Declino dell'"oscenità,, di Michele Tito

Declino dell'"oscenità,, SI È CONCLUSO IL TEMPO DEL "BUON COSTUME,, Declino dell'"oscenità,, Nell'Italia unita i vescovi condussero la prima battaglia contro l'immoralità nel 1877, attaccando le poesie di Carducci e Stecchetti - Ora vivono dubbi pascaliani tra il pessimismo sull'uomo, destinato a corrompersi senza la protezione della morale cristiana, e l'irrompere d'una nuova fiducia - Pochi "crociati" laici si battono sull'ultima frontiera: la difesa dei minori Roma, marzo. Per levarsi contro l'aborto i vescovi italiani si riunirono in assemblea dal 7 al 9 febbraio scorso. I loro argomenti sono scritti nelle tavole della Chiesa, l'isalgono all'interpretazione della « legge di Dio ». Ma l'assemblea fu drammatica: i vescovi constatarono che il problema dell'aborto è solo un aspetto di uno stato di cose che nessuno governa -più. Alcuni parlavano di una tragica decadenza dei costumi, altri cercavano d'indagare sul futuro dell'uomo, sul suo destino, ora che « tutte le dighe sono cadute». I vescovi italiani, che spesso non amano Pascal, vivono dubbi pascaliani, tra il pessimismo sull'uomo destinato a corrompersi senza la protezione della morale cattolica e l'irrompere, anche nella Chiesa, di una nuova fiducia nell'uomo, l'« ottimismo laico » una volta aborrito. Forse non se lo dissero apertamente, ma al senso di impotenza, al bilancio fallimentare nella difesa del « buon costume » come presidio di una astratta e rigida censura moraleggiante, facevano risalire l'inattesa evocazione del diavolo fatta dal Papa nell'ottobre scorso. I vescovi dovettero pronunciarsi, alla fine, contro il « contesto di crescente e generalizzata permissività, che distrugge rapidamente il sentimento religioso e il senso morale, porta all'eliminazione di quegli autentici valori per i quali ha significato la vita individuale e collettiva ». Ma dovettero cercare nello « spirito di violenza » il loro punto di forza, la « violenza in tutte le sue forme », causa di tutti i mali, turbamento della vita democratica, minaccia all'ordine e al lavoro civile, fattore capace di sconvolgere l'attività educatrice della scuola. La legge civile ' Era attraverso il richiamo alle esigenze della vita civile che i vescovi potevano ormai giustificare la loro nostalgia dei tempi in cui era ancora possibile pretendere dai cattolici la resistenza alla « grave decadenza, del costume ». Ora sperano nella « legge civile »: « illuminata dalla retta ragione — essi dicono — assolva alla sua preminente funzione educatrice, contribuisca validamente a rimuovere le cause della decadenza della nostra civiltà ». Sono rinunce ed esortazioni che vengono dopo un lungo cammino. La prima battaglia contro le « oscenità » che la Chiesa abbia condotto in proprio nell'Italia unita risale al 1877: fra poco un secolo. L'editore Zanichelli, dì Bologna, pubblicò uno dopo l'altro due volumi di poesie: le Postuma di Stecchetti e le Odi barbare di Carducci. Un grande successo, ma anche una rovente crociata dei giornali cattolici: « Il ministero dell'Interno provvede agli ospedali, ma non c'è chi pensa a salvarci dalla luce immorale che i tipi Zanichelli diffondono per la Penisola ». « Quante caste fanciulle contaminate e corrotte — piangevano — quanti giovinetti guasti nel fiorire della vita! Quante famiglie ferite nei più cari degli affetti! ». Un secolo: «Ora — dicono — non sappiamo a chi rivolgerci ». Le ultime pattuglie dei censori cattolici sono implacabili: i vescovi, dicono, piangono in ritardo: prima hanno tutto accettato per paura di perdere fedeli e per giochi più complicati, ora non sanno come fare. E, smarriti, giungono a dire ciò che dice per gli ultimi crociati l'on. Greggi: « Infinitamente meglio il divorzio che la pornografìa ». Giungono a immaginare compromessi: « Le cose non si possono impedire, bisogna farle però con riservatezza ». E, avendo perduto la lunga battaglia sulla censura, fanno i calcoli per l'ultima resistenza: il 70 per cento della gente, dicono, non va al cinema; potremmo salvare uomini e donne se potcssiìno impedire la pubblicità, i manifesti, il linguaggio « scostumati ». Rimpiangono i tempi in cui il Papa poteva protestare per un manifesto che, affisso in Roma « città sacra », mostrava un paio dì gambe nude. Invece dell'indifferenza generale, sorgevano problemi per lo Stato, si levavano scrupoli laici, s'inaspriva il dibattito sulla censura e i sequestri preventivi e De Nicola, presidente della Corte Costituzionale, dava ancora una volta le dimissioni. Ora fanno i conti e contemplano un bilancio passi¬ vo: in dieci anni sono stati sequestrati 61 film. 61 su almeno tremila; ci sono state undici condanne, e queste condanne quasi mai motivate dalla violazione del «buon costume» moralisticamente inteso ma dalla preminenza di altri motivi, a volte estranei allo spirito di censura moralistica. Nel 1963 la commissione d'appello per la revisione cinematografica trovava che un film come In capo al mondo (ma il titolo originario, notava con una punta di scandalo la sentenza, è Chi lavora è perduto; era lesivo di moltissime cose, lo deplorava anche perché « antisociale e scurrile nel linguaggio ». Ancora per qualche 'anno si condannava lo « sfrenato erotismo », nel '65 si respingeva L'uomo venuto da Hiroshima perché presentava scene di spogliarello, di violenza carnale e « contrattazioni oscene di amore mercenario ». Erano cadute le vecchie barriere, ma la resistenza si organizzava sul princìpio che reclama la protezione della sensibilità dei minori. Nel '65 il Consiglio di Stato sembrava tutto promettere: affermava che un film è tanto più pericoloso quanto più le sue oscenità e la sua « irriverenza » sono allusive. Non è vero, dicevano, che i minori di diciotto anni non vengono danneggiati perché, supponendoli innocenti, non potrebbero capire; è vero il contrario: « La curiosità di interpretare il vero significato del dialogo, risvegliata dalla suggestione della vicenda cinematografica, costituisce essa stessa un pericolo ». Le limitazioni per i minori sono l'ultima ipocrisia: non c'è pericolo specifico in un film — hanno sentenziato i magistrati — quando tutt'intorno i giovani sono investiti da richiami e sitiuizioni che non rendono nuove le indicazioni di un film. Prevale il concetto dei tempi che cambiano, della sensibilità che evolve, dei giovani che sanno, capiscono già per conto proprio ciò che, disperatamente, gli ultimi censori pretendono sia ancora sconosciuto. Così accade che non più di un quarto dei film sono vietati ai minori, e quasi tutti quelli vietati ai minori di quattordici anni sono anche vietati ai minori di diciotto anni: un'altra ragione di sgomento per i censori; in pratica; nessuno più fa differenza tra i ragazzi di quattordici anni e quelli di diciotto anni. « E' come dire — lamentano i censori — che tra quattordici e diciotto anni non si impara niente ». Chi è immaturo? Essi attribuiscono alle astuzie dei « sovvertitori » e dei « sovversivi » l'insidia di un argomento che nessuno accetta apertamente ma che rimane sospeso nell'aria, «rende timidi anche i giudici»: è l'argomento secondo cui gli adulti non possono capire. Un produttore cinematografico lo fece valere senza fortuna nel '65, affermando che la commissione di censura faceva prevalere il pregiudizio dell'età matura al giudizio dell'età infantile «naturalmente ingenua nell'interpretazione di semplici scene di farsa». La commissione di censura replicò di¬ cendo che sì valeva della collaborazione di psicologi e di esperti dì pedagogìa e che quindi giudicava «su basi scientifiche»; ma via via che il « buon costume » è più nettamente, più concordemente distinto dalla pubblica moralità, che nessuno sa esattamente cosa sia, il timore di sbagliare giudicando troppo ingenui o troppo esperti i giovani si fa più forte. I censori hanno capito e mutato registro. E' nata da questi fallimenti la scoperta del « sentimento del buon padre di famiglia »: manifesti, stampe, film, tutti dovrebbero essere giudicati sulla base delle reazioni del « buon padre » che pensa ai figli. Riprendendo una proposta presentata nel '69, i deputati Ruffini. Medi, Eletta Martini e Berloffa suggeriscono di far piazza pulita dì tutti i dubbi e le incertezze che il concetto di « buon costume » consente. Un altro valore I quattro si rivolgono ai padri nella convinzione che nessun giudice e nessuna commissione di censura possano negare che un « buon padre» vuole ì figli casti e protetti dalle oscenità, sicuri in un mondo morale e moralistico. Parlano di «sentimento del buon padre dì famiglia» come d'un valore assoluto, immutabile, indiscusso. E' forse l'ultima illusione. Dalla stessa camera dei deputati viene, implicita, la smentita: una voluminosa, dettagliata ricerca sugli « orientamenti giurisprudenziali in tema di buon costume » curata dall'ufficio studi legislazione. Tutti possono vedere di quante cose sia fatta la « decadenza » lamentata dai censori. Pensano ai film, ai manifesti e ai giornali pornografici, ma il mutamento del costume, l'evolversi della sensibilità investe molti aspetti della vita di ogni giorno: è caduto il reato di adulterio e se nel '45 una moglie che dava dello « stupido » al marito rendeva lecita la richiesta di separazione, ora la parità dei sessi è senza eccezioni riconosciuta. Affari di « buon costume » sono anche, per molti magistrati, i dissidi che sorgono per attività speculative, quando si vendono merci superiori al calmiere secondo la cassazione o quando, con qualche trucco, si realizzano profitti eccessivi: « Costituisce prestazione contraria al buon costume quando si tenda a una forma repellente di speculazione commerciale ». Il « buon costume » investe i patti tra industriali quando, per esempio, si mettono d'accordo per le aste pubbliche; ed è cambiato il modo di vedere quando si tratta di concubinaggio: l'uomo che prima poteva tutto permettersi, ora è tenuto a rispettare il patto di sovvenzionare la donna concubina. Il « buon costume » investe le raccomandazioni e la corruzione di funzionari: ed è tutto cambiato. I giudici accettano la i-ealtà così com'è, e non è più illecita l'azióne di un privato per sollecitare la pubblica amministrazione al disbrigo di una pratica o l'intervento di un privato per appoggiare la ri¬ chiesta di un altro privato: le amministrazioni sono lente, la cassazione giudicò nel '66, nelle dovute forme, che non viola le norme del « buon costume » la pressione diretta ad « accelerare le procedure in rapporto all'urgenza di un finanziamento ». Le vertenze tra coniugi per « fatti anteriori al matrimonio» vengono anch'esse giudicate diversamente. Nel '45 era responsabile d'ingiuria grave al marito la donna che non aveva confessato, prima del matrimonio, di aver avuto rapporti sessuali. «Lo sposo diveniva vittima — diceva la sentenza — dei più crudeli inganni ». Poi fu ammesso, dal tribunale di Ancona, che «non è ingiuria grave e quindi non causa di separazione il fatto che la moglie abbia occultato al marito la perdita della propria verginità prima del matrimonio», ed è dal Sud, dal tribunale di Salerno, che è venuta la saggezza del compromesso: ,non è ingiuria grave l'occultarpento della perdita della integrità prima del matrimonio, ma lo è se la donna ha proceduto «maliziosamente» al fine di concludere il matrimonio. Centinaia di sentenze sono venute in questi ultimi anni a riconoscere che la donna ha pari diritto dell'uomo, e mentre prima i magistrati negavano alla donna la facoltà di protesta nel caso in cui il marito avesse cessato di adempiere i doveri coniugali, ora viene quasi ogni giorno stabilito che la donna ha ragione di esigere dall'uomo ciò che la natura e l'affetto comportano. Le organizzazioni dei censori avevano pubblicato un volume che doveva essere una Bibbia. S'intitolava Matrimonio, famiglia e divorzio, e aveva un capitolo dedicato alla « donna, dono che Dio ha fatto all'uomo ». « Le nostre donne sono rassegnate — dicono i censori — o per lo meno lo erano. Certo per il 70 per cento soffrivano, certo erano da compiangere. Ma salvavano la morale, non c'erano i problemi della fine del buon costume ». « Eri era giusto così? » « Era meglio — dice per tutti Greggi — enano tempi più sicuri, non si preparava la sovversione, non incombeva la dittatura ». Parlano dei « libertini » del '700 che oscurarono gli animi e fecero esplodere la Rivoluzione: costretti ad arretrare ogni giorno di un passo, immaginano adesso un paradiso perduto di prima della Rivoluzione francese. Non sanno più qual è il loro tempo. Michele Tito Roma. Al modo dei « clochards »: un bacio tranquillo, quasi dimostrativo, a ridosso di Palazzo Farnese (Foto Team)

Persone citate: Berloffa, Carducci, Eletta Martini, Ruffini, Stecchetti, Zanichelli

Luoghi citati: Ancona, Bologna, Hiroshima, Italia, Roma, Salerno