolo di una stanza invaso da suppellettili d'ogni tipo, e di sguincio c'è uno specchio. Dentro lo specchio nuota quel che può arrivarvi da una finestra aperta: il solito cornicione di via Po, la finestra di fronte chiusa, un davanzale. Il realismo di Cremona sconfina nel magico, nel surreale, non solo per l'occhiata bizzarra che getta sul mondo, e lo sorprende in momenti imprevedibili, inconsueti, ma per la tecnica pittorica, che è quella semplice, quasi lineare, dei surrealisti classici. Colori vivi, aciduli, « di testa » è stato detto, accostati senza criterio tonale. « Sono lombardo di nascila e famiglia. Vivo a Torino dall'11. Ho visto l'occupazione delle fabbriche nel '20. Che ricordi! Ho guardato sempre ai pittori lombardi di nature morte, a Bascbenis per esempio. Poi, decisiva, è siala la lettura degli Enfants Terribles di Cocleau; la conoscenza d'un pittore surrealista di oggetti, di bussole, di fili a piombo, di nomò Roy. E De Chirico, nel '28 ». * * Ma ha amato, quando nessuno ne parlava, William Blake e i preraffaelliti, Moreau e Beardsley, Petrolini ed Erich Von Stroheim. Quando accenna d'essersi sentito un po' sempre ai confini, c'è da credergli. Ma Roberto Longhi lo stimò molto e gli fu amico. Forse oggi parte del gusto corrente potrebbe dar ragione a Italo Cremona: ma viene il sospetto che proprio di qua nasca il suo « scetticismo », il suo tirarsi da parte. Chi ha assaporito il veleno della « modernità » narQizrfMnrLdpsclcbdrtBsmdmmadclenbbdpdcg a s n e e h . ò o o i o » nell'anteguerra, fino a ridurlo a contravveleno, non può non respingere il suo diffondersi. Quel diffondersi può tradursi in una irrimediabile corruzione. « Eravamo in pochi, a Torino. Torino era una città più facile. Ci conoscevamo tutti. Meuzio era l'unico pittore che non faceva altro che il pittore. Gli altri, Casorali, Carlo Levi, io, dovevamo studiare da medici o da avvocali, e poi permetterci di diventare artisti. Guardi qua ». E da un cassetto tira fuori una vecchia lettera del 1923. « Avevo diciotto anni. Avevo chiesto una borsa di studio, appunto per dipingere, e soltanto dipingere, a Luigi Siciliani, allora sottosegretario per le Antichità e Belle Arti. E Siciliani mi rispose. Legga, legga ». Nella lettera è scritto: « Non mi sembra doverle consigliare, data la sua condizione economica e soprattutto in questo momento così difficile per le arti e gli artisti, di tentare la difficile via degli studi artistici, nella quale le speranze di lucri sono assai problematiche e di lontanissima realizzazione ». Cremona ride. « In barba a Luigi Siciliani presi la borsa di studio in giurisprudenza per potermi pagare la pittura ». Ci affacciamo alle finestre della stanza dove stiamo chiacchierando. Il cortile dell'Istituto d'arte è sotto. Sui rami grigi di una magnolia sono spuntate turgide gemme color latte; l'aria è tiepida. Cremona accenna all'Istituto: « Indegnamente, si dice in questi casi, ne sono il direttore. In fondo — eh, lo so che lei non lo vede! — c'è il Monviso, appena il profilo nell'azzurro ». Mi porta nel suo studio. Ci sono tanti quadri accatastati, e disegni, e gli oggetti che ama ritrarre. Anche una scatola con le testine in terracotta di certe marionette. « Ne faccio qualcuna ogni tanto. Somigliano, no? Somigliano a dei tipi che so io ». Sulla parete è appeso un bellissimo ritratto di Amalia Guglielminetti seduta su un canapè Impero. Lo sguardo vellutato, gli anelli nelle dita, le caviglie sottili e irrigidite. E' un dipinto di Mario Reviglione, datato 1912. « La pazienza per dare quella trasparenza alla stoffa, per decorare il divanetto! Reviglione era un buon pittore. E' morto in miseria. Un quadro così grande: c'è da perdere la testa ». E aggiunge che la pittura è anche un gioco, « ma ormai non la amano più neppure i pittori. La gente che ha danaro non la ama ma la compera, chissà perché. Alla gente piace andare al cinematografo. Cosa vuole che gliene importi di Cczanne o di Piero della Francesca ». Da questo, uno scarto verso i rapporti fra pittura e fotografia. « Oggi si fanno quadri sensibilizzando la tela. Oppure si dipinge con la fotografia alla mano, o stilla fotografia: non c'è niente di più scioccamente faticoso. La pittura non è che pittura dal vero ». Cremona si accalora, l'ironia e lo scetticismo spariscono dalle sue labbra. « Credere che la fotografia abbia rivoluzionato la pittura è un equivoco: sono sciocchezze spettacolari che servono a mettere su mostre o riempire pagine di rotocalchi. Anche il Museo Grévin o la Morgue sono affascinanti: ma la scultura è un'altra cosa. Dicono che la fotografia sia la realtà. Dove mai! Nessuno sa qual è la realtà. Perché deve essere così grigia, così tiiarroncina, come in una foto? Lei ha mai visto la realtà formato 9x12? Le camere oscure sono in caso dei trampolini di lancio, delle scorciatoie. Se l'immagina lei, Batticela con la macchina da presa in mano? Un ritratto di Diìrer o di Antonello sono tutto il contrario che una fotografia. Quegli equivoci tirano al vilipendio di quel che noi credevamo fosse la civiltà della pittura ». Gli ricordo il suo amore per il « Dada ». « I Dada erano una cosa. Rifare Dada dopo mezzo secolo è tutta un'altra. Oggi non c'è la moralità che c'era allora, lo stimolo di una volta. Oggi si fa la decalcomania del Dada ». Ma il divertimento gli torna sul viso scavato, le pupille tornano a brillare. « Lo sa che ho fatto del cinema? ». Mi fa vedere le foto delle sue scenografie per Cenerentola e il signor Btioiiaventura di Sto; poi di Cala/uria, di Carmela, vecchi film degli Anni Quaranta. Sono scene « déco », scene Liberty. « Già rivisitavo il déco e il Liberty, in quegli anni là. Vede la Ferìda? Vede Roberto Villa? »; le fotografie, racchiuse dentro il cellophane, gli scorrono leste fra le dita. Enzo Siciliano L

Luoghi citati: Cremona, Torino