Libero il commercio del latte da oggi per i Paesi della Cee
Libero il commercio del latte da oggi per i Paesi della Cee Momento delicato per la nostra agricoltura Libero il commercio del latte da oggi per i Paesi della Cee Aboliti il monopolio delle Centrali e le "zone bianche" - Il latte straniero costerà meno: ma è un prodotto conservato, non possiede le qualità nutritive di quello fresco - Preoccupazione degli allevatori, che chiedono controlli sulle importazioni Da oggi il commercio del latte è libero tra tutti i Paesi della Cee: ciò significa che Italia, Francia, Germania, Bel. gio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Inghilterra e Irlanda possono acquistare e vendere il prodotto dove vogliono. In Italia, come prima conseguenza, cessano il monopolio delle Centrali, le esclusive di vendita e il regime delle « zone bianche », cioè l'obbligo per le Centrali di comperare il latte entro i limiti territoriali stabiliti dalla legge. Ogni liberalizzazione degli scambi dovrebbe esser vista con favore, perché stimolatrice della concorrenza e quindi vantaggiosa sia per i consumatori che per i produttori più seri. Ma in quest'occasione i motivi di perplessità sono molti. Potranno esserci dannose ripercussioni sulla nostra economia zootecnica, perché gli agricoltori italiani non sono in grado d'affrontare la concorrenza di quelli francesi, tedeschi, danesi. Già nei mesi scorsi l'importazione di latte da Francia e Germania, ceduto alla nostra industria lattiero-casearia a prezzi più bassi del nostro, malgrado le spese di trasporto, aveva creato grossi problemi. Che cosa avverrà oggi, che cessa anche il monopolio delle Centrali, e quindi il prezzo politico imposto dal Comitato provinciale dei prezzi? I produttori italiani temono un'invasione di latte straniero, che metterebbe in pericolo i loro già scarsi guadagni. Perché i francesi e i tedechi riescono a produrre il latte a prezzi meno elevati? Bisogna riconoscere che le condizioni di partenza della nostra agricoltura sono meno favorevoli. In Italia prevalgono le zone collinari e montane (77 per cento di tutta la superficie agraria-forestale), con terreni difficili; sfavorevole è- anche la distribuzione delle precipitazioni (piove troppo in autunno ed in inverno, poco in primavera e ancor meno d'estate).. Ma influiscono negativamente anche fattori strutturali e sociali, come la modesta consistenza delle stalle, in gran parte non risanate, con pochi capi e una produzione media alquanto bassa; e la scarsa propensione degli agricoltori a riunirsi in cooperative e ad adottare moderne tecniche di lavorazione (mungitrici meccaniche, trasportatori per il mangime e il letame, apparecchi automatici per la raccolta del latte, vasche di refrigerazione nelle stalle, eccetera). In queste condizioni è difficile allevare bestiame, o almeno è difficile farlo a costi competitivi. Di conseguenza, altre piccole stalle sono destinate a chiudersi, assommandosi alle 250 mila che sono scomparse negli ultimi sei anni. Ora il colpo di grazia ai piccoli allevamenti bovini potrebbe venir dato proprio dalle Centrali, ossia da quegli organismi che finora assorbivano l'80 per cento della loro produzione: spinte dalla concorrenza, le Centrali potrebbero abbandonare gli zamapaspdifflatigidi defree ai manil sae l'icotacosecoacsocoscvoaprelo(acSgcoarolangndNsemticaaffgbriestatrsqotcpscatceidchvrallevatori locali e andare a ì cddcercare la materia prima in altri Paesi della Cee, dove costa meno. Sul latte importato, specie se i prezzi saranno eccessivamente bassi, occorrerà un'attenta vigilanza, per accertare che i produttori stranieri non ricevano rimborsi illeciti dai loro governi e, soprattutto, che non ci vendano latte illegalmente rigenerato, buono solo per produrre alcuni formaggi. Un utile controllo lo si potrebbe ottenere imponendo alle industrie lattierocasearie di presentare la documentazione d'acquisto del latte straniero, con il prezzo pagato ed il luogo di provenienza. Dovranno anche essere rispettati rigorosamente i requisiti che il latte deve avere per venir definito « fresco ». Un problema solo all'apparenza marginale riguarda la nuova legge sul commercio, che estende la vendita del latte ai supermercati, alle drogherie, ai fruttivendoli e ad altri negozi. Gli attuali 35 mila punti di vendita (latterie i4 che oggi smerciano in media 150 litri di prodotto ciascuno, potrebbero diventare 250 mila, con una vendita singola di irrisoria entità (15-20 litri al giorno). Ciò sncdsHsgcnPprovocherebbe tre conseguen-1 ze negative: le difficoltà d'ima | distribuzione polverizzata, i pericoli igienici negli esercizi non specializzati, e, soprai tutto, lo scarso interesse del negoziante a vendere il latte. Se insistiamo sulla vendita al minuto, è perché proprio i negozianti potranno influenzare in modo determinante il consumatore verso il latte fresco (nostrano) o verso il latte a lunga conservazione (nostrano o straniero). Malgrando l'importante scaden-1 za del 1" aprile, in Italia è mancata una qualsiasi campagna di propaganda, per spiegare al consumatore le differenze tra i due tipi di latte, differenze di carattere igienico, di potere nutritivo, di valore economico. Tutto depone a favore del latte fresco, ma la gente non lo sa e forse darà la preferenza ai più comodi « cartoni », che, messi in frigo, si conservano anche sei mesi. Spesso sarà il lattaio a suggerire alla massaia quale prodotto preferire e la sua indicazione seguirà l'indirizzo del proprio tornaconto. La confusione viene aumentata dal numero eccessivo di confezioni, ohe dovrebbero essere unificate. In sostanza, il consumatore deve sapere cosa acquista, quali differenze ci sono tra latte fresco e latte conservato, che spesso può scambiare per « fresco » (a volte le confezioni sono fatte apposta per indurre in errore). In un convegno tenuto lo scorso anno a Mantova, le Centrali proponevano un marchio di garanzia, come quello a ^.denominazione di origine controllata per i vini: sarebbe un'ottima soluzione. Ma è difficile che i problemi, non risolti fino ad oggi dal governo centrale, vengano all'improvviso affrontati. C'è piuttosto da augurarsi che le Regioni, cui sono demandate molte competenze agricole, istituiscano un « ente regionale del latte », funzionante sotto il loro controllo. Livio Burato
Persone citate: Livio Burato
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